LE DONNE IMMIGRATE PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.
Processo alla stampa. Un nuovo capitolo riempie il saggio “MEDIOPOLI. DISINFORMAZIONE.
CENSURA ED OMERTA’”. Il libro di Antonio Giangrande.
La cronaca è fatta di paradossi. Noi avulsi dalla
realtà, manipolati dalla tv e dai giornali, non ce ne accorgiamo. I paradossi
sono la mia fonte di ispirazione e di questo voglio rendere conto.
In Italia dove tutto è meretricio, qualche ipocrita fa
finta di scandalizzarsi sull’esercizio della professione più antica del mondo.
L’unica dove non si ha bisogno di abilitazione con esame di Stato per render
tutti uniformi. In quell’ambito la differenza paga.
Si parla di sfruttamento della prostituzione per chi,
spesso, anziché favorire, aiuta le prostitute a dare quel che dagli albori del
tempo le donne danno: amore. Si tace invece della riduzione in schiavitù delle
badanti immigrate rinchiuse in molte case italiane. Case che, più che focolare
domestico, sono un vero e proprio inferno ad uso e consumo di familiari indegni
che abbandonano all’ingrato destino degli immigrati i loro cari incapaci di
intendere, volere od agire.
Di questo come di tante altre manchevolezze dei media
petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura
ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema
Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono
scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia
del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono
valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed
alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Un esempio. Una
domenica mattina di luglio, dopo una gara podistica a Galatone in provincia di
Lecce, nel ritorno in auto lungo la strada Avetrana-Nardò insieme a mio figlio
ed un altro amico intravediamo sedute sotto il solleone su quelle sedie in plastica
sul ciglio della strada due figure familiari: le nostre vicine di casa. Non ci
abbiamo mai parlato, se non quando alla consuetudinaria passeggiata serale di
uno dei miei cani una di loro disse: che bello è un chow chow! Ciò me li rese
simpatiche, perché chi ama gli animali sono miei amici.
Poi poverette sono diventate oggetto di cronaca. I
loro nomi non c’erano. Ma sapevo trattarsi di loro.
“I carabinieri di
Avetrana hanno denunciato un 31enne incensurato poiché sorpreso mentre
prelevava due giovani rumene dal loro domicilio di Avetrana per condurle a
bordo della sua autovettura, nella vicina località balneare di Torre Lapillo
del comune di Porto Cesareo (Le), dove le donne esercitavano la prostituzione -
scrivevano il 22 agosto 2014 “La Voce di Manduria” e “Manduria Oggi” - I
militari, che da diversi giorni monitoravano gli spostamenti dell’uomo, ieri
mattina, dopo aver pedinato a bordo di auto civetta, lungo tutto l’itinerario
che dal comune di Avetrana conduce alla località balneare salentina, decidevano
di intervenire bloccando l’autovettura con a bordo le due giovani ragazze ed il
loro presunto protettore, proprio nel punto in cui le donne quotidianamente
esercitavano il meretricio. Accompagnati in caserma, le rumene di 22 anni sono
state solo identificare mentre l’uomo è stato denunciato in stato di libertà
alla Procura della Repubblica di Taranto, con l’accusa di favoreggiamento della
prostituzione. Lo stesso è stato inoltre destinatario del foglio di via
obbligatorio dal comune di Avetrana per la durata di tre anni.”
Tutto a caratteri cubitali, come se fosse scoppiato il
mondo. E’ normale che succeda questo in una Italia bigotta e ipocrita, se
addirittura i tassisti sono condannati per aver accompagnato le lucciole sul
loro posto di lavoro e ciò diventa notizia da pubblicare. Le stesse ragazze
erano state oggetto di cronaca anche precedentemente con un altro
accompagnatore.
“Ai domiciliari
un 50enne di Gallipoli per favoreggiamento della prostituzione. Le prostitute,
che vivono ad Avetrana, venivano accompagnati lungo la strada per Nardò,”
scriveva ancora il 18 luglio 2014 “Manduria Oggi”.
“Accompagnava le prostitute sulla Nardò-Avetrana in
cambio di denaro. Ai domiciliari 50enne gallipolino”, scriveva il 17 luglio 2014 il “Paese Nuovo”.
“I militari della Stazione di Nardò hanno oggi tratto
in arresto, in flagranza di reato, MEGA Giuseppe, 50enne di Gallipoli, per il
reato di favoreggiamento della prostituzione. Nell’ambito dei controlli alle
ragazze che prestano attività di meretricio lungo la provinciale che collega
Nardò ad Avetrana, i Carabinieri di Nardò, alcune settimane orsono, avevano
notato degli strani movimenti di una Opel Corsa di colore grigio. Pensando
potesse trattarsi non di un cliente ma di uno sfruttatore o comunque di un
soggetto che favorisse la prostituzione, i militari hanno iniziato una serie di
servizi di osservazione che hanno permesso di appurare che il MEGA, con la
propria autovettura, accompagnava sul luogo del meretricio diverse ragazze,
perlopiù di etnia bulgara e rumena. I servizi svolti dai militari di Nardò
hanno permesso di appurare che quotidianamente il MEGA, partendo da Gallipoli,
si recava in Avetrana, dove le prostitute vivevano e ne accompagnava alcune
presso la provinciale Nardò – Avetrana, lasciandole lì a svolgere il loro
“lavoro” non prima però di aver offerto loro la colazione in un bar situato
lungo la strada. Per cui, avendo cristallizzato questa situazione di palese
favoreggiamento dell’attività di prostituzione, nella mattinata odierna i
militari di Nardò, dopo aver seguito il MEGA dalla sua abitazione e averlo
visto prendere le due prostitute, lo hanno fermato nell’atto di lasciarle lungo
la strada e lo hanno portato in caserma assieme alle due ragazze risultate
essere di nazionalità rumena. Queste ultime hanno confermato di svolgere
l’attività di prostituzione e di pagare il MEGA per i “passaggi” che offre
loro. Viste le risultanze investigative, il MEGA è stato tratto in arresto per
favoreggiamento della prostituzione e, su disposizione del P.M. di turno, dott.
Massimiliano CARDUCCI, è stato posto ai domiciliari presso la sua abitazione”.
Come si evince dal tono e dalla esposizione dei fatti,
trattasi palesemente di una velina dei carabinieri, riportata pari pari e
ristampata dai giornali. Non ci meravigliamo del fatto che in Italia i
giornalisti scodinzolino ai magistrati ed alle forze dell’ordine. E’ un do ut
des, sennò come fanno i cronisti ad avere le veline o le notizie riservate e
segrete.
Fatto sta che le povere ragazze appiedate, (senza auto
e/o patente) proprio affianco al dr Antonio Giangrande dovevano abitare?
Parafrasi prestata da “Zio Michele” in relazione al ritrovamento del
telefonino: (proprio lo zio lo doveva trovare….). Antonio Giangrande
personaggio noto ai naviganti web perché non si fa mai “i cazzi suoi”. E
proprio a me medesimo chiedo con domanda retorica: perché in Italia i solerti
informatori delegati non fanno menzione dei proprietari delle abitazioni affittate
alle meretrici? Anche lì si trae vantaggio. I soldi dell’affitto non sono frutto
delle marchette? Silenzio anche sui vegliardi, beati fruitori delle grazie
delle fanciulle, così come il coinvolgimento degli autisti degli autobus di
linea usati dalle ragazze quando i gentili accompagnatori non sono disponibili.
Un fatto è certo: le ragazze all’istante sono state
sbattute fuori di casa dal padrone intimorito.
Che fossero prostitute non si poteva intuire, tenuto
conto che il disinibito abbigliamento era identico a quello portato dalle loro
italiche coetanee. Lo stesso disinibito uso del sesso è identico a quello delle
loro italiche coetanee. Forse anche più riservato rispetto all’uso che molte
italiane ne fanno. Le cronache spesso parlano di spudorate kermesse sessuali in
spiaggia o nelle piazze o vie di paesi o città. Ma questo non fa scandalo. Come
non fa scandalo il meretricio esercitato dalle nostre casalinghe in tempo di
crisi. Si sa, lo fanno in casa loro e nessuno li può cacciare, nè si fanno
accompagnare. Oltre tutto il loro mestiere era usato dalle ragazze rumene per
mangiare, a differenza di altre angeliche creature che quel mestiere lo usano
per far carriere nelle più disparate professioni. In modo innocente è la
giustifica per gli ipocriti. Giusto per saltar la fila dei meritevoli, come si
fa alla posta. E magari le furbe arrampicatrici sociali sono poi quelle che
decidono chi è puttana e chi no!
Questa mia dissertazione non è l’apologia del reato
della prostituzione, ma è l’intento di dimostrare sociologicamente come la
stampa tratta alcuni atteggiamenti illegali in modo diseguale, ignorandoli, e
di fatto facendoli passare per regolari.
Quando il diavolo ci mette la coda. Fatto sta che
dirimpettai a casa non ne ho. C’è la scuola elementare. Ma dall’altro lato
della mia abitazione c’è un vecchio che non ci sta più con la testa. Lo
dimostrano le aggressioni gratuite a me ed alla mia famiglia ogni volta che
metto fuori il naso dalla mia porta e le querele senza esito che ne sono
conseguite. Però ad Avetrana il TSO è riservato solo per “Zio Michele Misseri”,
sia mai che venga creduto sulla innocenza di Cosima e Sabrina. Dicevo. Queste
aggressioni sono situazione che hanno generato una forte situazione di stalking
che limita i nostri movimenti. Bene. Il signore in questione (dico quello, ma
intendo la maggior parte dei nostri genitori ormai inutili alla bisogna tanto
da non meritare più la nostra amorevole assistenza) ha da sempre delle badanti
rumene, che bontà loro cercano quanto prima di scappare. Delle badanti
immigrate nessuno mai ne parla, né tanto meno le forze dell’ordine hanno
operato le opportune verifiche, nonostante siano intervenuti per le mie chiamate
ed abbiano verificato che quel vecchietto le poverette le menava, così come
spesso tentava degli approcci sessuali.
Rumene anche loro, come le meretrici. Ma poverette non
sono puttane e di loro nessuno ne parla. In tutta Italia queste schiave del terzo
millennio sono pagate 500 o 600 euro al mese a nero e per 24 ore continuative,
tenuto conto del fatto che sono badanti di gente incapace di intendere, volere
od agire. Sono 17 euro al giorno. 70 centesimi di euro all’ora. Altro che caporalato. A queste condizioni non
mi meraviglio nel vedere loro rovistare nei bidoni dell’immondizia. A dormire,
poi, non se ne parla, in quanto il signore, di giorno dorme e di notte si
lamenta ad alta voce, per mantenere sveglia la badante e tutto il vicinato. Il
paradosso è che il signore e la sua famiglia sono comunisti sfegatati da sempre,
pronti, a loro dire, nel difendere i diritti del proletariato ed ad espropriare
la proprietà altrui. Inoltre non amano gli animali. Ed è tutto dire.
Le badanti, purtroppo non sono puttane, ma semplici schiave
del terzo millennio, e quindi non meritevoli di attenzione mediatica.
Delle schiave nelle italiche case nessuno ne parla.
Perché gli ipocriti italiani son fatti così. Invece dalle alle meretrici.
Zoccole sì, ma persone libere e dispensatrici di benessere. Se poi puttane non
lo sono affatto, le donne lo diventano con l’attacco mediatico e gossipparo.
«Marita
Bossetti massacrata con il gossip. Accusata
gratuitamente di avere due amanti. Ma cosa c’entra questo con l’omicidio di
Yara? - si chiede Vittorio
Feltri su “Il Giornale” il 21 agosto 2014 - Siamo basiti. Ieri apriamo il
Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: «Due uomini dai
pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti». Chi è costei? La moglie di Massimo
Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio,
l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del
suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è
stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza.
Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima
incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto -
che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne,
avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima
probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che
non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai
provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato
quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono
presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli
inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la
verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò
che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con
nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una
sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che
qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni
avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal
coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai
fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli
investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti
asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di
Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché
detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di
pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da
mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da
pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando
ufficialmente (zero prove) per puttana. A voi, cari lettori, questa sembra
un'operazione legittima? Comprendiamo la necessità degli investigatori di non
trascurare alcun dettaglio nel tentativo di arrivare a capo dell'orrenda
matassa, siamo altresì consapevoli che dal quadro familiare di Bossetti sia
facile ricavare qualche indicazione utile all'inchiesta, ma prendere per buone
le vanterie di un paio di tizi onde avvalorare l'ipotesi che la famiglia
Bossetti fosse una specie di bordello, in cui ogni crimine poteva maturare,
incluso un omicidio, è troppo. Trattasi di scorrettezza e di crudeltà. Un conto
è sondare la vita di un imputato nella speranza di trovare una chiave per
aprire la sua scatola nera, un altro è ricorrere a mezzucci degni di un
giornaletto scandalistico e indegni, viceversa, di una giustizia decente. I
giudici non devono guardare dal buco della serratura e raccogliere materiale da
portineria, ma costruire un impianto accusatorio credibile, basato su indizi
concreti e non su chiacchiericci volgari che distruggono l'immagine di gente
innocente, comunque non direttamente implicata in un fatto di sangue. Alla
signora Marita Bossetti e ai suo poveri figli, esposti al pubblico ludibrio a
causa di una sciatteria istituzionale imperdonabile, va la nostra solidarietà.
Siamo con loro in questo momento tormentato. Un'ultima osservazione. Noi del
Giornale spesso siamo stati additati quali manovratori della macchina del
fango. Faceva comodo a molti liquidarci così. Ora, davanti alla macchina
produttrice di letame gossiparo, che massacra e lorda tante persone, tutti
zitti. Zitti e complici».
«Yara, un caso nel caso:
gossip estremo o strategia mediatica? Seguendo il corso delle indagini, la cronaca passa ora
ai "raggi X" la vita della moglie di Bossetti: per soddisfare la
curiosità dei lettori o per qualcos'altro? –Si
chiede invece Marco Ventura su “Panorama” - “Massimo Bossetti,
il presunto assassino di Yara”. Questa didascalia sul sito del Corriere
della Sera, cronaca di Bergamo, dice tutto. Dice più di qualsiasi gossip
allungato a giornalisti compiacenti che si prestano a fare da megafono
dell’accusa pur di continuare a beneficiare di “presunti” scoop (dico
“presunti” perché il giornalismo d’inchiesta all’americana, quello vero, non si
affida a una sola fonte, non sposa acriticamente una sola parte, soprattutto si
sviluppa anticipando le indagini, non si riduce a diffondere le veline degli
inquirenti). Quella didascalia è un insulto alla Costituzione (e ai diritti di
tutti noi in quanto potenziali Bossetti), perché “il carpentiere di Mapello”,
come viene sbrigativamente inquadrato dai media, agli occhi della legge e a tutti
gli effetti è l’opposto del “presunto assassino”. È, invece, un “presunto
innocente”, sospettato di aver ucciso l’adolescente Yara Gambirasio. La
didascalia accompagna le foto tratte dalla pagina Facebook dell’uomo (che non è
neppure imputato ma solo indagato). Altri scatti inquadrano la moglie Marita in
macchina che un po’ si vede, un po’ si copre la faccia per evitare i fotografi
il giorno in cui va a farsi interrogare. Sono una, due, tre, quattro, cinque
istantanee pressoché identiche, per soddisfare il “presunto” voyeurismo
compulsivo del lettore. Dico “presunto”, perché a scorrere i commenti alla
notizia delle “presunte” relazioni extraconiugali di Marita sul sito
dell’Huffington Post che riprende il Corriere (un bell’esempio di
complicità mediatica tra il gruppo L’Espresso e il “Corsera”), la gran parte
dei lettori si dice più o meno schifata e indignata, e se la prende con un
certo giornalismo gossiparo che massacra le persone per fare cassetta. Ma la
foto peggiore è quella che campeggia più grande di tutte: Marita a viso aperto,
al mare, circondata dai tre figli avuti con Massimo (già, ci sono pure dei
figli minori, i volti sono graficamente irriconoscibili, ma basta?). In realtà,
dietro quel giornalismo c’è forse qualcosa di più: una strategia mediatica da
parte di chi lavora sulle indagini. È singolare che nei giorni scorsi sia
apparsa la notizia del rifiuto di Marita a farsi interrogare senza il
difensore, Marita che continua a difendere il marito e a proclamare anche
pubblicamente la sua fiducia (ricambiata da Massimo di cui sappiamo, dalle
indiscrezioni dei suoi già cinque interrogatori nessuno conclusivo, che ai
magistrati che lo incalzavano sulle “presunte” avventure della consorte avrebbe
replicato: “Impossibile. Sento il suo amore, ho piena fiducia e rispetto di
lei”). È mai possibile che di fronte a quella che viene presentata come prova
regina, definita dalla stessa difesa di Bossetti come indizio grave, cioè la
“presunta” corrispondenza del Dna del “carpentiere di Mapello” con quello ritrovato
sugli indumenti intimi di Yara (dico “presunta” perché non c’è al momento una
controperizia, una perizia di parte, una ripetizione del test, né un
contraddittorio o dibattimento e tante volte abbiamo visto le prove regine
perdere la corona nei processi), è mai possibile dicevo che vi sia un simile
accanimento sulla famiglia Bossetti, tale da far sospettare (o presumere?) una
disperazione dell’accusa, un’angoscia di non riuscire, nonostante tutto, a
trovare la verità cioè incastrare il “presunto colpevole”? E mi chiedo: se la
moglie (e la madre) di Massimo Bossetti lo avessero “scaricato”, dicendo ai Pm
quello che i Pm vorrebbero tanto sentirsi dire, avremmo ugualmente letto
notizie così orribilmente intrusive della vita privata di persone che non sono
neppure indagate e la cui vita intima non serve probabilmente a far luce
sull’ipotizzato crimine del “carpentiere di Mapello”? Massimo Bossetti ha
saputo dai magistrati di essere figlio illegittimo, ora sa che forse la moglie
gli ha messo le corna (e tutto questo lo sappiamo anche noi). È costretto in
carcere a un isolamento totale, anche nell’ora d’aria, perché gli altri
detenuti gliel’hanno giurata (per loro è il “presunto assassino” di Yara, anzi
per dirla con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è “l’assassino” e
basta). La moglie si trova a dover fronteggiare non solo i magistrati, ma anche
i giornalisti che sanno e partecipano allo scandaglio impietoso della sua
privacy (grazie a chi?) e se si azzarda a dire la sua al settimanale Gente,
c’è subito pronto il solerte cronista di giudiziaria, nello specifico Paolo
Colonnello de La Stampa, che si dedica a sottolineare sotto il titolo
“Yara, le contraddizioni della signora Bossetti”, le “presunte” (il
virgolettato è mio) discrepanze tra le parole della “bella moglie che rilascia
interviste ai settimanali popolari” (stavolta il virgolettato è di Colonnello)
e quelle che Marita ha pronunciato davanti ai Pm. A Paolo vorrei ricordare
quanto lui stesso ha scritto su Facebook tempo fa, in quello che appariva come
un post di encomiabile ma evidentemente “presunta” autocritica, dopo aver
premesso che dubitava dell’innocenza di Bossetti: “Ciononostante mi piacerebbe
che i giornali avessero il coraggio di distinguersi dal trash delle
trasmissioni televisive smettendo di occuparsi di questo caso day by day,
proprio per rispetto dei protagonisti e della loro sofferenza. Piccoli
dettagli, elucubrazioni, fughe di notizie cui io stesso ho partecipato (con
assoluta controvoglia, credetemi) non aggiungono nulla di più a questo punto
alla tragedia che si è ormai consumata. La solita tragedia, verrebbe da dire.
Perché purtroppo, anche grazie alla nostra morbosità, statene certi che si
ripeterà”».
«Dai lettore,
prova a metterti nei panni del mostro. Massimo Bossetti non è soltanto accusato di essere
l'assassino di Yara. Contro di lui si muove uno tsunami distruttivo,
massacrante, implacabile. Domandina: e se poi, invece, fosse innocente? – Si chiede, invece Maurizio Tortorella su “Panorama” - Caro lettore, stavolta ti propongo un gioco: ma fa'
attenzione, perché è un brutto gioco. Facciamo finta che due anni
fa un bruto, un maniaco sessuale, abbia ucciso una povera ragazzina a una
decina di chilometri da casa tua. E facciamo finta che una mattina arrivi da te la polizia, che ti ammanetta e
ti accusa di quell'orribile delitto. Dai magistrati inquirenti, che
t'interrogano, scopri che sul cadavere della poveretta è stato trovato materiale organico che i periti sostengono sia
compatibile con il tuo Dna. Tu non sai proprio spiegartene il
motivo, perché sai perfettamente che sei innocente e in realtà non hai mai
nemmeno visto la ragazzina. Ma gli inquirenti non vogliono sentire ragione: il colpevole sei sicuramente tu. Così
finisci in prigione. I giornali, contemporaneamente, vengono inondati di carte
dell'accusa. Il tuo nome esplode su tutti i mass media, la tua vita viene
passata al setaccio. Il tuo avvocato è in difficoltà: non riesce a fare passare
nemmeno il minimo dubbio. Poi gli inquirenti ti dicono che sono arrivati a te
per vie d'indagine complicatissime. E ti spiegano che grazie a quelle indagini
hanno scoperto, anche, che tuo padre
non è quello che tu hai avuto accanto per decenni, perché in realtà tua
madre ti ha concepito con un altro. Aggiungono che tutto questo è provato con
certezza dallo stesso Dna. A questa rivelazione, ovvio, resti senza fiato. Sui
giornali che ti arrivano in cella leggi che tua madre nega disperatamente,
giura che sei figlio di tuo padre, quello che hai sempre creduto che lo fosse.
Ma chissà se dice la verità... La vita, che già ti è stata sconvolta
dall'arresto e dalle terribili accuse che ti vengono rivolte, ti viene così letteralmente sradicata
dall'anima: anche per via sentimentale. Intanto passi i giorni in cella, dove ti disperi leggendo i giornali che
parlano del caso e cercando di sfuggire alle violenze degli altri reclusi,
tradizionalmente molto ostili a chi viene accusato di aver fatto del male a
donne e a bambini. Pensi e ripensi alla tua vita distrutta, ai tuoi figli che inevitabilmente in paese
vengono additati come «figli del mostro», a quella poveretta di tua
moglie che inutilmente grida alla tua innocenza. I giorni trascorrono,
diventano settimane e mesi. Non sai che fare. Dentro sei come morto. Ti
aggrappi ai tuoi poveri affetti, in questo momento fragili come e più di te.
Pensi solo a tua moglie e ai tuoi figli: sono l'unica cosa che ti resta. Poi
una mattina ti svegli, sempre in cella e sempre terrorizzato, e sul primo
quotidiano italiano leggi un titolo che ti tramortisce. Perché rivela che due
uomini sono stati appena ascoltati dai pm e hanno raccontato loro di essere
stati entrambi amanti di tua
moglie (che hai sposato nel 1999): uno nel 2009 e uno anche più di
recente. Ti domandi se sia vero. Come sia possibile. Ti interroghi anche sul
perché gli inquirenti abbiano deciso di ascoltare i due uomini, che cosa
c'entrino le loro relazioni con l'accusa che ti viene rivolta. L'articolo ti
spiega che i pm vogliono indagare nella
tua vita sessuale, per capire se tutto era «normale». La tua disperazione
a questo punto è totale: non hai più nulla cui aggrapparti. Che ti resta, al
mondo? Pensi alla tua vita, annichilita, e forse vuoi soltanto morire. Ecco,
caro lettore. Io non so se Massimo
Bossetti sia colpevole o innocente dell'orribile delitto di cui è accusato da
oltre due mesi. Ti domando, però, di porre mente a un'ipotesi: e se non fosse colpevole? A
quest'uomo la giustizia italiana ha distrutto tutto: vita, famiglia, affetti.
Gli è accaduto tutto quello che hai appena finito di leggere, e anche molto di
più. È stata una devastazione implacabile, assoluta, senza scampo
alcuno. Certo: è possibile che
Bossetti sia colpevole. E tu allora mi dirai, in un impeto di violenza:
si merita tutto quel che sta soffrendo. Ma che cosa accadrà se invece, in
un regolare processo condotto stavolta non sui giornali ma in un'aula di
tribunale, davanti a una corte puntigliosa e con tutti i crismi di legge, si dovesse appurare che Bossetti è innocente,
magari perché l'analisi del Dna condotta sul corpo della povera Yara è stata
sbagliata? In questi casi ho sempre pensato che sia pratica onesta provare a mettersi nei panni dell'accusato,
ovviamente ipotizzandosi innocenti. Io l'ho fatto, e confesso la mia debolezza:
non so se saprei sopravvivere allo tsunami, alla gogna mediatica e al disastro
esistenziale che mi è stato gettato addosso. Proverei forse a impiccarmi in
cella. Però l'idea mi sconvolge e mi disgusta profondamente. Perché non è
questo il finale giusto, nemmeno nella peggiore vicenda giudiziaria; non può e non
deve esserlo: equivale a dichiarare che la giustizia non esiste. È una
soluzione abietta, vergognosa, indecente, indegna di uno Stato di diritto.
Prova a fare altrettanto. Non ci vuole molto, soltanto un po' di
fantasia. Mettersi nei panni dell'accusato è sempre un esercizio utile: solletica sensibilità intorpidite dalla
voglia di sangue. E magari fa pensare... ».
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
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