Nel libro scritto da Antonio Giangrande “Tutto sul
Friuli Venezia Giulia, Quello che non si osa dire”, un capitolo è dedicato alla
vicenda giudiziaria di Alberto Di Caporiacco, direttore de “Il Giornale del
Friuli”.
FRIULANI, DITE QUALCOSA SULLA GIUSTIZIA. IL CASO DI
ALBERTO DI CAPORIACCO.
Nel Friuli Venezia Giulia i risultati sono scarni e su
questo Antonio Giangrande, il noto saggista e sociologo storico che ha
pubblicato la collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che
siamo" ha svolto una sua inchiesta indipendente. Giangrande sui vari
aspetti della giustizia ha pubblicato dei volumi: "Ingiustiziopoli,
ingiustizia contro i singoli"; "Malagiustiziopoli, malagiustizia
contro la collettività"; "Impunitopoli, legulei ed impunità".
Quando io mando un mio contributo ai miei 1500 contatti, quindi a 1500
direttori di giornali, specialmente on line, non cerco in loro un sostegno, o
una visibilità. Cerco di coinvolgerli in un fenomeno virale controllato. Tutti i
direttori, come me, ricevono sicuramente tante lettere di sdegno, di rabbia.
Quelle sono le testimonianze dei nostri contemporanei. Tra queste bisogna
scandagliare chi tra loro merita rispetto, in confronto all’opera di mitomani o
calunniatori. I testimoni del loro tempo rappresentano, spesso, delle
situazioni che vanno rese pubbliche. Quando io ho iniziato da praticante
avvocato con patrocinio legale, rispetto ad altri miei colleghi, non mi sono
posto il problema se nel difendere qualcuno potessi andare contro i miei
interessi. Eppure lo facevo. Ciò nonostante molti di coloro a favore dei quali
mi battevo contro tutto e tutti, mi si sono rivoltati contro, istigati dalle
controparti. Mi accorsi che nelle aule di Tribunale non vince chi ha ragione,
ma chi ha più forza dirompente (corruttela, amicizie). Cercai di ribellarmi. Mi
dissero “tu non diventerai mai avvocato”. Dal 1998 io partecipo all’esame di
avvocato. Dal 1998 non mi abilitano per ritorsione. Mi impediscono di lavorare.
Incapace, forse. Ma capace di scoprire gli inghippi in tutte le situazioni. Ho
continuato a lottare per denunciare il marciume. Non trovando soluzione di
continuità, per contiguità delle istituzioni nell’illegalità, man mano che
passavano gli anni la mia sfera di competenza si allargava: giustizia,
politica, informazione, ecc. Più scavavo, più pescavo nel torbido. Non ho avuto
paura delle ritorsioni. Come può averla uno che è presidente nazionale di una
associazione antimafia, riconosciuta dal Ministero dell’Interno. Non può averla
uno che dalla vita aveva già avuto scritto il suo destino, ma che ha reagito e
si è diplomato in un anno a 30 anni, dopo l’ennesimo concorso pubblico
taroccato, e laureato in due anni a Milano a 32 anni, lavorando di giorno,
avendo già due figli. Mi mandarono la finanza a casa, perché non credevano di
aver diritto alla borsa di studio. Non ho avuto paura delle ritorsioni, ciò
nonostante mio figlio, con sacrifici, è divenuto a 25 anni, due lauree,
l’avvocato più giovane d’Italia. Nelle mie lotte all’inizio ho cercato la
sponda nei direttori di giornali. Tutti ignavi o venduti alla politica o
all’economia. Le notizie, allora, me li pubblicavo da me su un mio portale web,
riportando per argomento e per territorio le notizie che valeva la pena
riportare nel tempo e nello spazio. Tra centinaia di pagine, nella pagina della
città di Brindisi ho pubblicato un articolo del Corriere della Sera in cui si
parlava della faccenda del Giudice Clementina Forleo e della morte strana dei
suoi genitori e della diatriba con la procura di Brindisi. Notizie che la
stampa locale non dava. Bene. Quella procura ha sequestrato tutto il sito web
con centinaia di pagine e perseguito me per diffamazione a mezzo stampa.
Dopo la Forleo, naturalmente solidarietà dalla stampa:
zero. Allora oscurato un sito, ho aperto decine di siti gemelli, che negli anni
sono stati letti da milioni di utenti.
Dopo la Forleo, naturalmente solidarietà dalla TV:
zero. Allora ho aperto una tv streaming e 4 canali youtube in cui riportavo in
video le inchieste testuali. Video visti da milioni di utenti.
Ho aperto una tv web nazionale di promozione del
territorio.
Ho perfezionato il mio lavoro. Quello che scrivo è
frutto di recensioni di libri, articoli delle testate giornalistiche più
importanti, interrogazioni parlamentari. Opere di terzi riportanti verità,
continenza e interesse pubblico. Ciò nonostante questa mia attività legale di
citazioni di terzi ha portato contro di me decine di procedimenti per
diffamazione a mezzo stampa: solo da parte di magistrati. Mai una condanna. Io
a fianco degli avvocati a dirgli cosa fare.
Il paradosso che molti di questi magistrati, quando
loro stessi si son ritrovati in difficoltà, hanno chiesto il mio aiuto. Non per
risolvere il loro problema giudiziario, ma di raccontare la loro versione dei
fatti, per salvaguardare il loro onore, perché dal momento in cui sono caduti
nel fango sono stati abbandonati da tutti coloro che prima li osannavano.
Uno contro tutti. Ma non ho paura. Se il sistema mi
accerchia, io reagisco. Allora ho deciso di fare le cose in grande. Dato che in
Italia le mafie son quelle che meno ti aspetti, ho lasciato ai posteri la mia
eredità intellettuale. Decine di saggi di inchiesta pubblicati su piattaforme
estere, affinchè sia più difficile censurarle. I miei libri li leggono in tutto
il mondo, anche gratuitamente.
Non ho niente, quindi niente mi possono togliere. La
mia ricchezza morale, neanche, perché è di dominio pubblico. La mia vita a 50
anni non ha più niente da dire. Possono togliermi anche quella.
Io non sono ricco, anzi mi hanno ridotto alla fame. Il
provento dei libri serve a sostenere le spese di gestione dei siti web. Ho una
Fiat Punto del 2000. La mia famiglia si sostiene con qualche ora di ripetizione
che dà mio figlio, perché da avvocato non lavora e con qualche ora di mia
moglie in un’impresa di pulizie. Degradante: no! Dignitoso. Perché non abbiamo
svenduto l’onore e non ci siamo genuflessi ad angherie e minacce. Potevo fare i
milioni ed essere come gli altri. Invece no. Sono orgoglioso di essere diverso.
Si potrebbe pensare che io sia un mitomane. Si provi a
digitare il nome di Antonio Giangrande e si vedrà quante decine di migliaia di
siti web parlano di me. Ma più che parlare di me, parlano di quello che io dico
e faccio a favore di altri. Un mitomane non meriterebbe tanta attenzione.
Quindi, non ho bisogno che mi si pubblichi quello che
le mando. Questo non lo chiedo ai 1500 contatti. Sono solo contenuti mirati a
lasciar tracce nelle coscienze di chi legge. Chi non legge, pazienza, perché
chi non apprezza non merita. In quanto, come disse don Abbondio, “il coraggio
uno non se lo può dare”. E l’italiano da sempre ha dimostrato di non aver
coraggio. La storia insegna.
Con il direttore del “Giornale del Friuli”, Alberto di Caporiacco, il mio interesse è diverso. Con lui
voglio capire fino a che punto si spinge la tendenza ad impedire la libertà di
espressione del proprio pensiero.
“Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla
morte perché tu possa continuare ad esprimerle”, Voltaire …
Di lui mi sono occupato parlando di esame di
abilitazione forense. Nei miei saggi “Concorsopoli ed Esamopoli” e “Esame di
avvocato, lobby forense, abilitazione truccata” ho affrontato il tema dei
concorsi pubblici e degli esami di Stato: tutti assolutamente truccati.
Il direttore de quo si inserì nell’argomento a par
suo, come può osare un autonomista od indipendentista (esemplificazioni date
dai giornali che si sono occupati di lui, colpevolizzandolo). Io dico che ha
affrontato il tema con "distinguismo" tipico dei settentrionali e con
tutto ciò che comporta o che trapela, che a molti può sembrare del sentimento
di razzismo nei confronti del Sud Italia. Così come traspare nei sentimenti dei
leghisti o dei cittadini del nord Italia in generale. Sentimenti figli di ignoranza
o di disinformazione.
Nella sua trasmissione PUNTO
DI SVISTA. Diario settimanale di un cittadino perplesso, puntata del 27
giugno 2009 con il titolo “Siamo una regione di asini?”, Alberto di Caporiacco
indaga sulla bocciatura del 72 per cento dei candidati agli esami di
abilitazione alla professione di avvocato (sessione Corte d’Appello di
Trieste).
«Esami di abilitazione alla professione di avvocato.
Sessione svolta presso la Corte di Appello di Trieste. 72% di bocciati.
Evidentemente c’è qualche cosa che non va. Ed allo proviamo ad indagare. Noi
abbiamo due università in questa regione. Quella di Trieste di vecchia data e
quella di Udine. Entrambe godono di facoltà di giurisprudenza tra le migliori
d’Italia. Ma anche gli studi degli avvocati di questa regione sono tra i
migliori d’Italia. Almeno così si dice. Che se poi a ben vedere non è che in
questa regione si celebrino processi particolarmente eclatanti. Quindi sulla
preparazione dei nostri futuri avvocati non ci dovrebbe essere alcun dubbio. Ma
allora perché questa falcidia di bocciati. E perché invece in altre regioni
d’Italia le promozioni, le abilitazioni alla professione di avvocato sono
maggiormente facili. Si dice, non abbiamo in questo momento dei numeri ma ce li
procureremo. Poi magari saranno oggetti di una prossima trasmissione, che nelle
altre regioni d’Italia sia estremamente più facile ottenere questa abilitazione
professionale. In questo discorso se ne potrebbe inserire. Ma qualcuno non
aveva detto che tutti gli Ordini professionali avrebbero dovuto essere aboliti
e che la gente avrebbe dovuto dimostrare sul campo le proprie capacità
professionali. Cioè non esibendo il famoso e famigerato pezzo di carta. Ma
naturalmente, anche tutto ciò, ovvero la riforma delle libere professioni è
ancora al di la da venire in questo Stato italiano. Stato italiano dove però il
federalismo, come abbiamo visto, si applica a meraviglia. Perché nella regione
Friuli Venezia Giulia il Distretto della Corte d’Appello di Trieste 72% di
bocciati all’esame di abilitazione professionale di avvocato, in altre regioni
d’Italia, invece, promozioni facili. Ma allora cosa vuol dire questo, Vuol dire
che noi vogliamo essere severi, ma in realtà finiamo con il non aiutarci.
Perché se in altre regioni c’è qualcuno che applica le leggi ed i regolamenti
in maniera più leggera, succederà come succede per esempio per esempio nella
composizione della attuale Corte Costituzionale, dove su 15 giudici, ce ne nove
della regione Campania. Avete sentito veramente bene: 9 giudici su 15. E’
possibile che una regione sola del meridione d’Italia rappresenti oltre la metà
dei giudici della Corte Costituzionale? Evidentemente no! Ma è in forza di
ragione come queste che noi dobbiamo porci delle domande: se questo Stato
italiano effettivamente tutela allo stesso modo tutte le regioni d’Italia.»
Ma non quello che ha detto in quella sede è oggetto di
meritoria attenzione, ma di quello che al tapino è capitato successivamente e
con questo non si vuol dire che sia direttamente collegato.
Da “Il Giornale del Friuli”
si legge: “Non è dato quindi formulare nei suoi
confronti una prognosi di reinserimento sociale”. Ma lui, Alberto di
Caporiacco, dirige il giornale. Il Tribunale di Sorveglianza di Trieste, in
data 20 maggio 2014, nelle persone della dott.ssa MARIANGELA CUNIAL, Presidente
relatore; dott.ssa EMANUELA BIGATTIN, Giudice; dott.ssa FULVIA PRESOTTO,
Esperto; dott. ANTONINO RIOLO, Esperto, ha pronunciato l’ordinanza n. 530/2014
che, a soli 8 giorni dal fine pena, ha negato l’affidamento al servizio sociale
del direttore di questo quotidiano on line ALBERTO di CAPORIACCO, privato della
propria libertà personale dal 27 febbraio 2013 al 28 maggio 2014.
“Alberto di Caporiacco, direttore del Giornale del
Friuli, distillato di polemica locale sul web”, scrive Guido Mattioni su “Il
Giornale”. Quel “Giornale” che quando trattavasi delle vicende penali del suo
direttore Alessandro Sallusti minacciava fuoco e fiamme, o si stracciava le
vesti per i guai giudiziari del suo riferimento politico Silvio Berlusconi.
E’ noto che Alberto di Caporiacco è stato
privato della propria libertà personale dal 27 febbraio 2013 al 29 maggio 2014.
Costretto addirittura in carcere per 22 giorni, il 20 marzo 2014 è stato posto
“in applicazione pena presso il domicilio” con gravissime restrizioni, scrive
Marco De Agostini su “Il Giornale del Friuli”. L’Ordinanza redatta dal
Magistrato di Sorveglianza di Udine dott.ssa Lionella Manazzone, infatti,
prevedeva che Alberto di Caporiacco potesse allontanarsi dal domicilio, previo
avviso ai Carabinieri di Majano preposti alla vigilanza, una volta alla
settimana per un massimo di due ore senza poter abbandonare il territorio
comunale (Colloredo di Monte Albano) per le “normali esigenze di vita
quotidiana”. Il tutto essendo direttore responsabile di un diffuso quotidiano
on line nonché esponente politico. Veniamo ora a valutare come colleghi della
dott.ssa Manazzone si sono atteggiati nei confronti di altre due personalità
note al pubblico mediatico, ovvero l’ex presidente del consiglio Silvio
Berlusconi e Anna Maria Franzoni, cito queste, fra le tante, solo per la loro
maggiore “notorietà”. Il primo, condannato definitivo tal quale di Caporiacco,
nonostante continui a criticare con parole taglienti la magistratura,
sostenendo di esserne un perseguitato, è stato immediatamente affidato al
servizio sociale. Risulta (dalle cronache dei giornali) essersi recato soltanto
una volta o due a svolgere il proprio ufficio presso una comunità di malati di
Alzheimer. Può liberamente spostarsi su tutto il territorio nazionale, fare la
spola tra Roma e Milano, gli è stato consentito di fare campagna elettorale e
ha come unico obbligo quello di rientrare a casa per le ore 23. Si ha notizia
di un unico controllo notturno compiuto presso il suo domicilio per verificare
l’osservanza delle prescrizioni e di questo blitz, peraltro compiuto con molta
discrezione, hanno parlato diffusamente i giornali. Anna Maria Franzoni,
secondo la giustizia italiana rea del più orribile dei crimini (aver ucciso un
suo figlio), sconterà la parte residua della pena a casa potendosi allontanare
addirittura per quattro ore al giorno dal domicilio per le stesse esigenze di
vita quotidiana che per di Caporiacco dovevano essere veramente minimali, posto
che la proporzione è di 14 a 1 in favore di Anna Maria Franzoni. Quest’ultima
infatti può uscire 4 ore x 7 giorni alla settimana, di Caporiacco poteva uscire
2 ore x 1 giorno alla settimana. Non solo: la Franzoni potrà spostarsi
liberamente all’interno del territorio della provincia di Bologna; di
Caporiacco era confinato all’interno del comune di Colloredo di Monte Albano.
Franzoni è una assassina certificata dalla giustizia italiana, di Caporiacco
no. Ma per il Magistrato di Sorveglianza di Udine dott.ssa Lionella Manazzone
era più pericoloso di un assassino. Last but not least: nell’imminenza delle
elezioni amministrative 2014 intendevo affidare, in qualità di segretario
politico del Movimento Friuli, compiti a di Caporiacco per la predisposizione
di eventuali liste e candidature. Gli dissi di sondare la magistratura di
sorveglianza alla quale personalmente inviai una richiesta. La risposta, per il
tramite di una assistente sociale dell’Ufficio esecuzioni penali esterne di
Udine, fu negativa: le particolari modalità di applicazione della pena
escludevano qualsiasi attività consimile affidata al di Caporiacco. Da
cittadino italiano mi pongo questa domanda e la pongo ai lettori di questo
giornale: vi pare ancora giustificata la scritta “la legge è uguale per tutti”
che campeggia nelle aule di giustizia. Forse che si debba aggiungere un “tutti
non sono uguali per la legge”? Io, che conosco bene Alberto, aggiungo una cosa:
se l’intento è quello di farlo passare per un pericoloso criminale, ( per aver
dubitato della “correttezza politica degli allora Vertici della Regione!”) non
solo non ha colto nel segno, ma lui ora se ne fa persino un vanto e, regolati i
suoi conti con la giustizia, se la ride. Il fatto è che la giustizia dovrà
probabilmente aspettarsi che sia di Caporiacco, un domani, a presentare il
conto.
Alberto di Caporiacco, noto politico autonomista e
responsabile del “Giornale del Friuli”, è stato arrestato il 27 febbraio 2013
dai carabinieri nella sua abitazione di Colloredo di Monte Albano, scrive Anna
Rosso su “Il Messaggero Veneto”. I militari si erano recati in via Braide
Bernart per eseguire un ordine di carcerazione emesso dal tribunale di Trieste
per una condanna a un anno e sei mesi di reclusione per reati di calunnia e
falso legati a vicende elettorali. Personale della stazione di Majano e del
Nucleo investigativo ieri mattina intorno alle 10 ha suonato più volte il
campanello di Di Caporiacco dopo averlo visto uscire per un attimo e subito
rientrare. I carabinieri, insomma, sapevano che era in casa, ma nessuno veniva
ad aprire. Da quanto si è appreso dai carabinieri, la condanna “iniziale”
emessa nei confronti dell’esponente autonomista era pari a 4 anni e 6 mesi che
poi, a seguito dell’indulto, sono stati ridotti appunto a un anno e 6 mesi.
Periodo che il politico avrebbe potuto trascorrere ai domiciliari in base al
decreto “svuotacarceri” che prevede tale possibilità in presenza di determinate
condizioni e per periodi inferiori ai due anni. In sintesi, i carabinieri
avrebbero dovuto verificare l’idoneità del domicilio e acquisire il consenso
dei familiari. I militari, non riuscendo ad effettuare questi accertamenti
perchè materialmente non sono mai stati ricevuti, hanno segnalato la situazione
all’Autorità giudiziaria la quale, allora, ha disposto l’arresto. Arresto che,
come detto, è stato eseguito ieri, nel pomeriggio, grazie alla collaborazione
dei familiari di Di Caporiacco. Dopo il tentativo della mattina andato a vuoto,
i carabinieri sono tornati verso le 16 e si sono incontrati con la moglie con
la quale avevano avuto poco prima un contatto telefonico. La signora ha chiesto
di poter entrare prima da sola per parlare qualche minuto al marito. Poi non è
più uscita, ma ha aperto la porta ai carabinieri. Adesso Di Capopriacco si
trova in carcere. Nelle prossime ore, con tutta probabilità, i suoi legali -
gli avvocati udinesi Campanotto e Franceschinis - chiederanno una misura meno
afflittiva, i domiciliari appunto. In via Braide Bernart, ieri pomeriggio, è
giunta anche una squadra di vigili del fuoco. Su disposizione della Procura della
Repubblica di Udine, infatti, i carabinieri erano stati autorizzati ad entrare
con la forza. Ciò non è stato necessario grazie alla “mediazione” della moglie.
Degli stessi reati di calunnia e falso era stato accusato, ai tempi, anche un
altro politico autonomista, Marco De Agostini «assolto già anni fa per non aver
commesso il fatto», come lui stesso racconta. «Dopo l’esclusione dalle elezioni
del 2003 avevamo denunciato irregolarità nei documenti di altri partiti -
ricorda -, compresi quelli che hanno portato al governo Illy e la sua giunta.
Ad un certo punto, ci è stato detto che mancava un certificato elettorale.
Documento che invece noi avevamo presentato e che poi è rispuntato al Consiglio
di Stato, a Roma. L’accusa verso di noi è che avremmo usato in quell’occasione
un altro certificato».
Sull’arresto di Alberto Di Capiriacco,
Marco De Agostini, scrive a Omar Monestier sul “Messaggero Veneto”., che gli
lascia la parola ed anticipa: «Questa che segue è la sua valutazione. Annoto
che essa è di parte, visto che è coinvolto nella vicenda. Aggiungo che trovo
inquietante che una persona finisca in galera per un reato del genere. Ma mi
corre l’obbligo di osservare che il mio amico di Caporiacco ha fatto di tutto
per andarci. Ha evitato di porre in essere tutte le tutele che pure gli
sarebbero state concesse se le avesse chieste (affidamento ai servizi sociali o
arresti domiciliari). Se solo avesse aperto la porta ai carabinieri ora non si
troverebbe in questo pasticcio. Non so se Alberto puntasse a questo risultato o
se sia solo stato travolto dal suo ribellismo. Ce lo racconterà lui, se vorrà.
E’ comunque un brutto momento per lui e la sua famiglia e spero che lo superi
rapidamente.»
“Alberto di Caporiacco ha avuto il torto
originale di presentare insieme al Segretario del Movimento Friuli Marco De
Agostini una serie di ricorsi e di richiesta di annullamento delle elezioni
regionali del 2003 , motivando, producendo prove circostanziate (40.000 fogli
di fotocopie di tutte le liste presentate ed ammesse alle elezioni di
quell’anno dove venivano sottolineate e richiamate tutte le nefandezze,
irregolarità, falsità in atti palesemente emerse). Al TAR dopo tre udienze dove
né i magistrati né i difensori della Regione ebbero da eccepire sulla idoneità
dei ricorrenti e sulla procedura di presentazione, improvvisamente il relatore
si accorse che i ricorrenti avevano omesso di allegare i loro certificati di
iscrizione nelle liste elettorali di un comune della regione, requisito
essenziale per inoltrare il ricorso. I ricorrenti confutarono l’addebito
sostenendo che i certificati erano stati regolarmente depositati insieme alla
documentazione. Il TAR non sentì ragioni e dichiarò improponibili i ricorsi. De
Agostini e Di Caporiacco più che certi di aver presentato i certificanti e non
ritenendo che questi potessero aver messo le ali, imputarono il loro
smarrimento agli uffici del TAR. Ed in ragione di ciò presentarono ricorso al
Consiglio di Stato che a seguito delle sedute del 14.11.e 30.11.2004 dette
ragione ai ricorrenti ed impose al TAR di Trieste di riesaminare i ricorsi. Il
TAR con infiniti pretesti rinviò le udienze fino ad ottobre 2005 quando ci fu
l’ultimo colpo di scena a sorpresa degli avvocati della regione, che
annunciarono che i loro rappresentati Tesini, Presidente del Consiglio ed Illy
Presidente della Giunta avrebbero denunciato De Agostini e Di Caporiacco per
falso e calunnia a proposito dei ricorsi in giudizio. Poiché in presenza di
azioni penali sulla materia del contendere ha precedenza il procedimento
penale, il TAR deve sospendere il procedimento amministrativo. Risultato
raggiunto, ricorsi bloccati!! Il procedimento penale si protrasse sino a
gennaio del 2007 dove gli “imputati di simulazione di reato e di falso De
Agostini e Di Caporiacco” furono assolti perché il fatto non sussiste e venne
dichiarato il ” non luogo a procedere nei confronti di entrambi gli imputati
perché il fatto non costituisce reato”. ( il GUP dr. Raffaele Morvay) Di
Caporiacco fu rimandato, con separato decreto, ad altro dibattimento per
calunnia nei confronti di Tesini ed Illy solo per aver “adombrato” il “cui
prodest” dei rinvii e delle sparizioni e riapparizioni di documenti che
impedivano al TAR di andare a sentenza sulle illegalità denunciate e
documentate e per aver indicato nei “vertici della Regione” gli autori morali
del ……..documento sparito e ricomparso”. Pare che a causa di questa incauta affermazione,
tutt’altro che peregrina ! ma lesiva di tante autorità (Tesini ed Illy) Di
Caporiacco, dopo 10 anni si sia beccato una condanna di quattro anni e mezzo,
ridotti per indulto ad uno e mezzo, l’ arresto presso il domicilio e sia finito
in carcere come un criminale.. La casta, non contenta di averla fatta franca
all’epoca, è riuscita a colpire, a distanza di anni, a titolo preventivo. Marco
De Agostini”.
Alberto di Caporiacco passa all’attacco:
“Dopo essere stato ostaggio, innocente e non condannato definitivo, della
giustizia italiana, ora la giustizia italiana mi sequestra il certificato
penale, rifiutandosi di consegnarmelo”,
scrive “Il Giornale del Friuli”. L’immagine ritrae il nostro direttore Alberto
di Caporiacco, definito “non socialmente reinseribile” dal Tribunale di
Sorveglianza di Trieste con ordinanza 20.5.2014, esibire l’accredito stampa
ottenuto come direttore del nostro quotidiano on line per partecipare al
concerto di Redipuglia diretto dal maestro Riccardo Muti. Con buona pace, appunto,
del Tribunale di Sorveglianza di Trieste. Ma ora, oltre al danno subito da di
Caporiacco, privato per la libertà per 15 lunghi mesi nonostante fosse
clamorosamente innocente, c’è la beffa. Non gli consegnano il certificato
penale perchè questo documenterebbe l’intervenuta privazione della libertà sine
titulo, ossia prima della definitività della condanna.
Alberto di Caporiacco, autonomista e direttore de “Il
Giornale del Friuli”, passa al contrattacco. Dopo essere stato privato della
libertà personale per 15 lunghi mesi, dal 27 febbraio 2013 al 28 maggio 2014,
non può dirsi soddisfatto della ‘liberazione anticipata’ pari a 90 giorni
concessagli dal Magistrato di Sorveglianza di Udine dott.ssa Mariangela Cunial
con provvedimento 13 marzo 2014. “Si tratta – commenta di Caporiacco – di un
‘provvedimento di mera routine’ che è concesso a tutti coloro i quali abbiano
dimostrato un contegno rispettoso delle prescrizioni. Il problema è un altro ed
è gravissimo: sono ormai tre mesi che sto cercando di ottenere, dalla Procura
della Repubblica presso il Tribunale di Udine (circoscrizionalmente competente
per residenza) e da quella presso il Tribunale di Trieste (competente per il
procedimento penale da cui è conseguita la mia condanna) un mio certificato
penale. Documento che spetta di diritto a qualsiasi cittadino lo richieda e che
deve riportare, con analitica precisione, tutte le iscrizioni riguardanti la
condanna, a cominciare dalla sua data di irrevocabilità”. Già, perché qui sta
il problema dei problemi. Alberto di Caporiacco è infatti convinto (gli manca
la matematica certezza che sarebbe fornita, appunto dalle iscrizioni temporali
presenti sul certificato penale che reiteratamente l’Autorità Giudiziaria da
tre mesi si rifiuta di rilasciargli) di essere stato privato della libertà
personale con un provvedimento abnorme, prima che la condanna fosse divenuta
definitiva. “Io ho varcato la soglia del carcere di via Spalato (e anche qui ci
sarebbe molto da dire) – chiosa di Caporiacco – per scontare una condanna asseritamente
definitiva il 27 febbraio 2013. Peccato che la Cassazione si sia pronunciata,
in fase di terzo grado di giudizio, soltanto il 21 novembre 2013.” “Non sta a
me – aggiunge di Caporiacco – affermare se quanto ho subito sia stato una sorta
di improprio ‘sequestro di persona’. Sarà l’Autorità Giudiziaria a stabilirlo.
Sta di fatto che il mio certificato penale, che contiene ‘date inconciliabili
tra loro’, è di fatto mantenuto da tre mesi in ostaggio da chi, per legge, è
obbligato a consegnarlo dietro semplice richiesta del cittadino.” Ma molto da
dire ha di Caporiacco anche sulla condanna subita. “Non ho mai commesso i reati
che mi sono stati addebitati. Il documento asseritamente falsificato non l’ho
nemmeno mai avuto in mano e quindi non si capisce come avrei potuto alterarlo.
Mancava qualsiasi mio interesse specifico, non giovando lo stesso alla mia
posizione processuale nell’ambito di un ricorso elettorale presentato al
Consiglio di Stato da altre due persone oltre a me che non sono state
minimamente indagate per il reato di falso e che, di fatto, avrebbero avuto lo
stesso se non maggior interesse all’alterazione del documento.” “Quanto alla
calunnia, qui si rasenta l’assurdo. Sono stato assolto per simulazione di
reato. La simulazione di reato è allorquando uno simula le tracce di un reato
perché si inizi un procedimento penale per accertare chi lo abbia commesso. La
calunnia è una qualificazione ulteriore della simulazione di reato perché,
oltre ad essere stato simulato il reato, il simulatore accusa taluno, che sa
innocente, di averlo commesso. Ne consegue che, se il reato non è stato
simulato e c’è una sentenza del GIP Tribunale di Trieste dott. Raffaele Morvay
a testimoniarlo, la calunnia è reato impossibile.” Da ultima, la sfida.
“Chiunque può contattarmi e ottenere una delega per andare in Procura a
ritirare per mio conto il certificato penale. Se lo otterrà, provvederò non
solo a ringraziarlo ma, ovviamente, a rimborsarlo dell’importo delle marche
giudiziarie pari a 19,68 euro. A me non lo consegnano. Magari qualcuno è più
fortunato di me…” E chiude: “Vado avanti sino in fondo, con la tranquillità di
un caterpillar”.
«Presenterò un esposto contro i
magistrati». Preannuncia su “Il Messaggero Veneto” un esposto nei confronti dei
magistrati in servizio nel distretto Corte d'Appello di Trieste Alberto di
Caporiacco, noto politico autonomista e responsabile del "Giornale del
Friul". Dopo essere stato privato della libertà personale dal 27 febbraio
2013 al 28 maggio 2014 in seguito a una vicenda che lo vedeva condannato per
reati di calunnia e falso, di Caporiacco parte all'attacco. «Fui condannato in
primo grado il 19 maggio 2008 – racconta –. Il mio difensore d'ufficio propose
appello. Il 23 aprile 2009 la Corte d'Appello di Trieste giudicò tardivo l'appello
ma quell'ordinanza non mi fu notificata. A questo punto – continua – il
cancelliere della CdA iscrisse "irrevocabile il 6 luglio 2009" in
calce all'ordinanza. Ciò provocò l'irrevocabilità della condanna di primo e
unico grado e io mi vidi raggiunto da un ordine di carcerazione temporaneamente
sospeso per permettermi di chiedere l'applicazione delle pene alternative con
istanza al tribunale di Sorveglianza di Trieste il 25 ottobre 2010» L'arresto
da parte dei carabinieri risale al 27 febbraio. «Sono rimasto in carcere fino
al 20 marzo – riassume –, quindi è stata disposta l'applicazione della pena
presso il domicilio sino al 26 agosto 2014, poi è stato applicato l'istituto
della liberazione anticipata con fine pena effettiva al 28 maggio 2014 e, da
quella data, a Dio piacendo, sono libero. Ritornato a casa il 20 marzo ho
ottenuto permessi per visionare gli atti presso gli uffici giudiziari di
Trieste». Scoprendo alcune incongruenze negli incartamenti Di Caporiacco ha
proposto un procedimento contro i carabinieri. Il 13 aprile 2013 Di Caporiacco
ha presentato un'impugnazione dell'ordinanza della Corte d'Appello di Trieste a
quattro anni di distanza dal pronunciamento. «La Cassazione VI sezione penale
in data 21 novembre 2013 ha giudicato tempestivo il mio atto di impugnazione –
continua Di Caporiacco – quindi mi chiedo se il giorno del mio arresto la
sentenza fosse definitiva». Ora Di Caporiacco sta lottando per avere il proprio
certificato penale per verificare se la condanna era definitiva e se sì da quale
data. Ci prova da tre mesi, per ora senza successo.
E’ rilevante sottolineare il fatto che Alberto di
Caporiacco quando a sua volta ha presentato querela non ha avuto identico
riscontro.
CAMERA DEI DEPUTATI Doc. IV-ter, N. 25-bis-A.
RELAZIONE DELLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
(Relatore: CARMELO CARRARA) SULLA RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA
DI INSINDACABILITA`, AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA
COSTITUZIONE, NELL'AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE NEI CONFRONTI DELL’ONOREVOLE
MOLINARO (deputato all’epoca dei fatti) per concorso ai sensi
dell’articolo 110 del codice penale nel reato di cui all’articolo 595, primo e
terzo comma, dello stesso codice in relazione alla legge 8 febbraio 1947, n. 48
(diffamazione col mezzo della stampa). TRASMESSA DAL GIUDICE PER LE INDAGINI
PRELIMINARI PRESSO IL TRIBUNALE DI UDINE E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA
CAMERA il 24 maggio 1996
Presentata alla Presidenza l’8 ottobre 1997
Atti Parlamentari n. 1 Camera dei Deputati
XIII LEGISLATURA DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI
DOCUMENTI
ONOREVOLI COLLEGHI ! La Giunta è stata chiamata
ad esaminare la richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai
sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell’ambito di un
procedimento penale pendente nei confronti dell’onorevole Paolo Molinaro,
deputato all’epoca dei fatti. La citata richiesta è stata trasmessa dal giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale di Udine ed è pervenuta alla
Presidenza della Camera il 24 maggio 1996. I fatti possono così sintetizzarsi:
con esposto-querela del 30 giugno 1994 Alberto Di Caporiacco, assessore ai beni
culturali del comune di Udine, lamentava di essere stato diffamato a mezzo
stampa dall’onorevole di Forza Italia Paolo Molinaro in quanto nel corso di
un’intervista rilasciata il 20 aprile 1994 al Messaggero Veneto, il Molinaro,
rappresentante friulano del partito forzista, definiva il Di Caporiacco “un
millantatore... con il quale non vi sarà alcun contatto politico... con i
protagonisti del passato regime non ci può esser alcun incontro. Quindi escludo
un contatto con lui. Evidentemente questo signore sogna e poi spera”. In esito
alle indagini preliminari il giudice per l’udienza preliminare, a seguito
dell’eccezione sollevata dall’onorevole Molinaro, ai sensi dell’allora vigente
decreto legge n. 253 del 1996, sospendeva il procedimento disponendo la
trasmissione di copia degli atti del procedimento alla Camera dei deputati. Ciò
premesso, appare indubbio che la frase censurata dal querelante è stata
proferita dal parlamentare Molinaro nell’esercizio divulgativo delle sue
funzioni parlamentari, in qualità di rappresentante friulano del partito di
Forza Italia, e in un preciso contesto politico. Ciò può essere argomentato in
base al fatto che con l’intervista rilasciata al Messaggero Veneto, Molinaro,
nell’esercizio del suo mandato rappresentativo e del suo incarico partitico,
intendeva smentire le precedenti dichiarazioni che il Di Caporiacco aveva
attribuito allo stesso parlamentare, nel senso di un orientamento favorevole
all’ingresso del medesimo Di Caporiacco nel partito di Forza Italia. Pertanto
le parole pronunciate nell’ambito dell’intervista sono da considerarsi
espressione del mandato politico ed istituzionale del Molinaro, essendo dettate
dalla necessità di rettificare l’opinione che l’affermazione del Di Caporiacco
poteva ingenerare nell’elettorato, nel senso di un reale interesse di Forza
Italia ad accogliere il querelante nelle proprie file. Alla stregua di quanto
sopra esposto, la Giunta ha ritenuto alla unanimità di proporre all’Assemblea
di deliberare che il fatto ascritto all’onorevole Molinaro rientri tra quelli
per cui e` prevista l’insindacabilità a norma dell’articolo 68, primo comma,
della Costituzione. Carmelo CARRARA, Relatore.
Ciò tende a dimostrare che chi si ribella non caverà
un ragno dal buco, anzi sarà vittima degli strali dei potenti. Ma bisogna
ribellarsi. Ci si batte non per sè, ma affinchè quello che succede a noi non
accada ai nostri figli.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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