Coronavirus. Covid-19. SARS-CoV-2. Lo conosco.
Li conosco. Testimonianza dall’inferno della malattia.
Intervista al dr Antonio Giangrande, sociologo
storico, autore di “Coglionavirus”, libro in 10 parti che analizza gli aspetti
clinici e sociologici del Virus; la reazione degli Stati e le conseguenze sulla
popolazione.
Dr Antonio Giangrande, lei stesso è stato vittima del
virus, essendo stato ricoverato in gravi condizioni in ospedale. Esprima,
preliminarmente, la sua considerazione da vero esperto del virus.
«I nostri
professoroni, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, al Consiglio Superiore
di Sanità, fino ai componenti dei vari comitati consultivi, saranno titolati,
sì, ma sono assolutamente ignoranti sul tema, essendo il Covid-19 un virus
assolutamente sconosciuto. A dimostrazione di ciò ci sono i pareri e le
direttive espressi nel tempo, spesso in contraddizione tra loro. Si va da
“non è epidemia” dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, al “le mascherine non
servono” del Consiglio Superiore di Sanità. Per non dire delle contrapposizioni
tra gli scienziati. Nonostante ciò, i pseudo esperti hanno imposto regole che
si sono dimostrati essere protocolli della morte.
Il Contagio avviene per aerosol con insinuazione in
ogni orifizio. O si è tutti bardati o ristretti in casa, o si è tutti a rischio
di infezione: altro che mascherina e distanziamento di un metro.
La gente non è morta, o ha sofferto per il Covid-19,
ma per la malasanità e per i protocolli sbagliati.
I posti letto negli ospedali sono mancanti perchè il
ricovero non è tempestivo e con ciò si allungano i tempi di degenza. E le
degenze non sono ristrette, usufruendo della terapia domiciliare o
dell'assistenza domiciliare Usca per i casi più gravi non ospedalizzabili.
I nostri governanti, poi, da incompetenti in materia,
hanno delegato ai sanitari, spesso amici, per pararsi il culo, la gestione
della pandemia. Dico amici che stranamente gli esperti non allarmisti, si
trovano tutti dalla parte dell'opposizione politica. La Gestione maldestra della
pandemia ha comportato gravi conseguenze economiche, sociali e psicologiche.
Scrivere "Coglionavirus" ha comportato la mia rovina economica.
Amazon, piattaforma internazionale su cui quel libro ed altri 200 testi
tematici, erano distribuiti, stampati e venduti, ha cancellato il mio account e
fatto cessare i miei proventi. Un giorno, forse, qualcuno dovrà rendere conto a
Dio ed alla giustizia penale e civile per il male fatto alla popolazione».
Parli di come è stato infettato.
«Per il mio
lavoro e per il mio carattere ho sempre fatto vita riservata, così come mia
moglie. Le uniche uscite erano il fare sport da singolo ed isolato ed il fare
la spesa, con rispetto delle regole imposte: mascherine e distanziamento e
rapportarsi il meno possibile con i genitori anziani. Eppure, questo mio
comportamento esemplare, in ossequio alle regole sbagliate, si è dimostrato
letale.
L’8 novembre 2020 mio fratello fa visita ai genitori:
il giorno dopo ha la febbre.
Il 9 novembre 2020 vado a far visita ai miei genitori
ultraottantenni: mascherina e distanziamento. Presente un terzo fratello. Ho
notato che avevano il riscaldamento alto.
Il 10 novembre 2020, cioè giorno dopo il malessere dei
miei genitori si trasforma in febbre lieve. Per questo motivo tutti i figli,
tre maschi ed una donna, con altri familiari ristretti, gli fanno visita con
mascherina e distanziamento.
I miei due fratelli e mia sorella dopo pochi giorni
hanno evidenziato i primi sintomi. Immediatamente, si è coinvolto il medico curante
che ha provveduto al tampone per tutti. Alla fine risultano tutti infettati,
compresi le loro famiglie. 15 componenti di 4 nuclei familiari. Ai primi
sintomi, correttamente, tutti abbiamo adottato il confinamento domiciliare e
nessuno ha infettato alcuno. Fortunatamente i genitori anziani sono stati pauci
sintomatici, così come gli altri componenti della famiglia. Un fratello
ricoverato in modo lieve. Solo io ho subito le conseguenze gravissime,
rasentando la morte.
Si è scoperto che mio padre è stato infettato
frequentando, con mascherina e distanziamento, un luogo pubblico. Egli pensava
che la lieve febbre fosse dovuta al vaccino antinfluenzale.
Questo sta ha dimostrare due cose:
1. Che la mascherina ed il distanziamento non bastano,
ma bisogna essere bardati con occhiali e visiera per non essere infettati. Il
virus si insinua in ogni orifizio. Il virus è 100 volte più piccolo del
batterio e quindi galleggia nell’aria e con essa si muove. Posso prenderlo dopo
molti metri e dopo molti minuti;
2. Che spesso sono gli anziani ad infettare i giovani
e non viceversa. Perché sono quelli che spesso non rispettano le regole;
3. Molti sono infetti asintomatici e non lo sanno. Ed
infettano in buona fede;
4. Molti sono infetti pauci sintomatici o conviventi
asintomatici o pauci sintomatici di infetti conclamati. Sanno di essere
infetti, ma continuano la loro vita e da criminali infettano gli altri.
5. Ma cosa più importante che ho potuto constatare in
seguito, dopo il mio ricovero, è che ci si infetta principalmente in strutture
protette. Il degente C.mo C.lò è stato infettato in una RSA, quella di Villa
Argento di Manduria e poi trasferito al Giannuzzi di Manduria. Il Degente V.to
T.liente di Martina Franca, ricoverato al Santissima Annunziata di Taranto per altre
patologie, è stato refertato negativo all’arrivo nel nosocomio e poi infettato
in quel reparto. Successivamente trasferito al Giannuzzi di Manduria».
Parli dell’evoluzione della malattia.
«Dal famoso
9 novembre 2020 ho avvertito subito sintomi di malessere e febbre, ma ho
continuato a fare i miei 22 chilometri di corsa e bicicletta. Fino a che la
febbre a 39 e mezzo, senza sintomi specifici, me lo ha impedito. Pensavo fosse
un periodico raffreddore, dovuto alla sudorazione e le temperature anomale, curabile
con la tachipirina e gli antibiotici.
Il 15 novembre 2020 chiamo il medico curante
chiedendogli un antibiotico più potente, con l’ausilio della penicillina, il
cortisone e la protezione. Mi prescrive tutto, meno la tachipirina che è a
pagamento. Antibiotico Azitromicina da 500, cortisone Deltacortene da 25,
Penicillina, protezione, Eparina e sciroppo per la tosse. Per il proseguo della
malattia ha voluto essere informata ed ella stessa si informava. Ha prontamente
contattato l’ASL.
Il 20 novembre 2020 il tampone effettuato risulta
positivo.
Il 22 novembre 2020 alle 10.30 per il persistere della
febbre e per i sintomi di asfissia chiamo il 118. Con l’ossigenazione del
sangue a 82, si decide il ricovero immediato».
Parli del suo ricovero e dell’impatto con il sistema
sanitario.
«Per questa
malattia la tempestività è essenziale. Prima si interviene, prima si impedisce
l’aggravamento, prima si guarisce e nessuno muore. Prima si interviene e meno
giorni sono di degenza e più posti letto sono a disposizione. Così come più
posti letto si ottengono con una degenza limitata sostenuta da assistenza
domiciliare Usca. Invece il sistema sanitario, per non ingolfare gli ospedali
impedisce il ricovero ai pazienti sintomatici fino a farli diventare critici ed
a lunga degenza, o con conseguenze mortali.
Ergo: il protocollo sbagliato porta la morte dei
pazienti e la paralisi delle strutture sanitarie.
La saturazione ottimale del sangue deve essere pari a
100 o quasi. Ogni alterazione comporta un intervento immediato. A mio fratello
è stato impedito un primo ricovero, dal medico del 118, con la saturazione a
92, chiaro sintomo di sofferenza. Tanto che c’è stato l’inevitabile
peggioramento ed il ricovero, con degenza di settimane.
Alle 12 del 22 novembre 2020 inizia la mia odissea.
Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione
del Marianna Giannuzzi. Non ha
tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio
ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad
aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca
Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad
arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero
“Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in
ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza,
era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista
rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga
attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel
piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal
responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande
in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo
per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia
adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto
accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle
ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid,
occupando il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai
mancate le cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia
congestionata per l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.»,
chiarisce la responsabile, riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione
anche la direzione Asl di Taranto che rivolge le proprie scuse al signor
Giangrande ed al figlio, ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata
la massima sicurezza grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori
sanitari presenti. Francesca Dinoi
Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza
prima del ricovero al Giannuzzi.
L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di
Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore
in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre
2020. Un calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di
Avetrana domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo
Quotidiano di Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko
Giangrande. I particolari che l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il
paziente, positivo già da diversi giorni, è stato prelevato dalla sua
abitazione dopo aver effettuato una cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel
piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo le prime ore, l’uomo - provato
dall’attesa ed in evidente stato di agitazione - ha allertato il 112 ed il 113
addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le comunicazioni con la famiglia
avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento respiratorio e la difficoltà
nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle 16.30, gli è stato effettuato un
prelievo di sangue, ma il povero malcapitato – già da più di 4 ore all’interno
dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento e la febbre continuava ad
aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa sempre più inquietante:
«Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che angosciato. In più –
aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era interrotta durante le
ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione e la febbre
continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho contattato
il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a denunciare all’Asl
di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande. Stando a ciò che ha
raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista, sarebbero state ben cinque
le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli dal padre. L’avvocato non
ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi preme evidenziare che
questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di comunicare con l’esterno e
di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un uomo anziano? Non si può
correre il rischio di morire in attesa di essere ricoverati. Questi
inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a novembre perché,
come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore organizzazione» aggiunge
Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le ambulanze per così tante ore
è inconcepibile. E se dovessero servire per un’emergenza? Non ho parole».
Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi
all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione
(ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per recarmi al
pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone
e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero
effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».
Parli della sua degenza in ospedale.
«Traumatica
e psicologicamente devastante. Dante Inferno, Canto III
"...Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate"...
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna..."
Il Reparto.
I Reparti Covid si suddividono in: reparto ordinario Covid; reparto Medicina
Covid (reparto semi intensivo con gestione diversa del paziente); reparto di
terapia intensiva (Rianimazione con assistenza più pregnante per i casi più
gravi), reparti post Covid per la rieducazione polmonare. Sono stato ricoverato
al Reparto Ortopedia Covid dell’ospedale Giannuzzi di Manduria. Quindi curato
anche da ortopedici. Mi portano in una stanza a tre letti. C’è uno di Avetrana
che non vuole esser nominato ed il mio amico Damiano Messina, noto per la sua
ditta di trasporti, che mi ha autorizzato a citarlo. E’ critico e con
criticità, cioè grave e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie
pregresse. In precedenza i suoi polmoni erano stati colpiti da una malattia
simile al Covid 19 dovuta ad un virus trasmesso dai pipistrelli e debitamente
curata. Era proveniente dal Moscati di Taranto, di cui racconta tutto il male
possibile. E’ stato tra i primi degenti del reparto Ortopedia Covid di
Manduria, con altri provenienti dal Moscati di Taranto. Arrivato sabato 14
novembre sera, ha trovato il solito balletto dell’inaugurazione. Però non c’era
ancora acqua per lavarsi, né per bere. Così come mancava l’elemento essenziale:
l’ossigeno. Elemento essenziale e continuativo. Poi sono sempre state
insufficienti le bombolette dell’ossigeno per i degenti sufficienti che
dovevano andare al bagno non accompagnati. Avevo il letto numero 2. In quella
stanza c’era il letto n. 3. Postazione speciale con ossigenazione fino a 20
litri. Adeguata per necessità dopo un caso di emergenza proveniente dalle altre
stanze. Alla dimissione dei miei amici mi hanno spostato nella stanza assieme a
mio fratello, ricoverato al pronto soccorso il giorno prima di me, ma saliti
simultaneamente in reparto. Poi sono stato spostato in un’altra stanza. Avevo
il letto n. 7. Entrambe le stanze avevano un comune denominatore. Le emergenze
delle seconda andavano a finire nella prima. E guarda caso solo la stanza
numero 2 ha avuto emergenze, risultate, poi, mortali. La stanza è una
prigione. Rispetto a noi i reclusi ostativi o del 41 bis del carcere sono in
vacanza. Quando non sei costretto a letto, sei comunque costretto a letto. Non
puoi aprire le finestre, né aprire la porta di entrata/uscita. Così per
settimane. La stanza aveva due telecamere, affinchè i medici avessero la
situazione sempre sotto controllo. In questo modo loro sanno tutto quanto
succede nelle camere, anche delle emergenze. Non puoi ricevere i parenti, ne la
biancheria di ricambio, quindi stesse mutande, stessa maglietta, stesso pigiama
per settimane. Se non hai rasoi o strumenti della manicure diventi un
licantropo.
La pulizia delle stanze. La pulizia era buona e per due volte al dì.
Il Vitto. Il
vitto era decente, ma spesso freddo. Le buste ermeticamente chiuse con l’elenco
del contenuto, come previsto dal capitolato d’appalto, erano sempre aperte a
rischio di contaminazione e con l’acqua mancante. L’acqua era riservata al buon
cuore dei sanitari, su richiesta. La distribuzione del vitto avviene:
Ore 8.00 colazione. Latte macchiato o te, quasi sempre
freddo. Biscotti o fette biscottate con marmellata.
Ore 12. Pranzo. Primo, secondo, pane e frutta. Posate.
Acqua mancante.
Ore 15.30. Cena. Idem come pranzo.
I pazienti.
Paziente inteso come sostantivo si intende una persona affetta da malattia
affidata ad un medico. Paziente inteso come aggettivo si intende una persona
disposta alla moderazione, alla tolleranza ed alla rassegnata sopportazione. In
questo caso verso il Covid e nei confronti dei sanitari.
Per i sanitari la morte di un paziente è sempre
certificata come conseguenza di patologie pregresse: falso!
Nel reparto normale ortopedia Covid di Manduria
venivano ricoverati pazienti critici, ma anche critici e con criticità, cioè
gravi e con comorbidità o comorbilità, ossia patologie pregresse, che
sicuramente avevano bisogno di altro reparto:
con assistenza specialistica semi intensiva ed
intensiva, con interventi invasivi e non invasivi, che un normale reparto non
garantisce;
strumenti specifici come per esempio il casco
respiratorio per ventilazione polmonare o l’intubazione e non la semplice
mascherina polmonare, o l’occhialino polmonare di un normale reparto.
La ossigenoterapia può essere sostenuta da 0 a oltre
venti litri di ossigeno. Dipende dagli strumenti di erogazione. E in quel
reparto non c’erano. Come non c’erano medici specialistici per ogni patologia
riscontrata. Differenze di interventi che possono causare la morte.
Il mio amico Damiano Messina mi parla della sua
esperienza traumatica. Ha assistito alla morte di P.tro D.ghia di Monteiasi, 64
anni. Damiano è stato ricoverato sabato 14 novembre, P.tro è portato nella sua
stanza 2-3 giorni dopo. Il degente critico e con criticità non è stato
ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo
l’emergenza. Il pomeriggio del 16 o 17 novembre è stato spostato di urgenza dal
posto n. 9 della stanza di ricovero e posto al n. 3 della stanza di Damiano. Il
posto è stato adeguato successivamente come postazione speciale. Tutto il
pomeriggio P.tro ha sofferto agonizzante con sintomi di asfissia. Sostenuto con
il solo ausilio del casco respiratorio con ossigenazione a 20. Spesso i
compagni di stanza chiamavano con il pulsante di emergenza, perché il paziente
lasciato solo per molto tempo si spostava e si toglieva il casco, perchè non
dava il ristoro richiesto. L’intervento dei sanitari non era immediato.
L’agonia si è protratta, senza soluzione di continuità, senza che vi sia stato
alcun cambio di intervento terapeutico, fino al primo mattino del giorno dopo.
La morte è intervenuta per inerzia. Spesso la presenza fisica dell'assistenza
dei sanitari non era garantita. Loro hanno visto tutto con le telecamere e non
sono intervenuti. Morte di un essere umano senza il sostegno dei familiari. E’
seguita pulizia della salma e composizione della stessa in un sacco di
plastica. Un uomo diventato una cosa trasferita in obitorio.
La mia seconda stanza era la camera della morte.
Durante la mia decenza, tutti i morti erano ivi ricoverati. C.mo C.lò,
infettato alla RSA Villa Argento di Manduria, del letto n.9 ha preso il posto
di P.tro D.ghia di Monteiasi. Il degente critico e con criticità non è stato
ricoverato in un reparto adeguato alle sue patologie: ne prima né dopo
l’emergenza. Ho convissuto con lui per due giorni dal 3 al 4 dicembre 2020. Era
un continuo chiamare seguito da non immediata risposta. Per due giorni i
parametri erano intorno agli 85-90 per l’ossigenazione e un ritmo
cardiaco intorno ai 135 battiti, mai al di sotto dei 125, senza soluzione di
continuità. La mascherina con il sacchetto gliela hanno messa quando la
saturazione era ad 88, in sostituzione di quella con la proboscide. L’ultima
chiamata di allarme da parte nostra (mia e di mio fratello riuniti nella
stanza) per l’evidente sofferenza del paziente è avvenuta il 4 dicembre 2020.
L’intervento non è stato pronto ed immediato. Loro hanno visto tutto con
le telecamere e non sono intervenuti. Saturazione a 85 e 135 battiti e
strumentazione impazzita. Il ritardo degli interventi mi ha costretto a filmare
gli eventi a fini di giustizia ed informazione. Quando con le telecamere hanno
visto che filmavo con il telefonino la situazione, con i parametri anomali e
gli allarmi sonori della strumentazione, sono intervenuti a spostare il
paziente nella postazione speciale. Subito dopo è intervenuto un energumeno di
infermiere, che con fare minaccioso mi ha intimato, su ordine del medico, di
cancellare il video dal cellulare. C.mo C.lò successivamente è morto, a 56
anni, ma tutti (dagli Oss, fino agli infermieri ed i medici) omertosamente
hanno tenuto nascosto la notizia. Nella postazione n. 8 della mia seconda
stanza un degente non autosufficiente è andato al bagno senza bomboletta di
ossigeno, mancante, così come senza accompagnamento dei preposti a farlo. Loro
hanno visto tutto con le telecamere e non sono intervenuti. Il paziente uscendo
dal bagno ha avuto una mancanza d'aria ed è caduto. Si è schiantato al suolo ed
è morto.
Omertà o meno, peccato per loro che mi sono trovato
sempre nel posto giusto al momento giusto. O sbagliato secondo i punti di
vista.
L’assistenza sanitaria. E’ previsto il Bonus Covid per medici e
operatori sanitari. Va da 600 euro a oltre mille euro. L’1 dicembre 2020 c’è
stata un’infornata di nuove assunzioni e trasferimenti al reparto Ortopedia
Covid di Manduria.
Seconda ondata Covid in Puglia, indagine della Procura
sulla gestione da parte della Regione. Fascicolo
senza indagati né reati: tra gli accertamenti quello sulle assunzioni del
personale sanitario. La Repubblica di Bari il 28 novembre 2020. La Procura di
Bari ha aperto un fascicolo conoscitivo, cioè un modello 45, senza indagati né
ipotesi di reato, sulla gestione della seconda ondata di contagi Covid in
Puglia da parte della Regione. Sugli accertamenti in corso gli inquirenti
mantengono il massimo riserbo. Il fascicolo è coordinato dal procuratore
facente funzione Roberto Rossi. A quanto si apprende, tra gli aspetti su
cui si sta concentrando l'attività investigativa ci sono verifiche
sull'assunzione del personale sanitario.
Gli operatori sanitari, spesso, denunciano che a loro
non viene fatto il tampone di controllo.
Gli operatori della sanità sono considerati degli eroi
a torto dall’opinione pubblica, sotto influenza dei media, così come le forze
dell’ordine ed i magistrati. I medici, gli infermieri e gli Oss, alcuni sono
gentili, altri meno. Alcuni sono capaci, altri meno. Tutti sono corporativi ed
omertosi. Ai richiami di allarme non c’è pronto intervento, salvo eccezioni
dovuti al buon cuore dell’operatore. Ma quello che turba ed inquieta è il loro
distacco ed indifferenza di fronte alla sofferenza ed alla morte. Un giudice
che manda in cella un innocente, spesso dovuto ad un suo errore, è indifferente
e distaccato. Ma un operatore sanitario, se ha una coscienza, non può avere lo
stesso distacco di fronte alla morte, specie se è stata causata per sua colpa o
per colpa di un protocollo criminale.
Comunque delle mie affermazioni sugli operatori
sanitari vi è ampia cronaca di stampa di conforto.
"Tra dieci minuti muori": così il medico al
paziente Covid in fin di vita. Maltrattamenti e furti ai defunti nell'inferno
dell'ospedale di Taranto. Gino
Martina il 4 dicembre 2020 su La Repubblica-Bari. Sono almeno sette gli episodi
che riguardano pazienti ricoverati al Moscati morti dopo giorni. Sarebbero venute
a mancare assistenza e condizioni di ricovero umanamente adeguate: indaga la
procura e anche l'Asl con un'inchiesta interna. Il sindaco convoca i vertici
dell'azienda per un chiarimento. Uno dei racconti più scioccanti è quello di
Angela Cortese. Il padre, Francesco, positivo al Covid, la notte tra l'1 e il 2
novembre aveva fatto il suo ingresso all'ospedale Moscati di Taranto. Dal suo
ricovero al giorno seguente, l'uomo, 78enne, è rimasto in contatto con la
famiglia attraverso il telefonino. Ma ciò che ha comunicato in quelle ore ha
allarmato tutti: "Venitemi a prendere, qui muoio". Il 3 mattina, la
donna, avvocato, parla con un medico che si trova nell'Auditorium dove il padre
era stato sistemato. "Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera
Cpap, fra dieci minuti morirà, preparatevi!". La donna racconta di urla,
di una sorta d'aggressione al telefono. "Ci sentiamo piombare
addosso d'improvviso queste parole terribili - spiega -, quel medico sembrava
una bestia inferocita, contro di noi e mio padre. Ho avuto solo la forza di
chiedere della saturazione e per tutta risposta ho ricevuto altre urla: non c'è
saturazione, vedrete che fra poco muore!". Cortese domanda se il padre
fosse lucido, se stesse lì vicino. "Sì è qui, è qui, mi sta ascoltando,
fra poco morirà!". La donna assiste in questo modo alla sua fine.
"Neanche i veterinari con i cani si comportano in questa maniera",
aggiunge, sottolineando come "Non gli è stata somministrata nessuna
terapia, solo ossigeno, solo la Cpap". Affermazioni, quelle di Cortese,
che dovranno trovare riscontro nella cartella clinica richiesta all'ospedale e
nelle indagini che la procura ha avviato per diversi altri casi di morti nel
presidio sanitario a Nord del rione Paolo VI.
Le inchieste. I procedimenti sono più d'uno, fanno
seguito alle denunce dei parenti, ma sono volti anche a verificare la corretta
osservanza delle misure precauzionali sanitarie da parte della dirigenza
ospedaliera. Il sospetto è che l'organizzazione, le attrezzature e il numero
del personale tra ottobre e novembre non fossero adeguati ad affrontare la
seconda ondata della pandemia, lasciando spazio all'improvvisazione, a
Operatori socio sanitari utilizzati come infermieri e personale sotto stress,
portando a gravi mancanze. Al di là del lavoro della magistratura, sono
almeno sette gli episodi che riguardano degenti del Moscati morti dopo giorni
nei quali sarebbero venute a mancare assistenza e condizioni di ricovero
adeguati, oltre che telefoni e oggetti di valore, come fedi e collane, non
restituiti ai parenti. Su questi ultimi episodi l'Asl ha diffuso una nota nella
quale smentisce che ci possano essere stai dei furti, ma fa emergere anche una
scarsa comunicazione tra l'organizzazione del presidio e gli stessi operatori.
"Nelle singole unità operative coinvolte nei percorsi assistenziali di
presa in carico - scrive l'Asl - sono custoditi e repertoriati numerosi piccoli
oggetti di valore ed altri effetti personali. Intanto il sindaco di Taranto,
Rinaldo Melucci, ha deciso di convocare i vertici Asl: "Se confermati, i
fatti sono di una gravità inaudita".
Maltrattamenti e furti in ospedale a Taranto, il
sindaco convoca i vertici Asl: "Fatti di una gravità inaudita". La Repubblica-Bari il 04 Dicembre 2020.
Gli oggetti smarriti. Si segnala, ad esempio, che
nella cassaforte allocata nel punto di Primo intervento del 118 del presidio
ospedaliero San Giuseppe Moscati, sono custoditi oggetti preziosi, mentre altri
effetti personali quali valigie, telefoni e relativi carica batteria, sono
conservati in aree dedicate del reparto". Nella stessa nota sono stati
pubblicati i contatti e il link dell'ufficio di Medicina legale dell'azienda
sanitaria attraverso il quale poter cercare le cose appartenenti ai propri
cari. Ma alcuni parenti vanno avanti con la denuncia ai carabinieri, come il
caso della famiglia Rotelli, sicura che il telefono del padre sia stato rubato
e manomesso. Come affermano anche altri parenti di altri degenti, che parlano
di video girati all'interno cancellati dai telefoni dei propri cari. "Mia
madre - spiega Tina Abanese, di Massafra - è stata ricoverata in quei giorni
per una crisi respiratoria. È stata maltrattata da alcuni addetti che le
rispondevano in malo modo. Non è stata cambiata per ore. È rimasta anche senza
cibo e dopo due giorni dalla sua morte ci siamo accorti che nella borsa
mancavano la fede e un altro anello, che indossava al momento dell'ingresso in
ospedale".
Il ricovero nel container. Donato Ricci, imprenditore
di Martina Franca, ha perso invece il padre, ex ispettore di polizia. Ha
raccolto i primi di novembre il suo grido d'aiuto. "Chiamate la polizia,
portatemi via da qui", diceva. L'uomo, in salute prima di aver contratto
il Covid, ha anche girato dei video nel container dov'era ricoverato con la
biancheria abbandonata per terra in un angolo. Ricci ha raccolto in un gruppo
Whats'app i contatti di altri parenti di chi non c'è più dopo esser passato in
quei giorni nell'ospedale, durante i quali era anche difficile poter contattare
i propri cari o avere notizie dal personale, per mancanza di un numero
telefonico apposito (è stato attivato nelle ultime settimane). C'è chi racconta
di bagni sporchi, inaccessibili, camere mortuarie con cadaveri sistemati alla
peggio, addetti delle onoranze funebri che li prelevano senza alcuna
protezione. "Abbiamo denunciato la sparizione di anelli, della fede
nuziale e d alcune collane di mio padre - raccontano Mariangela e Pierangela
Giaquinto, figlie di Leonardo, paziente Covid ricoverato il 30 ottobre e
scomparso il 21 novembre - ci hanno detto che avrebbero richiamato se e nel
caso avessero ritrovato qualcosa ma non abbiamo avuto alcune segnalazione. Mio
padre è stato intubato e indotto due volte al coma farmacologico. La seconda,
però, non ce l'ha fatta". A muoversi ora è anche il Tribunale del malato,
che chiede formalmente un intervento della Regione: dall'assessore alla Sanità
Pierluigi Lopalco al governatore Michele Emiliano. "La situazione è
allarmante - spiega la coordinatrice Adalgisa Stanzione - non solo perché ci
sono casi di morti, ma perché c'è stata una sottovalutazione delle autorità
competenti. Se non si aveva personale sufficiente per assistere i pazienti
bisognava agire prima, non arrivare fino ai primi di novembre, quando c'erano
al Moscati 95 persone ricoverate per Covid. Gli Oss hanno dovuto sopperire al
lavoro degli infermieri. Ci stiamo muovendo con le nostre strutture legali per
fare chiarezza. La situazione è migliorata con l'attivazione dei posti alla
clinica Santa Rita e all'ospedale Militare, ma senza personale i posti letto
servono a poco. Il diritto alla salute - prosegue Stanzione - va
rispettato a partire dalla qualità della prestazione che non può essere
soffocata dalla pseudo carenza di infermieri e medici. E poi la gente va
trattata con umanità, va ascoltata, e non attaccata come incompetente e
sprovveduta, da personale sotto stress. La pandemia - conclude - non può essere
affrontata senza mezzi, è come combattere una guerra senza fucili".
In ospedale la morte sospetta di un 68enne. I
familiari: «Abbandonato su una sedia». C'è l'inchiesta. Francesco Casula su il Quotidiano di
Puglia-Taranto Martedì 8 Dicembre 2020. La procura della Repubblica
di Taranto ha disposto l'autopsia sul corpo di un uomo deceduto
all'ospedale Moscati per Covid19, ma per cause ancora ignote
alla famiglia dell'uomo. È stato il sostituto procuratore Remo Epifani ad
aprire un fascicolo contro ignoti e a disporre l'esame autoptico: l'incarico al
medico legale sarà affidato domani mattina nel Palazzo di giustizia e subito
dopo il consulente eseguire gli accertamenti richiesti dal magistrati per
stabilire la reale causa del decesso. Non ci sono, al momento, nomi iscritti
nel registro degli indagati, ma il pubblico ministero Epifani ha ipotizzato il
reato di «responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito
sanitario». È stata la denuncia depositata dai familiari, alcuni dei quali si
sono rivolti all'avvocato Gaetano Vitale, a spingere la procura a effettuare
una serie di approfondimenti. Nella denuncia, infatti, i parenti della vittima
hanno raccontato che l'uomo, dopo aver trascorso una degenza burrascosa dovuta
al peggioramento delle sue condizioni, sembrava aver ormai superato la fase
critica e secondo gli aggiornamenti che il medico di famiglia forniva ai
congiunti, sembravano prossime le dimissioni dall'ospedale. Una mattina, però,
quelle speranze insieme al resto del mondo sono crollate. I familiari hanno
infatti ricevuto la telefonata da un medico del nosocomio tarantino che
annunciava la morte dell'uomo. Nessuna spiegazione sulle cause, nessuna
comunicazione ufficiale che informasse la famiglia di cambiamenti improvvisi
del quadro clinico. Non solo. Secondo le informazioni raccolte da alcuni
parenti, l'uomo di 68 anni con problemi di diabete, sarebbe stato ritrovato già
cadavere nelle prime ore del 18 novembre, non nel suo letto, ma addirittura
seduto su una sedia accanto al suo letto. Un dettaglio che secondo i
denuncianti è la dimostrazione dello stato di abbandono al quale sarebbero
stati costretti i pazienti nei reparti dell'ospedale ionico. E oltre
all'elevato numero di pazienti rispetto a quello del personale sanitario,
denunciato anche dai sindacati nelle scorse settimane, i familiari avrebbero
anche fatto notare come in quella stessa notte in cui sarebbe avvenuta la morte
del 68enne, sarebbero stati registrati anche altri 13 decessi. Per i familiari,
quindi, la causa della morte potrebbe non essere stato il virus contratto
dall'uomo una decina di giorni prima, ma lo stato di abbandono oppure le
negligenze di chi avrebbe dovuto garantire assistenza. E dalle parole dei
familiari, inoltre, sarebbero emerse anche accuse circostanziate rispetto alle
modalità di sistemazione dei pazienti a cui il personale medico e paramedico è
costretto a fare ricorso per affrontare l'emergenza in corso. Sulla vicenda il
pm Epifani ha affidato anche una delega di indagini agli investigatori della
Squadra mobile di Taranto che hanno acquisito la cartella clinica della
vittima. La salma, in attesa dell'autopsia è stata trasferita nelle celle
frigorifere di Bari. Gli elementi raccolti dai poliziotti e dal medico legale
che sarà nominato come consulente della procura per effettuare l'autopsia,
serviranno per ricostruire l'intero quadro della vicenda e poter valutare in
modo chiaro e approfondito le eventuali responsabilità del personale che aveva
in cura il 68enne.
Covid, preziosi scomparsi e disumanità, inchiesta
sull'ospedale: «Vogliamo la verità». Le testimonianze dei familiari delle
vittime: «Quando ci dissero, “faccia poche tragedie”». u il Quotidiano di Puglia-Taranto Sabato 5
Dicembre 2020. «Amore, mi stanno portando in rianimazione, forse m'intubano». È
l'ultimo messaggio che Ubaldo, 62 anni, è riuscito a mandare alla moglie prima
di morire. Un tenero cuoricino rosso per chiudere la frase. Questo, assieme a
tanti altri strazianti messaggi audio e video, farà parte delle denunce, undici
sinora quelle previste, che presenteranno i componenti del gruppo «Per i nostri
parenti», mogli, figlie e figli di altrettanti pazienti deceduti per Covid nei
reparti soppressi dell'ospedale San Giuseppe Moscati di Taranto.
Parenti che chiedono giustizia, spinti da cause diverse: la scomparsa di
oggetti di valore indossati dai propri cari, ma anche presunti comportamenti
dei sanitari al limite del disumano come anche dubbi sul trattamento e sulle
terapie praticate sui pazienti. Anelli, fedi nuziali, orologi e telefoni
cellulari che appartenevano a pazienti morti per Covid, nell'ospedale Moscati
di Taranto, non sono mai più stati consegnati ai parenti che sospettano possano
essere stati rubati. La magistratura ha aperto una inchiesta, mentre l'Asl di
Taranto ha avviato una indagine interna. Ad alcuni cellulari restituiti -
secondo la denuncia dei parenti - sarebbe stata cancellata la memoria che
conteneva importanti ricordi. E forse anche qualcosa di strano che accadeva
nell'ospedale e che era stata filmata e quindi - secondo i familiari delle
vittime - doveva essere cancellata. Tra gli episodi riferiti, quello di un
paziente 78enne la cui figlia ha ricevuto la telefonata di una dottoressa che,
urlando, si lamentava perché l'anziano non sopportava la maschera per
l'ossigeno. Davanti al paziente, che era vigile, la dottoressa avrebbe detto
«se non la tiene muore, fra dieci minuti muore». Pochi minuti dopo la stessa
dottoressa avrebbe chiamato la figlia del paziente dicendo «gliel'avevo detto
che moriva, ed è morto». Nel suo racconto, la figlia di Ubaldo, quello del
tenero e drammatico ultimo messaggio con il cuoricino rosso alla moglie, parla
di «sgarbatezza e disumanità» nel descrivere le comunicazioni tra la famiglia e
il personale dove è stato ricoverato suo padre. La sua storia è simile alle
altre del gruppo. «Nostro padre aveva 62 anni, era pensionato Ilva e soffriva
solo di pressione che controllava bene con una compressa al giorno». Poi
l'incontro con il coronavirus. Otto giorni di cura a casa, il peggioramento dei
sintomi e il ricovero al Moscati. «Gli hanno fatto il tampone risultato poi
positivo e nell'attesa del referto è stato messo in un ufficio adibito a stanza
di degenza dove è rimasto due giorni su una brandina con la borsa degli
indumenti sulle gambe». Finalmente viene sottoposto ad esame Tac che rivela una
grave polmonite da Covid. Viene così spostato nel prefabbricato della
rianimazione modulare e da allora inizia l'odissea della famiglia che non
avrebbe avuto notizie per mancanza di interlocutori. Nel bunker schermato il
telefonino non sempre aveva la linea. Il seguito del racconto è ricco di
telefonate senza risposta o di mezze risposte o di risposte cariche d'astio di
chi dall'altra parte del telefono avrebbe dovuto tranquillizzare e informare
sulle condizioni di salute del malato. E' ancora a figlia a parlare. «Infine il
messaggio di papà alla mamma e poco dopo la telefonata di una dottoressa che c'informa
che dovevano intubarlo. La nostra reazione si può immaginare racconta la figlia
- io stessa ho richiamato subito dopo per avere più informazioni e la risposta
che mi hanno dato non la scorderò mai: "Signora, poche tragedie per favore
perché non posso perdere tempo con lei"». Ubaldo non ce l'ha fatta, è
morto il 7 novembre scorso nella rianimazione del Moscati. Le cause del
decesso, oltre ai comportamenti dei sanitari, saranno i quesiti che i familiari
metteranno nella denuncia che presenteranno appena entreranno in possesso della
cartella cinica. Intanto su questo e sui presunti casi di furto di oggetti di
valore dai cadaveri Covid, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha convocato
il direttore generale Asl, Stefano Rossi. «Si tratta di vicende - commenta il
primo cittadino - se confermate, che oltre ad essere di una gravità inaudita,
vanificherebbero gli sforzi che l'intera comunità sta compiendo e che, in
particolare, stanno compiendo le istituzioni di ogni genere per garantire i
diritti fondamentali dei cittadini in questo particolare periodo. Nessuna
emergenza, infatti conclude il sindaco - può giustificare abusi, superficialità
o deroghe al corretto esercizio di qualsiasi genere di servizio essenziale, a
maggior ragione dei servizi di natura sanitaria».
Gli strumenti della cura. Il saturimetro è uno strumento per la misurazione
dell’ossigeno del sangue e del battito cardiaco. In ospedale, questo strumento
non è ad acchiappapanni, ma è adesivo al dito. Le unghie, il sudore, l'acqua ne
minano l'affidabilità, ma sui parametri falsati, spesso si poggiano le terapie.
La Cura. Per
i sanitari la morte di un paziente è sempre certificata come conseguenza di
patologie pregresse: falso!
L’iter giornaliero è questo:
5.30 prelievi di sangue, a volte l’Emogas arterioso.
Per sottoporsi a emogasanalisi arteriosa non è richiesto il digiuno,
né la sospensione di eventuali terapie in corso. L'esame può essere
moderatamente doloroso. E’ estremamente doloroso se fatto da mani incapaci.
Spesso analisi dell’urine. Tre volte al giorno misurazione della febbre e
misurazione della pressione.
8.30 distribuzione della protezione e del cortisone ed
eventuale flebo.
16.30 somministrazione tramite flebo di antibiotici,
farmaci sperimentali, liquido di lavaggio.
Si crede che rivolgendosi alle strutture sanitarie ci
si possa curare dal covid. Non è così. Spesso si muore. Io posso raccontare la
mia esperienza in virtù del fatto di essere Antonio Giangrande. Esperto del
Virus, fortemente caparbio ed estremamente rompiballe. Io sono a detta di tutti
un miracolato. Ma il miracolo l’ho anche voluto io. Dal primo momento, la
degenza in ospedale è stata caratterizzata dall’essere positivo sia dal Covid,
sia nello spirito. Il mio principio, data la mia esperienza, le mie traversie e
le mie sofferenze, è: me ne fotto della morte. Ed è stato lo spirito giusto. Ho
mantenuto il morale alto ai miei compagni ed intrattenuto ottimi rapporti con
gli operatori sanitari (meglio tenerseli buoi a scanso di ritorsioni).
La mia cura prima del ricovero era: protezione,
antibiotico, cortisone, eparina.
La mia cura in degenza era: protezione, antibiotico,
cortisone, eparina. Uguale!
In aggiunta c’era solo l’ossigenoterapia.
Loro curano la polmonite bilaterale interstiziale. La
polmonite da Covid-19 è altra cosa. Perché è diversa la causa. Se non combatti
la causa, l’infiammazione si aggrava, porta al collasso dei polmoni, in
particolare uno, e mina la funzionalità degli altri organi: da ciò consegue la
morte.
Negli ospedali si attende. Si aspetta l’evoluzione
della malattia. Si aspetta il miracolo. Non c'è evoluzione positiva della
malattia se non si effettua la cura adeguata. Le cure ci sono ma non le
applicano per protocollo.
L’ossigenoterapia a me applicata era pari a 10 litri,
con inalazione tramite mascherina con la bustina.
Tra i medicinali e l’ossigeno, la terapia nel
complesso si è dimostrata inadeguata, tanto da causare l’aggravarsi della mia
situazione. Hanno portato il livello della mia ossigenazione a 15, il massimo
per quel reparto di ortopedia con inalazione tramite mascherina con busta.
Sempre lucido e con il morale alto ho imposto la mia volontà e la mia
competenza. Farmi somministrare, tramite flebo, il “remdesivir”, adottato
contro l’Ebola. Farmaco osteggiato dall’elite sanitaria mondiale e nazionale.
Molti medici hanno fatto la raccolta di firme per l’adozione di questo farmaco
farmaco.
La battaglia sul Remdesivir, il farmaco anti Covid che
divide i due lati dell'Oceano. Elena
Dusi su La Repubblica il 5 dicembre 2020. Per l'Oms non va usato: benefici
inferiori ai rischi. Ma per il prestigioso New England Journal of Medicine a
sbagliare è stata l'organizzazione mondiale per la sanità con sperimentazione
su dati disomogenei. In ballo, oltre alla salute, c'è una fortuna: ogni ciclo
di cura costa 2.400 dollari. C’è un farmaco che funziona in America ma non nel
resto del mondo. E’ il controverso remdesivir, antivirale messo a punto
per Ebola ma “riposizionato” in regime d’emergenza contro il coronavirus, usato
anche per trattare il presidente americano Donald Trump. L’Organizzazione
mondiale della sanità a fine novembre ha pubblicato i risultati di uno studio
da lei coordinato: i benefici del farmaco non superano i rischi. «L’antivirale
remdesivir non è consigliato per pazienti ospedalizzati per Covid-19, a
prescindere dalla gravità della malattia, perché al momento non ci sono prove
che migliori la sopravvivenza o la necessità di supporto di ossigeno». Anche i
risultati dei trial precedenti non erano stati brillanti, ma lasciavano
intravedere un qualche beneficio, come la riduzione dei giorni passati in
ospedale (cinque in meno, in media, rispetto al placebo, secondo uno studio
americano). La pubblicazione targata Oms, avvenuta sul British Medical Journal,
ha spinto anche la nostra Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) a riunire un
tavolo per riscrivere le indicazioni di questo antivirale, che frutta alla casa
produttrice americana Gilead 2.400 dollari per ogni ciclo (5 giorni di
trattamento), somministrato via flebo esclusivamente in ospedale. L’articolo
del British (che mette insieme i risultati di quattro studi diversi per un
totale di 7mila pazienti) ha fatto cadere le azioni dell’azienda farmaceutica,
nel giorno della pubblicazione, dell’8%. Da Boston, sede del
prestigioso New England Journal of Medicine, è subito arrivata la replica:
a sbagliare è l’Oms, scrive la rivista in un editoriale. La sperimentazione
dell’Organizzazione di Ginevra, battezzata Solidarity, è stata condotta in 30
paesi, dalla Svizzera alla Germania, dall’Iran al Kenya. Secondo il New England
non avrebbe raccolto dati omogenei. “Gli standard di cura in queste nazioni
sono variabili, così come la condizione dei pazienti che vengono ricoverati in
ospedale”. Il remdesivir – ribadisce l’altra sponda dell’Atlantico – deve
continuare a essere somministrato. Di questa opinione era, fino alla
scorsa estate, anche l’Europa. Trovatasi a corto di scorte (a luglio la Casa
Bianca si è accaparrata tutte le dosi prodotte da lì a settembre), la Commissione
ha intavolato in tutta fretta una trattativa con Gilead per una fornitura di
500mila dosi al prezzo di 1,2 miliardi di euro. La casa farmaceutica, secondo
un’indiscrezione del Financial Times, conosceva già i risultati scettici dello
studio Oms, ma non li avrebbe comunicati agli europei. “L’Italia – prosegue il
quotidiano inglese – ha pagato 51 milioni per un ordine di remdesivir quando i
casi stavano salendo e le scorte si stavano assottigliando”. Mi hanno
fatto firmare la liberatoria con assunzione di responsabilità, previa nota
informativa, per l’assunzione di un farmaco, non adottato a Manduria e nella
maggior parte degli ospedali italiani. E poi, in previsione di morte certa,
perché non tentare con cure che possono essere anche dannose o inefficaci?
Sull’efficacia del farmaco io sono un testimone,
vivente, ospedalizzato ed attendibile. Dopo due giorni di cure, sì inefficaci,
che mi hanno fatto rasentare la morte con il quadro clinico compromesso ed
aggravante, con 15 litri di ossigeno e saturazione insufficiente, dopo tre
giorni di infusioni con una dose al dì del farmaco, la mia situazione clinica è
immediatamente migliorata. Da 15 litri di ossigeno sono passato a 4, con
ossigenazione a 92, e tutti gli altri valori sono immediatamente migliorati.
Tanto da che il tampone effettuato il giorno 3
dicembre 2020 è risultato negativo».
Tra il ricovero e la dimissione son passati solo 16
giorni, dal 22 novembre dell'attesa del ricovero, avvenuto il 23, fino al 7
dicembre 2020, data delle dimissioni.
«La mia dimissione. Purtroppo la mia dimissione come il mio ricovero è stato traumatico.
Dal 3 dicembre 2020 al 7 dicembre 2020 sono stato costretto a stare da negativo
in un reparto Covid. Le linee guida raccomandano il distanziamento tra coniugi,
positivi e negativi, e poi le autorità permettono la promisquità negli ospedali
Covid. Non è provato scientificamente il periodo di immunità, specie in
presenza di carica virale forte, però in reparto per ben due volte hanno
introdotto nella mia stanza pazienti di prima positività. La seconda volta, il
5 dicembre 2020 notte, addirittura, V.to T.liente di Martina Franca, poverino,
egli stesso infettato in ospedale. Ho consigliato, per impedire la promisquità,
l’appaiamento in stanze separate: vecchi degenti, con vecchi degenti, a minima
trasmissione del virus; nuovi ricoverati con nuovi ricoverati ad alta carica
virale. Risposta: problemi organizzativi. Ergo: troppo lavoro per gli addetti.
Ho detto che la mia degenza non era necessaria perché potevo essere curato a
casa o tramite Usca. Giusto per liberare il letto per nuove emergenze. Insomma
sono stato costretto alla dimissione volontaria, da me imposta ed anticipata da
giorni. L’uscita è stata procrastinata fino alle 19.30 della sera del 7
dicembre. E non voglio pensare che sia stata una sorta di ritorsione.
Positivi e negativi insieme al Giannuzzi, è normale? Lavoceassociazioneculturaleasud.it l'8 Dicembre 2020.
Finalmente negativo. Antonio Giangrande, il “famoso” paziente dell’attesa di
undici ore in ambulanza prima di essere ricoverato all’ospedale Giannuzzi di
Manduria , è finalmente negativo. Tutto bene quel che finisce bene, direte voi.
Invece no. Dopo 15 giorni di ricovero , la degenza procedeva secondo quanto
auspicato, fino all’esito negativo del tampone. A questo punto ci si sarebbe
aspettato uno spostamento di reparto per evitare che un negativo restasse in
stanza con positivi. Ma niente. E risposta negativa è arrivata neanche alla
richiesta del Giangrande di essere spostato almeno in un reparto dove i
negativi non fossero “recenti ” e con altissima carica virale. Come noto, anche
i negativizzati, specie chi ha avuto insufficienze respiratorie, devono
rispettare le solite prescrizioni. La presenza di anticorpi neutralizzanti non
d à certezza scientifica di “immunità” e, come già successo, i guariti possono
essere reinfettati. Da non dimenticare la possibilità di imbattersi in un tipo
di virus mutato contro cui gli anticorpi acquisiti nulla possono fare. A questo
punto, data la possibilità di curare i postumi della malattia con cure
ordinarie e con assistenza domiciliare, il Giangrande è stato costretto alla
dimissione volontaria, per evitare di passare altri giorni da negativo in un
reparto di positivi , anche nuovi, con i relativi rischi per la propria salute
. Con l’assurdo che, in fase di dimissione, è stato raccomandato di non tornare
a casa da coniugi o parenti positivi».
Come conclude questa intervista.
«I positivi
conclamati posti alla pubblica gogna, non sono untori. Essi divenuti negativi,
quindi immuni ed in un certo senso vaccinati, proprio loro devono stare attenti
agli altri, che possono reinfettarli. E poi di questi tempi un contagio da
Covid non si nega a nessuno, specie alla cattiva gente».