Chi dice Terrone è solo un coglione.
La sperequazione inflazionata di un termine offensivo
come nota caratteristica di un popolo fiero.
L’approfondimento del dr Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha scritto “L’Italia
Razzista” e “Legopoli”.
Sui media spopola il termine “Terrone”. Usato dai
razzisti del centro Nord Italia in modo dispregiativo nei confronti degli
italiani del Sud Italia ed usati dai deficienti meridionali come caratteristica
di vanto.
Così è sempre, così è stato a Pontida il 22 aprile
2017. Sono più di 1500 e molti di loro vestono la t-shirt “terroni a
Pontida” o anche “terroni del Nord”. Sono accorsi a Pontida, in provincia di
Bergamo, da tutta Italia, ma soprattutto da quella Napoli che l’11 marzo
2017 aveva ospitato Matteo Salvini, leader della Lega Nord che proprio qui
a Pontida ha la sua roccaforte. «Abbiamo espugnato Pontida, questa terra
considerata della Lega Nord. Siamo qui per raccontare che per noi non esistono
i feudi della Lega Nord e del razzismo, vogliamo costruire ponti e lo facciamo
con questa festa, che richiama l’orgoglio antirazzista e terrone», ha spiegato
Raniero Madonna di Insurgencia a “La Stampa”. E mentre il sindaco di Napoli
Luigi De Magistris invita sui social i "terroni" a unirsi da
Lampedusa a Pontida si pensa al bis. Il clou del concertone è la canzone
"Gente d'ò Nord", brano che i 99 Posse hanno firmato con una serie di
altri artisti che insieme hanno inciso un doppio cd con il nome di
"Terroni uniti". "C'è tantissima gente. E' un bel posto - ha
concluso Luca O'Zulú dei 99 Posse - perché non farlo diventare da simbolo della
Lega a sede del Concerto Nazionale Antirazzista Migrante e Terrone?".
Un contro-concertone del Primo Maggio gratuito e dal
sapore terrone con 10 ore di musica, interventi e colori degli artisti del Sud,
scrive “La Repubblica” il 26 aprile 2017. In scena in piazza Dante, dalle 14 a
mezzanotte, il festival dell'orgoglio antirazzista e meridionale che ha
iniziato il suo tour a Pontida lo scorso 22 aprile. E in programma c'è una già
terza tappa: Lampedusa. L'annuncio è arrivato dalla voce del sindaco de
Magistris, durante una conferenza stampa che dal Comune si è spostata in piazza
Municipio. "E' un progetto talmente bello - ha detto il sindaco - che lo
riteniamo un progetto della città: ogni primo maggio si dovrà tenere nella
capitale del Mezzogiorno un concerto che abbia come obiettivo i sud del mondo,
i diritti, la solidarietà, l'antirazzismo, il lavoro e la lotta per la
liberazione dei nostri popoli". Un Primo Maggio "terrone" perché
"i terroni difendono il proprio territorio dai rifiuti, dalla malavita,
dallo sfruttamento, dalla finanza predatoria". Ed è proprio sul palco del
Primo Maggio che i Terroni Uniti continueranno il loro tour dopo Pontida, perché
"a Napoli la festa dei lavoratori diventa la festa ribelle dei lavoratori
a nero, dei lavoratori sfruttati, della manodopera dell'informale, delle
vittime clandestine del caporalato".
Interverranno anche gli scrittori “Terroni uniti” come
Maurizio de Giovanni e Antonello Cilento. Una maratona di musica e impegno
sociale che avrà come tema il lavoro, la difesa dei diritti dei lavoratori, dei
disoccupati e delle vittime del caporalato, e l'orgoglio meridionale.
Che figure di merda…più che terroni si è coglioni. Se
già da sé ci si chiama terroni, cosa faranno chi li vuol denigrare?
«Non è un reato dare dei terroni ai terroni, indi per
cui i terroni sono terroni, punto. Arrivano dalla Terronia, terra di mezzo»,
diceva al telefono, parlando di un calabrese, una delle campionesse della
Capitale Morale, quella Maria Paola Canegrati che smistava affarucci e mazzette
per appalti nella Sanità, per circa 400 milioni di euro, a quanto è venuto
fuori sinora. Naturalmente, lady Mazzetta, non sa che, invece, dire “terrone”
con l'intento di offendere, è reato: ci sono sentenze, anche della Cassazione.
Ma a lei deve sembrare un'ingiustizia! «Che cazzo ti devo dire, se adesso è un
reato dare del terrone a un terrone, a 'sto punto qui io voglio diventare
cittadina omanita»...., scrive Pino Aprile il 22 febbraio 2016.
«Io litigioso? È vero, ma sono migliorato… Mi
chiamavano terun, africa, baluba, altro che non incazzarsi…» Dice Teo Teocoli
in un intervista a Gian Luigi Paracchini il 22 luglio 2016 su "Il Corriere
della Sera".
Gli opinionisti del centro Italia “po’ lentoni”
(lenti di comprendonio, anche se oggi l’epiteto, equivalente a “Terrone”, da
rivolgere al settentrionale è “Coglione”) su tutti i media la menano sulla
terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone” come una parola neutra. Come se
fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani della giustizia sulla Lega Padania.
Come tutti. Più di tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché mettersi una
maschera in faccia per la vergogna. Su di loro io, Antonio Giangrande, ho
scritto un libro a parte: “Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni,
illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la
Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di loro, oltretutto,
sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una litania che stanca.
Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia polenta o, come dicono
da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di comprendonio. Comunque
bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della pagina Facebook “Le
perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una “Raccolta di frasi,
aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente dall’emittente
radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela tutto il giorno.
Una gallery di perle pubblicate sulla radio comunitaria che prende soldi
pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si rincorre il Sud come passato, si vince
se il Sud è vissuto oggi come consapevolezza di non poterne fare a meno.
Accettare di essere comunque meridionale e non terrone a qualunque latitudine.
Il treno porta giù, un altro mezzo ti può portare in qualunque altro luogo
senza farti dimenticare chi sei e da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice
al Sud quando ti chiedono chi sia la tua famiglia. È un'espressione
meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si appartiene anche ai luoghi che
vivono dentro di te.
Essere orgogliosi di essere meridionali. Il
meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella
terra natia.
Ciononostante i nordisti, anzichè essere grati al
contributo svolto dagli emigrati meridionali per il loro progresso sociale ed
economico, dimostrano tutta la loro ingratitudine.
Il Terrone visto dai Polentoni, scrive Gianluca
Veneziani. Dopo Vieni via con me è la volta di Sciamanninn, la versione terrona
del programma di successo condotto da Fazio e Saviano. Anche in questo
programma ci saranno degli elenchi. Ma non riguarderanno né i valori di destra,
né quelli di sinistra, e tantomeno i 27 modi di essere gay. Avranno a che fare,
piuttosto, con le caratteristiche tipiche di un meridionale. A stilare la
tassonomia ci penserà un padano. Ecco allora il dodecalogo del terrone visto da
un uomo del Nord. Terrone è:
Barbuto. Pregiudizio in voga soprattutto nei confronti
delle donne. Si perpetua l’idea che le donne meridionali abbiano i baffi. Il
pelo nell’ovulo riecheggia lo stato selvaggio e ferino del nostro Meridione.
Barbaro. Il terrone è considerato un ostrogoto. Per
due ragioni: è rozzo, incurante di ciò che tocca e vede. E, quando apre bocca,
non lo capisce nessuno. Credono che parli ostrogoto.
Barbone. Il meridionale è pensato come un mendicante,
uno che questua soldi e vive a scrocco altrui. Magari un finto invalido che si
mette agli angoli delle strade durante il giorno e la sera va a ballare con i
soldi ricavati dall’elemosina.
Borbone. Pregiudizio storico. Il sudista è ancora
assimilato alla vecchia dinastia pre-unitaria. Contribuiscono al cliché i
cosiddetti neo-borbonici che, con grande tempismo, si fanno sentire adesso che
l’Italia deve spegnere 150 candeline.
Lo sfaticato, che non vuole lavorare. Terrone non
indica più la provenienza geografica, ma un’attitudine lavorativa. È terrone
non chi viene dal Sud, ma chi sgobba poco. Il fannullone, il perdigiorno, chi
lavora con lentezza. Fatto curioso, se si pensa che i terroni vanno al Nord,
appunto, per lavorare. Ma il pregiudizio resta. Terùn, va a lavurà!
Il cafone, il tamarro, il che cozzalone. Fare una
“terronata” significa fare una pacchianata, qualcosa di kitsch e di trash.
Anche se chi la fa è un brianzolo, il nome “terrone” gli si appicca addosso.
Chi a colazione chiede cornetto ed espressino. Il
barista lo guarda perplesso, senza capirlo. In Padania si dice brioche e
marocchino. Occorre adeguarsi. Altrimenti vieni scambiato per un terrone o,
peggio, per un marocchino.
Chi, il venerdì sera, fa il pendolare Nord-Sud e torna
a casa in cuccetta, mentre i lumbard escono per fare l’happy hour Il terrone
fugge dal Nord nel fine settimana: il sabato e la domenica va a consacrare le
feste altrove.
Chi il lunedì mattina torna con lo stesso treno a
Nord. Con un bagaglio però, pesante il doppio, perché la mamma lo ha caricato
di tutte le sue delizie fatte in casa. Quella che si chiama “roba genuina”.
Chi al rientro in ufficio, offe ai colleghi specialità
tipiche del suo Paese (magari le stesse che la mamma gli ha sbattuto in
valigia). Una mia collega di Cava de’ Tirreni ci ha offerto mozzarelle di
bufala campane. È stata festa grande, quel giorno.
Chi è legato alla terra, come dice il nome. Ama la
terra, nel senso dei campi da coltivare: ama la terra, nel senso della propria
terra; e ama la Terra, con la t maiuscola, perché il terrone è soprattutto un
terrestre. Anche se qualcuno lo considera un extraterrestre.
Chi è legato al cielo. Il terrone è umile, cioè vicino
all’humus, alla terra. Ma degli umili è il regno dei cieli.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre
2010.
C’è sempre, però, chi è più terrone di un altro.
L’infelice battuta di Mandorlini. Il suo Verona giocò
e vinse quella finale playoff contro la Salernitana, conquistando la serie B.
Nel dopo partita si lasciò andare a frasi poco carine (Ti amo terrone…), che
scatenarono una disgustosa rissa in sala stampa. E quando Agroppi, opinionista
Rai, lo bacchettò in televisione invitandolo a chiedere scusa per aver offeso
il Sud, replicò in modo beffardo: «Tu sei fuori dal mondo». Mandorlini,
ravennate di nascita, ha giocato in sei squadre, Ascoli quella più a Sud. E
allenato dodici club, più giù di Bologna non è mai sceso. Spesso comportamenti
e dichiarazioni sono state tipiche del leghista, il suo capolavoro resta la
festa promozione in B, ottenuta contro la Salernitana. Saltellava e ballava con
i tifosi gialloblù cantando «Ti amo terrone»: festival del razzismo puro.
Travolto da critiche e polemiche, fece spallucce. Qualche mese più tardi ci
pensò un napoletano, Aniello Cutolo, a rispondergli per le rime a nome di tutti
i terroni: giocava con il Padova, derby veneto a Verona, gol pazzesco del
partenopeo da venticinque metri e di corsa ad esultare in faccia a Mandorlini:
«Ti amo coglione».
“Ti amo terrone, ti amo terrone, ti amo”. Ve lo
ricordate quel coro di Mandorlini? Beh di certo in pochi lo avranno
dimenticato. Per questo ieri ne abbiamo scritto. E’ il simbolo di questo
Paese dove in uno stadio si canta la Marsigliese per ricordare le
vittime degli attentati di Parigi, poi un minuto dopo in quello stesso stadio
si consente a quegli stessi tifosi di inneggiare il solito coretto “Vesuvio
lavali col fuoco”. Certo, se poi un allenatore del Verona, che lavora in una
città ad alto tasso di razzismo, soffia sul fuoco anziché cercare di
educare la propria tifoseria, allora la battaglia è proprio persa. “Ti amo terrone”,
“Lavali col fuoco”, “Napoli colera”. Per quanto tempo ancora vogliamo andare
avanti in questo modo? Fatecelo sapere. Lo capiremo quando anche stavolta,
l’ennesima, non arriverà nessuna sanzione realmente incisiva verso chi canta
queste schifezze insopportabili.
Giovani padani: "Siamo invasi dai terroni" ,
scrive Daniele Sensi su “L’Unità”. «Non è giusto, siamo invasi! Ovunque ti giri
sei sommerso da ‘sti qui che vogliono comandare loro, mi fanno venire la
nausea», sbotta una novarese. «Troppi, ce ne sono troppi, meglio con contarli»,
ribatte un utente di Mondovì. «Ce ne sono tanti, ma molti dei loro figli
crescono innamorati del territorio in cui sono nati e cresciuti», replica un
magnanimo iscritto ligure. Ennesimo dibattito su immigrazione e presunte invasioni
islamiche? No. Il sito è quello dei Giovani Padani, e l'oggetto della
discussione è quanti siano i meridionali residenti nel nord Italia. Non si
tratta solo di un divertito passatempo: lamentando la mancanza di dati
ufficiali («Purtroppo nessuno ha mai pensato di fare un censimento etnico in
Padania, poiché siamo tutti "fratelli italiani"»), sul forum del
movimento giovanile leghista con cura e dovizia vengono incrociate fonti
diverse per tentare di fornire una risposta all'inquietudine che pare togliere
il sonno ad alcuni simpatizzanti. Così, ricorrendo ad una terminologia
allarmante e servendosi del censimento del 2001, delle analisi di alcuni
studiosi dialettali e di quelle relative alle migrazioni interne del dopoguerra
(con una certa approssimazione dovuta all'impossibilità di conteggiare con
precisione i «meridionali nati al nord da genitori immigrati o da matrimoni
misti padano-meridionali») alla fine, tenendo comunque conto «del tasso di
fecondità dei centro-meridionali in base al quale è possibile stimare 3 milioni
di discendenti meridionali nati in Padania, compresi i bambini nati da coppie
miste», il verdetto è di «9 milioni di individui, tra centro-meridionali etnici
e loro discendenti puri o misti». Una stima al ribasso secondo un utente milanese
che arriva a denunciare, nelle statistiche, «la mancanza dei clandestini, cioè
di quelli che sono qui di fatto ma non hanno domicilio o residenza padane».
Dati eccessivamente gonfiati, al contrario, per un altro giovane lombardo,
perché «credo proprio che il meridionale al nord, specie se sposato con una
padana, figli meno rispetto al meridionale che sta al sud». Una ragazza di
Reggio Emilia, invece, pare poco interessata a parametri e variabili: «Non so
quanti siano, non mi interessa il numero, so solo che sono troppi e che stanno
rovinando una zona che era un'isola felice. Girando per strada difficilmente si
incontra un reggiano! Purtroppo stiamo diventando una minoranza e i meridionali
la fanno da padrone».
La Lega, si sa, ha oramai ampliato il proprio bacino
elettorale, pertanto pure un simpatizzante salernitano si inserisce nella
conversazione, e, quasi invocando clemenza («Io sono meridionale ma amo la Lega
e odio i terroni che vengono qui al nord per spadroneggiare e per rompere i
coglioni»), finisce col cedere allo stesso meccanismo di autodifesa visto
attivarsi durante la recente campagna mediatica e politica anti-rom, quando,
per riflesso, non pochi cittadini rumeni quasi si sono messi rivendicare
distinzioni etniche dai loro connazionali residenti nei campi nomadi, poiché
nel gioco all'esclusione c'è sempre chi sta un po' peggio: «Certi meridionali
non possono essere espulsi perché italiani, ma, se si potesse fare una bella
barca, sopra ci metterei i meridionali che non lavorano e gli extracomunitari,
che sono più bastardi dei meridionali». Qualche nordico animatore del forum non
indugia nel mostrare comprensione e solidarietà al fratello salernitano, e si
affretta a precisare come sia possibile ravvisare differenza tra
"meridionali" e "terroni", spiegando che «terrone è colui
che arriva e pensa di essere nel suo luogo di origine, e si comporta di
conseguenza, tanto che nemmeno si offende se lo chiami terrone». Per taluni,
addirittura, il luogo di origine non c'entra proprio nulla, perché «non è la
provenienza che fa l'individuo, e nemmeno il sangue o il colore della pelle, ma
unicamente l'atteggiamento». L'insistenza dei più ostinati («Se ne dicono tante
sui cinesi ma sicuramente li rispetto più di certi meridionali o marocchini o
slavi perché almeno lavorano e si fanno i fatti loro») incontra obiezioni dalle
quali emergono ulteriori sfumature d'opinione tra i giovani padani, quelli più
"cosmopoliti", coinvolti nella surreale disamina, tanto che tra essi
diviene possibile distinguere tra filantropi («Di meridionali ne conosco tanti
e tanti miei amici sono meridionali, per me un meridionale è colui che è venuto
e lavora onestamente»), progressisti («Esempi di integrazione con il passare
degli anni si fanno più frequenti, sono esempi da non snobbare ma anzi da far
diventare casi di scuola: piano piano li integreremo»), e possibilisti («Un
meridionale che lavora e interagisce con gli altri vale quanto un
settentrionale»). Su tutti, però, inesorabile cade il richiamo ad un maggior
pragmatismo da parte dei realisti: «Siete in ritardo di 40 anni, c'è bel altra
gente che invade le nostre città, purtroppo!». Trascorso qualche giorno, sul
forum viene avviata una nuova discussione: «Un test per capire a quale
sottogruppo della razza caucasica apparteniamo». Un test scientifico,
affidabile, perché «per una volta non ci si basa sul colore della pelle, dei
capelli e degli occhi, ma sulla forma del cranio».
Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani,
scrive Francesco Romano su “Onda del Sud”. Trento: “Terrone di merda”.
Operaio reagisce all’insulto con un pugno: licenziato. Al centro della
discussione fra l’uomo e il caporeparto un ritardo dopo una pausa. Il giudice
ha dato ragione all’azienda. “Il Gazzettino.it” di Trento ha riportato la
seguente notizia: - Il caporeparto dell’azienda trentina per la quale
lavorava lo ha appellato “terrone di merda” e lui, un operaio di origini
meridionali, ha reagito all’insulto con un pugno. Per questo è stato
licenziato. Al centro della discussione c’era il presunto ritardo dell’operaio
dopo una pausa. Al termine dell’accesa discussione, il caporeparto avrebbe
mandato via l’operaio dicendo “terrone di merda”. L’operaio avrebbe così
reagito sferrando un cazzotto contro il collega, raggiungendolo di striscio.
Dopo dieci giorni è arrivato il licenziamento in tronco. Da qui la causa
intentata dall’operaio. La sentenza di primo grado del giudice del lavoro di
Trento ha dato ragione al caporeparto in quanto «non è possibile affermare
anche nei rapporti di lavoro la violenza fisica come strumento di affermazione
di sé, anche quando si tratti della mal compresa affermazione del proprio
onore». Un concetto ribadito dalla sentenza d’appello che ribadisce come «la
violenza fisica non può mai essere giustificata da una provocazione rimasta sul
piano verbale». Questo è quello che accade nel profondo Nord. Se non è mobbing
questo, che cos’è. “Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani” era
una vecchissima battuta comica di Francesco Paolantoni. La violenza certamente
non ci appartiene ma forse è arrivato il momento di rivoluzionare il
significato delle parole. Passare da negativo ad uno positivo. Questa è la
cultura leghista che si è affermata al Nord. Dobbiamo subire la discriminazione
dell’emigrazione e ci è impedita l’integrazione in questa nazione proprio
quando ci apprestiamo a festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia.
Mutuiamo il titolo del libro di Lino Patruno “Alla
riscossa Terroni” e “Terroni” di Pino Aprile per farne un motivo di orgoglio
meridionale che deve portarci ad invertire una tendenza che data 150 anni.
Non rivendichiamo un passato di benessere del Meridione, rivendichiamo un
presente migliore per un Sud messo alle corde.
I terroni nascono anche a Gemonio e nelle valli
bergamasche, scrive "L'Inkiesta" il 6 aprile 2012. Leggendo le
cronache, ma, soprattutto, vedendo le immagini, relative al marciume che sta
venendo a galla dai sottoscala leghisti, mi par che si possa dire una grande
verità: l'aggettivo spregiativo "terrone" non si può appioppare solo
ai meridionali, ma, con grande precisione, anche ai miei conterronei nordici.
Devo dire la verità. Io - nordico e fieramente antileghista da molto tempo -
che le storie di roma ladrona, dell'uccello duro, del barbarossa, dell'ampolla
sul diopò (che, a dire il vero, mi par più una saracca che un rito), di riti
celtici, di fazzolettini verdi come il moccio, erano tutte una rozza e
ignorante presa per il culo per ammansire i buoi e farsi in comodo i sollazzi
propri, ne ero convinto da tempo. Da ben prima che si svegliassero i soliti
magistrati (verrà il giorno, in questo paese dei matocchi, che qualche
rivoluzione la farò il popolo?), bastava un po' di fiuto per capire che il
sottobosco era questo. Ma le vedete le facce del cerchio magico? Ma avete
presente la pacchianità della villa di Gemonio? E poi, la priorità alla
"family", come la più bieca usanza del troppo noto familismo amorale,
perchè parlare di "famigghia" era troppo terrone. Ma il dato è che
questi sono - culturalmente, esteticamente e antropologicamente - terroni.
Perchè terrone, per me, non è un epiteto riferibile a una provenienza
geografica I.G.P.; è uno stile deteriore di rappresentarsi, chiuso, retrivo, in
cui il dialetto non è cultura, ma rozzume esibito con orgoglio (e questo vale
tanto per i napoletani, quanto per i veneti), in cui prevale la logica del clan
su quella della civile società, in cui si deve fare sfoggio dell'ignoranza
perchè questo è "popolare". Terrone è un ignorante retrogrado,
cafone, ineducato. Con il risultato che il Bossi e la family sprofondano, il
terronismo impera e un peloso, stantio e pietistico meridionalismo riprende
fiato. Grazie Bossi, grazie leghisti: avete ucciso non solo la dignità del
nord, ma anche la speranza vera che una riforma moderna di questo paese, tenuto
insieme con una scatarrata, si potesse fare. Ah, dimenticavo. Se qualcuno mi
dovesse dire "parla lui, di ignoranza presentata con orgoglio.
Da che pulpito vien il sermone!", dico: "Non
perdete tempo in analisi: son diverso e me ne vanto. Si vuol che dica che sono
ignorante e delinquente. Bene lo sono, in un mondo di saccenti ed onesti
mafiosi, sono orgoglioso di esser diverso. Cosa concludere, di fronte a
tali notizie di carattere storico? Questo: trovo triste che i nostri bravi
leghisti rinneghino le proprie radici arabe, albanesi, meridionali,
mediterranee. Da loro, così orgogliosi della Tradizione, non me lo aspettavo.
Anzi dirò di più. Buon per loro avere origini meridionali, perchè ad essere
POLENTONI si rischia di avere una considerazione minore che essere TERRONE.
Secondo Wikipedia Il termine polentone è un epiteto,
con una connotazione negativa, utilizzato per indicare gli abitanti dell'Italia
settentrionale. Origine e significato. Letteralmente significa mangiatore di
polenta, un alimento, questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera
dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la
polenta rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del
nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) con conseguenze nefaste sulla
salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra. Polentone, come
stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo, e sta
ad indicare una persona zotica un pò lenta di comprendonio (po' lentone). Il
termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra abitanti del nord e
del sud della penisola, essendo usato in contrapposizione all'appellativo
terrone: ambedue le parole hanno connotazioni antietniche, tese a rimarcare una
asserita inferiorità etnica e culturale. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val
Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta e
dai movimenti goffi e impacciati.
Analisi dei termini offensivi. Il termine polentone è
un epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato dagli abitanti
dell'Italia meridionale per indicare gli abitanti dell'Italia settentrionale,
scrive Wikipedia. Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento,
questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera dell'Italia settentrionale.
Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta rappresentava l'alimento
base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord Italia (Lombardia, Veneto,
Piemonte ecc.) purtroppo con conseguenze nefaste sulla salute di molti soggetti
spesso vittime della pellagra, anche se li ha salvati da tante carestie
alimentari. Polentone, come stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un
significato spregiativo nell'Italia del Sud, e sta ad indicare una persona
zotica. Il termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra abitanti
del nord e del sud della penisola, essendo usato in contrapposizione
all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni antietniche, tese
a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale, anche se spesso usate
solo in modo bonario. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto
in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta di comprendonio (tonta)
e dai movimenti goffi e impacciati.
La Padania o Patanìa (lett. Terra dei Patanari,
coltivatori di patate) si estende in tutte le regioni del nord Italia: dalla
Val d'Aosta alla Toscana fino al Friuli Venezia Giulia. È facile collocare
geograficamente la Patanìa vera e pura: si traccia una retta che attraversa
interamente il Po, passando rigorosamente al centro, perché solo la parte nord
del Po è padana. La Padania si definisce anche Barbaria, cioè terra di barbari.
Il mito di una terra popolata da eroi celtici, circondata da terribili barbari
di matrice slava, è il concetto su cui si basa la Lega Nord. Trascurabile il
dettaglio che un tempo la Padania fosse abitata da un'accozzaglia di popoli
oltre ai Celti.
Terrone è un termine della lingua italiana, utilizzato
dagli abitanti dell'Italia settentrionale e centrale come spregiativo per
designare un abitante dell'Italia meridionale, talvolta anche in senso
semplicemente scherzoso, scrive Wikipedia. In passato il termine era utilizzato
con un altro significato e valenza; solo nel corso degli anni sessanta ha
acquisito il senso attuale. Con il termine "terrone" (da teróne,
derivazione di terra) si indicava nel XVII secolo un proprietario terriero, o
meglio un latifondista. Già tra le Lettere al Magliabechi, l'erudito
bibliotecario Antonio Magliabechi (1633-1714) il cui lascito, i cosiddetti
Codici Magliabechiani costituiscono un prezioso fondo della Biblioteca
Nazionale di Firenze, scriveva (CXXXIV -II - 1277): «Quattro settimane sono
scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l'informai del brutto tiro che ci
fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle galere,
contro ogni equità e giustizia, già che ho lavorato tant'anni per terminarlo, e
ora che vedano il negozio buono, lo vogliono per loro». Il termine in seguito
fu utilizzato per denominare chi era originario dell'Italia meridionale e con
particolare riferimento a chi emigrava dal Sud al Nord in cerca di lavoro, al
pari dei nordici milanesi, etichettati come baggiani, che emigravano nelle
valli del Bergamasco, come menzionato da Alessandro Manzoni. Il termine si
diffuse dai grandi centri urbani dell'Italia settentrionale con connotazione
spesso fortemente spregiativa e ingiuriosa e, come altri vocaboli della lingua
italiana (quali villano, contadino, burino e cafone) stava per indicare
"servo della gleba" e "bracciante agricolo" ed era riferita
agli immigrati del meridione. Gli immigrati venivano quindi considerati, sia
pure a livello di folklore, quasi dei contadini sottosviluppati. Il termine,
che deriva evidentemente da "terra" con un suffisso con valore
d'agente o di appartenenza (nel senso di persona appartenente strettamente alla
terra) è stato variamente interpretato come frutto di incrocio fra terre (moto)
e (meridi)one, come "mangiatore di terra" parallelamente a polentone,
"mangiapolenta", cioè l'italiano del nord; come "persona dal
colore scuro della pelle, simile alla terra" o anche come "originario
di terre soggette a terremoti" ("terre matte", "terre
ballerine"). Il suo maggiore utilizzo data comunque essenzialmente agli
anni sessanta e settanta e limitatamente ad alcune zone del nord Italia, in
seguito alla forte ondata di emigrazione di lavoratori e contadini del
meridione d'Italia in cerca di lavoro verso le industrie del nord e in
particolare del triangolo industriale (Genova – Milano – Torino). In tale
ambito si spiega anche la diffusione del termine: storicamente, grossi
movimenti di popolazioni hanno sempre portato con sé anche fenomeni di
intolleranza o razzismo più o meno larvati. Successivamente, allo stesso modo è
sorta la locuzione "terrone del nord", generalmente per indicare gli
italiani del nord-est (principalmente i veneti, detti "boari"), che
per ragioni simili cominciarono negli stessi anni ad emigrare verso il
nord-ovest, venendo così accomunati agli emigranti meridionali. Il
riconoscimento di terrone come insulto e non come termine folkloristico è un
processo che storicamente ha subito molte battute d'arresto e incomprensioni,
probabilmente dovute al fatto che solo una parte della popolazione italiana ne
riconosceva pienamente la gravità e il suo carattere offensivo. La Corte di
Cassazione ha ufficialmente riconosciuto che tale termine ha un'accezione
offensiva, confermando una sentenza del Giudice di Pace di Savona e confermando
che la persona che l'aveva pronunciata dovesse risarcire la persona offesa dei danni
morali. Spesso vengono associati a questo epiteto caratteristiche personali
negative, tra le quali ignoranza, scarsa voglia di lavorare, disprezzo di
alcune norme igieniche e soprattutto civiche. Analogamente, soprattutto in
alcune accezioni gergali, il termine ha sempre più assunto il significato di
"persona rozza" ovvero priva di gusto nel vestire, inelegante e
pacchiana, dai modi inurbani e maleducata, restando un insulto finalizzato a
chiari intenti discriminatori. Inoltre vengono spesso associati al termine
anche tratti somatici e fisici, come la carnagione scura, la bassa statura, le
gote alte, caratteristiche fisiche storicamente preponderanti al Sud rispetto
al Nord Italia.
In conclusione c’è da affermare che bisogna essere
orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante
con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Chi proferisce ingiurie ad altri o a se stesso con il
termine terrone non resta che rispondergli: SEI SOLO UN COGLIONE.
Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie. 099.9708396 – 328.9163996
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