mercoledì 13 novembre 2019

Il Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.


Il Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti.
Il Commento di Antonio Giangrande.
Nel libro di Antonio Giangrande “L’Italia dei Misteri” di centinaia di pagine, veniva riportato, con citazione dell’autore e senza manipolazione e commenti, l’articolo del giornalista Francesco Amicone, collaboratore de “Il Giornale”. Articolo di un paio di pagine che parlava del Mostro di Firenze ed inserito in una più ampia discussione in contraddittorio. L’Amicone, pur riconoscendo che non vi era plagio, criticava l’uso del copia incolla dell’opera altrui. Per questo motivo ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’account dello scrittore Antonio Giangrande su Amazon, su Lulu e su Google libri. Google ha sospeso la pubblicazione del libro oggetto di contestazione, seguito dal ripristino immediato, data l’infondatezza delle pretesa. Invece Amazon e Lulu hanno sospeso addirittura l’intero account con centinai di libri non interessati alla vicenda.
Nei libri di Antonio Giangrande, per il rispetto della pluralità delle fonti in contraddittorio per una corretta discussione, non vi è plagio ma Diritto di Citazione.
La vicenda merita un approfondimento del tema del Diritto di Citazione.
Il processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola.
Alcuni giornalisti contestavano a Saviano l’uso di un copia incolla di alcuni articoli di giornale senza citare la fonte.
Da Wikipedia: Nel 2013 Saviano e la casa editrice Mondadori sono stati condannati in appello per plagio. La Corte d'Appello di Napoli ha riconosciuto che alcuni passaggi dell'opera Gomorra (lo 0.6% dell'intero libro) sono risultate un'illecita riproduzione del contenuto di due articoli dei quotidiani locali Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, modificando così parzialmente la sentenza di primo grado, in cui il Tribunale aveva rigettato le accuse dei due quotidiani e li aveva anzi condannati al risarcimento dei danni per aver "abusivamente riprodotto" due articoli di Saviano (condanna, questa, confermata in Appello). Lo scrittore e la Mondadori in Appello sono stati condannati in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, per 60mila euro più parte delle spese legali. Lo scrittore ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza e la Suprema Corte ha confermato in parte l'impianto della sentenza d'Appello e ha invitato alla riqualificazione del danno al ribasso, stimando 60000 euro una somma eccessiva per articoli di giornale con diffusione limitatissima. La condanna per plagio nei confronti di Saviano e della Mondadori è stata confermata nel 2016 dalla Corte di Appello di Napoli, che ha ridimensionato il danno da risarcire da 60.000 a 6.000 euro per l'illecita riproduzione in Gomorra di due articoli di Cronache di Napoli e per l'omessa citazione della fonte nel caso di un articolo del Corriere di Caserta riportato tra virgolette.
Conclusione: si condanna l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla della sua opera.
Cosa hanno in comune un giurista ed un giornalista d’inchiesta; un sociologo e un segnalatore di illeciti (whistleblower); un ricercatore o un insegnante e un aggregatore di contenuti?
Essi si avvalgono del Diritto di Citazione. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Il Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il Diritto di Citazione si svolge su Stampa non periodica. Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Il diritto di cronaca su Stampa non periodica diventa diritto di critica storica.
NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica Storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
L’art. 21 della Costituzione permette di esprimere liberamente il proprio pensiero. Nell’art. 65 della legge l. n. 633/1941 il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”).
A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
La normativa italiana utilizza l'espressione segnalatore o segnalante d'illeciti a partire dalla cosiddetta "legge anti corruzione" (6 novembre 2012 n. 190). Italia. L'art. 1, comma 51 della legge 6 novembre 2012, n. 190 ha disciplinato per la prima volta nella legislazione italiana la figura del whistleblower, con particolare riferimento al "dipendente pubblico che segnala illeciti", al quale viene offerta una parziale forma di tutela. Negli Stati Uniti la prima legge in tema fu il False Claims Act del 1863, che protegge i segnalatori di illeciti da licenziamenti ingiusti, molestie e declassamento professionale, e li incoraggia a denunciare le truffe assicurando loro una percentuale sul denaro recuperato. Del 1912 è il Lloyd–La Follette Act, che garantisce agli impiegati federali il diritto di fornire informazioni al Congresso degli Stati Uniti d'America. Nel 1989 è stato approvato il Whistleblower Protection Act, una legge federale che protegge gli impiegati del governo che denunciano illeciti, proteggendoli da eventuali azioni di ritorsione derivanti dalla divulgazione dell'illecito.
Quando si parla di aggregatore di contenuti non mi riferisco a colui che, per profitto, riproduce tout court integralmente, o quasi, un post o un articolo. Costoro non sono che volgari “produttori” di plagio, pur citando la fonte. Ci sono Aggregatori di contenuti in Italia, che esercitano la loro attività in modo lecita, e comunque, verosimilmente, non contestata dagli autori aggregati e citati.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di pressreader.com.
Così come fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano notizie proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli di terzi. Vedi  “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.

Dr Antonio Giangrande
www.controtuttelemafie.it




lunedì 29 aprile 2019

Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.


Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna della vergogna.
Il commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese di origine dei responsabili meridionali di un reato e la pena accessoria a cui tenere conto.
Devo dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Detto questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni, tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali, è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6 persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019.  Era un uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano, insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i genitori, ma senza risultati.
Il Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni, secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013. Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata – aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118 intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti. Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste strofe: 
“Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo. Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don Dario.
Non sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui…….. 
Il parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua presenza.
Anche l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il religioso, però, è pronto a smentire.
«Per favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di quelle conversazioni».
Si accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché, come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS. 099.9708396 – 328.9163996
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martedì 19 febbraio 2019

Italia. Educazione civica e disservizi.


Italia. Educazione civica e disservizi.
Sosta selvaggia e raccolta differenziata dei rifiuti.
Lo scrittore e sociologo storico Antonio Giangrande, nel suo ultimo libro (L’Italia allo Specchio. Il DNA degli italiani. Anno 2019. Prima parte. In vendita su Amazon in formato Book o ebook) parla dei parcheggi e della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Italia. Sosta selvaggia ed incompetenza.
I turisti, nel mettere piede in Italia, la prima cosa che notano è che sulla strada ognuno fa quel che gli pare. E’ abbastanza irregolare la circolazione, ma allucinante è il comportamento di chi si ferma con il suo veicolo. Un codice della strada fai da te, insomma.
Il fenomeno più appariscente è la sosta selvaggia.
Ma è possibile che in Italia ognuno parcheggia come gli pare, con il benestare dei vigili urbani e delle amministrazioni comunali?
La trasmissione televisiva di Mediaset, Striscia la Notizia, da sempre e stranamente si occupa solo dei parcheggi riservati ai disabili, occupati da chi non ne ha diritto.
Addirittura, chi si ritiene il più onesto del firmamento, cade nella tentazione della sosta selvaggia: “Multe per doppia fila al comizio della Raggi. I grillini: è un complotto - scrive il lunedì 23 maggio 2016 Carlo Marini su Secolo d’Italia.- Comizio di Virginia Raggi a Roma. A Piana del Sole, periferia romana, gli slogan sono i soliti: “Onestà, onestà”. Ma basta l’arrivo dei vigili urbani per mandare nel panico l’aspirante sindaco M5S e i suoi sostenitori. Una voce dalla platea lancia l’allarme: «Stanno a fa’ le multe». «Proprio adesso dovevano venì». I grillini, che vedono “microchip sotto la pelle” e “complotti” dappertutto, non hanno dubbi. Li palesa il deputato pentastellato al tavolo della Raggi, Stefano Vignaroli «Cioè a Piana del Sole non si vede un vigile nemmeno…». Virginia tace e sorride imbarazzata. Il rispetto delle regole dovrebbe valere per tutti. Anche per chi sa solo gridare “onestà, onestà”.
Eppure in Italia è consentito parcheggiare, ovunque, anche quando non ci sono le strisce che delimitano l’area di sosta, e comunque, come in doppia fila. Il tutto salvo che non ci sia un espresso divieto di legge od amministrativo e che ci sia qualcuno che lo faccia rispettare.
Quindi, lungo la carreggiata cittadina, anche a doppio senso di circolazione, ove l’area di sosta non è delimitata dalle strisce bianche o blu, auto, camper e roulotte, autocarri con rimorchio ed autoarticolati, autobus ed autosnodati possono parcheggiare come, quando e quanto vogliono, pur se intralciano il traffico?  
Per il codice della strada e per la Corte di Cassazione: Sì. Basta che ci sia lo spazio di transito pari almeno a 3 metri.
E per quanto riguarda la sosta in seconda o terza fila?
Il parcheggio in doppia fila è una pratica piuttosto diffusa, soprattutto nelle grandi città dove la carenza cronica di parcheggi crea molti disagi soprattutto a chi ha bisogno di fare una sosta breve, “al volo”, per fare una veloce commissione. Il nostro “5 minuti e poi la sposto” può creare gravi problemi alle auto che risultano bloccate e che non possono muoversi. Oltre ad intralciare la circolazione. “La lascio qui due secondi e torno subito” pensiamo, non rendendoci conto che stiamo infrangendo non solo il Codice della Strada, ma anche il Codice Penale, commettendo un vero reato. Quante volte è capitato di vedere un’auto parcheggiata in doppia fila e di augurarsi che un vigile facesse un’improvvisa comparizione per punire il colpevole?
La sosta in doppia fila è esplicitamente vietata dal Codice della Strada, all’articolo 158, comma 2, lettera c, dove stabilisce, con la stessa occasione, anche la sanzione amministrativa pecuniaria, che oscillerà tra un minimo di 41€ e un massimo di 168€ per i mezzi a quattro ruote, e tra un minimo di 24€ e un massimo di 97€ per le due ruote a motore. L’articolo successivo (art. 159 C.P.) sancisce addirittura la possibilità per gli agenti di Polizia di provvedere ad ordinare la rimozione forzata, nel caso in cui la sosta vietata costituisca un pericolo o un grave intralcio alla circolazione degli altri veicoli. La situazione può però aggravarsi e diventare persino un reato (quindi un’infrazione del Codice Penale), almeno secondo l’interpretazione della Cassazione. I Giudici infatti hanno stabilito con le sentenze 24614/2005 e 32720/2014 che la sosta in doppia fila è idonea ad integrare il reato di violenza privata, proprio a causa dell’ostruzione dell’unica via d’uscita di un altro veicolo.
Quando la legge chiude un occhio. Attenzione però, perché esistono delle situazioni in cui il parcheggio in doppia fila è tollerato. Questo significa che, anche nel caso in cui all’automobilista venga notificata la violazione dell’articolo 158, comma 2, lett. c, del Codice della Strada, egli potrà presentare ricorso e ottenere l’annullamento della sanzione. Ma quali sono questi casi e come individuarli chiaramente? Come è facile immaginare, la legge non specifica i singoli casi in cui sia possibile adottare o meno un certo comportamento, ma si limita a definire i principi fondamentali. I quali, nello specifico, si ritrovano nell’articolo 54 del Codice Penale, che recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Il caso specifico delle eccezioni. Per passare dai principi generali all’applicazione della legge, quand’è che la sosta in doppia fila è consentita? Si tratta di tutti quei casi in cui si prefigurino:
Carattere d’urgenza e imminenza;
Situazione di pericolo non evitabile (non esistono soluzioni alternative);
Condizione di gravità della situazione che si vuole evitare.
Ci penserà l’italica genialità a trovare l’eccezione e la latina persuasione a porre rimedio.
Rifiuti. Affari, ma non per tutti.
Oggetto di raccolta sono i rifiuti domestici e quelli cosiddetti assimilati ovvero quelli derivanti da attività economiche, artigianali, industriali che possono essere assimilati (con decisione del comune tramite apposita delibera) per qualità a quelli domestici.
Natura della tassa sui rifiuti. Il presupposto della tassa è l'occupazione di uno o più spazi, adibiti a qualsiasi uso e giacenti sul territorio del comune dove il servizio di smaltimento rifiuti è reso in maniera continuativa. Quindi, il presupposto impositivo non è il servizio prestato dal comune, ma la potenziale attitudine a produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Infatti, fatta eccezione per i comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, l'importo da corrispondere per questa tassa non è commisurato ai rifiuti prodotti, ma alla quantità di spazi occupati. Tali presupposti danno a questa tassa natura di imposta anziché di tassa, il cui importo viene invece commisurato al servizio prestato. Un altro elemento che lascia propendere verso la natura di tributo è dato dal fatto che la Tassa non è soggetta a IVA, come lo sarebbe invece stato qualunque tipo di servizio.
Ma come mai più si differenzia, più si paga?
Più si conferiva il tal quale indifferenziato, meno si pagava. Che strano ambientalismo!
Prima c’erano i cassonetti dell’indifferenziata. Poche spese e pochi operatori ecologici. In alcune zone scatta l’emergenza dei rifiuti, più per complotti politici e speculazioni economiche per la gestione delle discariche.
Poi ai tradizionali cassonetti si sono aggiunti i contenitori per carta, plastica, vetro, formando le isole ecologiche. Più spese e più operatori ecologici, ma anche più guadagni per la vendita del differenziato. In alcune zone aumenta l’emergenza dei rifiuti, più per complotti politici, ma crescono le speculazioni economiche: per la gestione delle discariche e per gli affari sul differenziato.
La politica si inventa l’ecotassa. Tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica.
Poi siamo arrivati all’oggi. Raccolta porta a porta dei rifiuti. Distribuzione dei contenitori per il conferimento dei vari rifiuti, divisi per specie. In alcuni paesi cinque, ad altri solo due. I colori sono differenti da paese a paese.
Ogni bidone (utenze non domestiche) o bidoncino (utenze domestiche) avrà il suo giorno stabilito per essere svuotato.
L’utente ha bisogno di una laurea. Finisce come la parodia di Ficarra e Picone nel film: l’Ora legale. Ficarra si mangia la buccia del melone, non sapendo dove buttarla e chiede: “Voi a Milano i tovaglioli sporchi di sugo dove li buttate?”
OGNI BIDONE UN COLORE, OGNI COLORE UN TIPO DI SPAZZATURA, TU LI SAI?
Cerchiamo di capire quali sono i colori più utilizzati per i bidoni della spazzatura nella raccolta differenziata dei rifiuti, non esiste ancora uno standard, ma in linea di massima queste sono le colorazioni più usate.
Pur non essendo ancora ufficialmente uno standard, si può dire che per la raccolta differenziata i vari colori dei bidoni seguono questo schema:
Bianco: Carta, cartone (riviste, giornali e materiali cellulosici in generale)
Verde: Vetro (bottiglie, barattoli, specchi, etc.)
Rosso o marroncino: Organico (umido)
Giallo: Plastica riciclabile (bottiglie di bevande, detersivi, prodotti per l’igiene, etc.)
Blu: Alluminio (lattine, imballaggi, bombolette spray, etc.)
Va comunque detto che essendo i comuni gli assegnatari dei vari colori in alcune zone potrebbero esserci delle variazioni, infatti ci sono zone in cui i bidoni blu sono destinati a carta e cartone, quelli verdi a vetro e lattine, quelli gialli alla plastica, quelli marroni o rossi ai rifiuti non riciclabili, quelli arancioni all'indifferenziata e quelli neri ai rifiuti organici. Ma non è finita qui, ad ogni sacco un colore, ad ogni colore un tipo di spazzatura, secondo voi vale la stessa regola e lo stesso abbinamento di colori che abbiamo appena visto per i bidoni? 
Sempre che i bidoni rimangano in nostro possesso in comodato d’uso, perché un nuovo sport prende piede: il furto di bidoni e bidoncini. Le denunce presentate posso riempire centinaia di questi bidoni. E la burocrazia anche in questi casi punisce in modo grave. Dopo la denuncia seguono giorni di attesa e di adempimenti per la sostituzione di un bidoncino di pochi euro di valore.
Poi bisogna combattere anche con l’arroganza degli operatori che ti riprendono per ogni errore: smaltire un certo tipo di rifiuti in giorni sbagliati o in orari sbagliati.
Se poi gli operatori minacciano di sanzione in caso di errore, allora l’ansia cresce.
Intanto le utenze domestiche diventano bombe ecologiche, con tanti contenitori sparsi per casa che non trovano posto.
E che dire delle città e dei paesi che sono delle vere bidonville maleodoranti, ossia strade invase da bidoni perenni posti sui marciapiedi (da 2 a 5 per utenza non domestica, come negozi, ristoranti, attività artigianali e professionali, ecc.).
Dove ci sono loro (i bidoni) è impedito il transito ai pedoni.
Intanto i pseudo ambientalisti osteggiano i termovalorizzatori per meri intenti speculativi.
Rifiuti organici, in Italia un giro d'affari da 1,8 miliardi di euro. Aumenta la raccolta nel 2017, a livello nazionale passa da 107 a 108 kg la raccolta annuale procapite. Lombardia in testa per produzione, scrive La Repubblica il 16 Febbraio 2019.
Sulle tariffe rifiuti, l’Italia non è unita (e i virtuosi sono pochi). I dati sulle tariffe rifiuti fotografano un Paese iperframmentato: i virtuosi pagano meno e solo al top per raccolta differenziata e tariffazione puntuale, scrive Rosy Battaglia il 14.12.2018 su valori.it. Se il giro d’affari dell’industria del riciclo è stimato in 88 miliardi di fatturato, con ben 22 miliardi di valore aggiunto, ovvero l’1,5% di quello nazionale, come riporta lo studio di Ambiente Italia (promosso da Conai e da Cial, Comieco, Corepla e Ricrea) quanto costano, invece, i rifiuti alle famiglie italiane?
I miliardi nel cassonetto: chi vince e chi perde nel grande business dei rifiuti. Un giro d’affari di 11 miliardi: i profitti tutti al Nord e all’estero, dove arrivano centinaia di treni e camion dalle regioni del Centrosud rimaste gravemente indietro, che non possono fare altro che imporre tasse più alte, scrive Daniele Autieri su La Repubblica il 22 maggio 2017.
Raccolta differenziata, tra conflitti di interesse e dati segreti: “Costi a carico delle casse pubbliche”. Tra opacità e critiche dell'Antitrust, il sistema Conai non garantisce la copertura dei costi di raccolta a carico dei Comuni con i prezzi di fatto definiti dai produttori di imballaggi. Una situazione capovolta rispetto a quella di altri Paesi europei, scrive Luigi Franco l'8 Ottobre 2016 su Il Fatto Quotidiano. Domanda numero uno: quanta plastica, carta o vetro da riciclare ha raccolto il tal comune? Domanda numero due: lo stesso comune quanti contributi che gli spettano per legge ha incassato a fronte dei costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi? Due domande le cui risposte sono contenute nella banca dati Anci–Conai prevista dagli accordi tra l’Associazione nazionale dei comuni italiani e il Conai, ovvero il consorzio privato che è al centro del sistema della raccolta differenziata degli imballaggi. Numeri non diffusi ai cittadini, che possono contare solo su un report annuale con dati aggregati. Ma i dati aggregati non sempre vanno d’accordo con la trasparenza. E soprattutto non rendono conto delle incongruenze di una situazione su cui l’Antitrust di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che “il finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”. Con la conseguenza che a rimetterci sono le casse pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi.
Inceneritori in Italia, dove sono e qual è la differenza coi termovalorizzatori. Diversamente dai primi, i termoutilizzatori producono elettricità e non inquinano. Ma c'è il problema CO2. Da Nord a Sud, la mappa completa, scrive Paco Misale il 19 novembre 2018 su Quotidiano.net. Inceneritori e termovalorizzatori. In molti li identificano come la stessa cosa. In realtà, non è così. I primi sono impianti che bruciano i rifiuti e basta, mentre i secondi sono impianti che bruciano i rifiuti per generare energia. Gli inceneritori sono impianti vecchi, che oggi non si costruiscono più: si preferiscono i termovalorizzatori, che permettono non solo di distruggere i rifiuti, ma anche di produrre elettricità.
Termovalorizzatori e inceneritori, ecco verità e bufale, scrive Nino Galloni su Starmag il 19 novembre 2018. Perché si confondono termovalorizzatori e inceneritori? Ha ragione Matteo Salvini, per due ordini di motivi:
1) né le discariche né la differenziata rappresentano la soluzione del problema;
2) il patto o contratto di governo è fondamentale (come rispettare il sabato) ma se ti cade l’asino nel pozzo lo vai a tirar fuori anche se è sabato.
Tuttavia, sia Salvini, sia la stampa e la televisione hanno parlato di termovalorizzatori e di inceneritori. Bene, quarant’anni fa c’erano gli inceneritori e una discreta mafia se ne interessò, ma la loro capacità di inquinare e rilasciare diossina quando gli impianti si raffreddavano era massima. Vent’anni fa arrivarono i termovalorizzatori – dotati di filtri – riducevano l’inquinamento del bruciare, ma non abbastanza, in cambio fornivano energia elettrica da combustione (legno, rifiuti, gasolio, tutto può bruciare). Oggi esistono gli Apparati di Pirolisi; due brevetti italiani, Italgas e Ansaldo. Oggi, dunque, esistono Pirolizzatori di cui un tipo che emette gas combustibile, inerti ed anidride carbonica; ed un altro che non emette l’anidride carbonica perché svolge al chiuso i processi. Perché non si parla di dotare l’Italia di questi apparati attuali? Perché si confondono termovalorizzatori e inceneritori? Perché la mafia non solo non si è interessata ai Pirolizzatori, ma anzi, li ha osteggiati in tutti i modi entrando nella politica e nell’economia per impedirne la diffusione? Perché a Roma Virginia Raggi ed il suo staff non hanno voluto prendere in considerazione tale proposta? Ci sono anche altre tecniche non aerobiche – in cui, sempre al chiuso, intervengono i batteri – e che consentono di trasformare la risorsa “rifiuti” in concimi, fertilizzanti e gas naturali, combustibili, a impatto ambientale negativo (cioè risolvono più problemi dell’abbandonare i rifiuti – come tali – a sé stessi o cercare di riciclarli in modo non efficiente). Intendiamoci, la differenziata e l’economia circolare sono buonissime idee; ma perché vetro, metalli, plastica eccetera vengano recuperati occorre dotare le città di industrie adeguate, non mandare tali risorse in Svezia o in Germania (che, invece, al pari di alcuni lodevolissimi comuni italiani – ma l’eccezione conferma la regola- sanno approfittare di tali opportunità. Credo che dell’ambiente – e non solo – si debba ragionare in modo non propagandistico, valutando bene, di ogni cosa, l’impatto economico, finanziario e sociale. (Estratto di un articolo tratto da Scenari economici)
Rifiuti. Cosa fanno a Parigi. Scrive il Consorzio Recuperi Energetici. Un termovalorizzatore in parte interrato che tratta 460 mila tonnellate di rifiuti l’anno sull’argine della Senna. Vi sembra una fantasia? No è la realtà dell’impianto di Syctom Isseane, a Issy -les- Moulineeaux, un Comune della cintura di Parigi. Il progetto raggruppa 48 Comuni che hanno aderito ad un medesimo piano e si sono messi insieme per smaltire i rifiuti, realizzando quest’impianto. Dal 2007 il centro tratta i rifiuti prodotti di circa un milione di abitanti...Un’apposita carta della qualità ambientale è stata sottoscritta con il comune di Issy che garantisce le condizioni di qualità, di sicurezza e di protezione dell’ambiente. L’impatto sulla salubrità dell’ambiente è regolato da limiti rigorosissimi. Un impianto simile e forse anche più avanzato è quello di Firenze almeno sul ciclo dei rifiuti. Qui si raggiunge il 54% della raccolta differenziata ed entro il 2020 è previsto il 70%. Il termovalorizzatore di Case Passerini eviterà che i rifiuti residui, ossia quelli non riciclabili, siano inviati altrove producendo energia elettrica equivalente al fabbisogno annuo di 40 mila persone, climatizzando l’intero aeroporto ed eliminando lo smog causato dai camion che trasportano rifiuti nelle discariche.
Copenaghen, l'inceneritore con pista da sci sul tetto. Di Maio: "Ce la vedo ad Acerra..." Tutto pronto per il nuovo termovalorizzatore costato 670 milioni di dollari. Produrrà energia a impatto zero. Attorno un parco con piste ciclabili e impianti sportivi. Sul lato più alto della struttura la parete artificiale d'arrampicata più alta del mondo, scrive Paco Misale il 19 novembre 2018 su Quotidiano.net
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS. 099.9708396 – 328.9163996
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venerdì 11 gennaio 2019

I costi occulti di TIM ed Enel.


I costi occulti di TIM ed Enel.
Gli abusi ed i soprusi delle grande aziende di servizi.

Chi di voi è passato da TIM Smart a Tim Connect Fibra Gold? Sicuramente siete stati allettati dalla nuova offerta.
La fibra ultraveloce fino a 1000, il cui costo era azzerato per il primo anno, ed il modem e TIMVISION sempre inclusi, con l’obbligo del servizio TIM Expert di euro 6,90 mensili.
Una volta scelta la nuova offerta e leggi la nuova fattura, ti accorgi che qualcosa non va.
Il servizio Tim Expert non sai cosa sia e se mai lo utilizzerai.
La velocità della fibra ultraveloce fino a 1000 di 5,20 euro al mese (gratis il primo anno) è identica a quella precedente, ossia 100 mega circa. Ed in più te la fanno pagare, altro che gratis il primo anno.
Il noleggio del precedente decoder Tim Vision continua ad essere addebitato nel costo del servizio.
Intanto ti inviano, non richiesto, un nuovo decoder Tim Vision, le cui 48 rate ti vengono addebitate alla voce “Altri Importi” per una volta, due volte, ecc. nella stessa fattura, in numero conseguenziale alle rate contenute nella fattura precedente, come se i decoder Tim Vision fossero più d’uno. Come se tu ne vuoi tanti da metterli in vetrina per tutta la tua casa.
Spesso il Decoder Tim Vision non funziona o si guasta. Essendo in garanzia lo devi cambiare, sì, ma in uno specifico punto vendita lontano oltre 50 km.
Se ti lamenti del fatto che tra noleggio ed acquisto stai pagando 2 o tre Decoder Tim Vision non richiesti e non utilizzabili, il servizio clienti Tim 187 fa finta di non capire, fermandosi a controllare solo i costi del servizio in offerta e non analizzando anche gli altri costi.
Se insisti a spiegare, ti rispondono che è tutto regolare o ti chiudono la telefonata.
Sanno che nessuno inizia una guerra per pochi euro.
Comunque ti consigliano di consegnare a tue onerose spese con pacco postale e con ricevuta di ritorno il decoder Tim a noleggio e di recedere dal servizio.
Rivolgerti all’AGCOM è inutile, per via della farraginosa procedura, che si dimostra altresì inutile, perché la denuncia vale solo ai fini statistici.
La via giudiziaria è da escludere per la ripetizione dell’indebito o per il risarcimento del danno, in quanto devi prima attivare la procedura di conciliazione presso il CoReCom, per poi attivare il Giudice di Pace.
Attivare tutta la trafila per pochi euro non puoi e poi la spesa non vale la candela.
Devi per forza accumulare l’indebito addebitato. Insomma: subisci e taci.
Rivolgersi a quelle trasmissioni televisive di denuncia è vano, sostentandosi, queste, con la pubblicità della Tim.
Alla fine non resta che aspettare una offerta più vantaggiosa dai concorrenti della Tim, sempre che non siano peggio.

L’ENEL poi, fa ancora peggio. Ti addebita:
spesa per materia energia  19,42
spesa per il trasporto energia elettrica e gestione del contatore 18,18
spesa per oneri di sistema 13,16
totale Iva 11,17
Totale bolletta 61,93
CONSUMO EFFETTIVO: 0 (ZERO)

Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS. 099.9708396 – 328.9163996
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