giovedì 22 settembre 2016

ASTE TRUCCATE: LINFA PER LA MAFIA.

ASTE TRUCCATE: LINFA PER LA MAFIA.
Una Interrogazione Parlamentare alza il velo dell’ipocrisia a Taranto.
L’Omertà istituzionale, come sempre, ne coprirà la vergogna.
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha pubblicato un saggio denuncia: “Usuropoli. Usura e Fallimenti Truccati”. Il libro contiene un dossier completo anche sulle aste truccate e le inchieste che nel tempo hanno coinvolto gli uffici giudiziari di tutta Italia.
Il dr Antonio Giangrande nella sua inchiesta elenca una serie di casi eclatanti.
Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
Altro tassello anomalo è la costituzione di società ad hoc per la gestione dei fallimenti. Le principali banche hanno infatti costituto apposite società denominate "Asteimmobili", nei principali Tribunali (Roma, Milano, Genova, ecc.), con la finalità di chiudere il cerchio quando i tartassati e maltrattati utenti non hanno la possibilità di adempiere alle obbligazioni, specie su mutui e prestiti. ABI e banche si sono quindi ritrovate ben presto, con personale impiegato nella società costituita “Asteimmobili” a fare lavoro di cancelleria come altri pubblici ufficiali (con la non piccola differenza di non essere entrati per concorso e di non aver dovuto "prestare giuramento di fedeltà" allo Stato) in gangli alquanto delicati come le esecuzioni immobiliari, le procedure fallimentari, gli uffici dei giudici di pace, le corti d'appello sia civili che penali, le stesse procure.
Non si può, comunque, dimenticare che il percorso dei giudici del Tribunale di Milano è stato particolarmente difficile, soprattutto nei confronti di un problema estremamente rilevante quale quello legato alla turbativa d'asta, vero e proprio tallone d' Achille per il sistema delle esecuzioni. E' proprio su questo punto che i giudici sono intervenuti in maniera decisa denunciando alla Procura il fenomeno. I giornali allora parlarono di un "cartello" di speculatori per le “aste truccate”. Una specie di organizzazione in grado di condizione le gare per l'acquisto degli immobili pignorati. Come dire, nessuno poteva partecipare ad un'asta giudiziaria senza pagare una "commissione" che andava dal 10 al 15 percento del valore dell'immobile che intendeva acquistare. In caso contrario il "cartello" soprannominato allora "La compagnia della morte" avrebbe fatto lievitare al prezzo. In passato, a partire dall’esperienza pilota del Tribunale di Milano, stampa ed istituzioni hanno dato grande risalto alla pretesa "innovazione" del sistema delle vendite giudiziarie, dedicando intere pagine, anche di pubblicità a  pagamento, sui quotidiani nazionali, facendoci credere che con gli otto arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d. "compagnia della morte", si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di condizionare le gare d’asta per l'acquisto degli immobili pignorati. Ci hanno spiegato e confermato che per svariati anni una banda di "professionisti" ha potuto agire impunita, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di un "pizzo" pari al 10-15% del valore dell'immobile pignorato e pilotando l'assegnazione su società immobiliari vicine o su professionisti, soggetti privati e prestanome, i cui interessi spesso sono risultati riferibili agli stessi magistrati giudicanti, come nei tanti casi da noi vanamente denunciati. Lo stesso dicasi per quanto attiene l'ambito delle procedure fallimentari, controllate da un vero e proprio racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano, da cui sono stati sottratti in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale capacità di delinquere interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe avvenuto all'insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia, Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto, dagli anni ‘80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando solo negli ultimi anni svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell’obbligo di registrazione delle denunce nell’apposito Registro delle notizie di reato, tassativamente previsto dall’art. 335 c. 1° c.p.p. (26.000 procedimenti insabbiati e occultati in soffitta dalla sola Procura di Brescia).
Quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Da “La Repubblica”. È la condanna emessa dal tribunale di Perugia nei confronti di Pierluigi Baccarini, giudice della sezione Fallimentare del tribunale della capitale accusato di aver "pilotato" diversi procedimenti fallimentari trai quali quello della società che amministrava il tesoro immobiliare della Democrazia Cristiana. L' inchiesta era scattata a Roma dalle indagini dei pm Giuseppe Cascini e Stefano Pesci che nel 2005 avevano scoperto una sorta di "comitato d' affari" che gestiva l'attività fallimentari degli uffici di viale Giulio Cesare.
Dalle cronache dei giornali si apprende che una ispezione amministrativa a Lecce «negli uffici interessati dalle esecuzioni giudiziarie», in particolare a proposito dell’espletamento delle aste giudiziarie, è stata annunciata dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano in conseguenza di quanto emerso dopo l’uccisione di un salentino, Giorgio Romano, che avrebbe fatto affari frequentando appunto le aste giudiziarie. Mantovano lo ha spiegato, parlando a Lecce con i giornalisti. Romano è stato ucciso – a quanto è stato accertato poche ore dopo l’omicidio – da un uomo che, per gravi difficoltà economiche, aveva perso la sua casa e la sua macelleria e sperava di rientrarne in possesso tramite un accordo proprio con Romano, abituale frequentatore di aste giudiziarie. “Un procedimento disciplinare per tutti gli avvocati coinvolti nella vicenda delle aste giudiziarie sottoposte all’indagine della Procura”. È quanto ha annunciato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce Luigi Rella.
Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2011 Giovanni Longo racconta la Fallimentopoli barese. C’è voluto un camion per trasportare tutte le carte da Bari a Lecce. E quando i faldoni sono giunti a destinazione, pare che nella stanza del procuratore di Lecce Cataldo Motta non ci fosse spazio sufficiente. L’inchiesta della Procura di Bari sulle procedure fallimentari si allarga e trasloca: oltre a curatori, consulenti, professionisti, bancari e cancellieri, nel mirino del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza sono finiti anche magistrati in servizio presso il Tribunale del capoluogo pugliese. E dunque il Pm ha passato la mano.
E che dire del caso Cirio. Ci furono accertamenti su presunte irregolarità avvenute nella sezione fallimentare del Tribunale di Roma, che hanno visto coinvolti giudici accusati di aver “pilotato” alcuni fallimenti e che vede una procedura di trasferimento d’ ufficio per incompatibilità, avviata nei confronti di un giudice arrestato per corruzione in atti giudiziari.
E che dire delle aste truccate in Lombardia. Al Tribunale di Milano i magistrati hanno denunciato una loro collega: tentata concussione e abuso d'ufficio nelle nomine dei consulenti, al fine di suddividerne i compensi. A Brescia si è archiviato un procedimento penale per usura, pur essendo stato accertato dal perito della Procura un tasso applicato del 446% annuo.
E che dire dell’intrigo che lega il Piemonte e la Toscana. Un Giudice condannato per tangenti per il fallimento Aiazzone e legato con un esponente della P2 in altri processi in Toscana. All’indomani di una udienza a Prato contro di questo, il suo difensore, noto avvocato e professore milanese, fu trovato morto a causa di uno strano suicidio. Nell’ambito di quei processi si denunciano casi di violazione del diritto di difesa. Sempre in Toscana, si chiede il processo ad un giudice: al magistrato vengono contestati corruzione, concussione, peculato, falso, abuso di ufficio e concorso in bancarotta.
Anche in Emilia Romagna si denunciano casi di lesione del diritto di difesa e del contraddittorio a danno dei falliti.
Nelle Marche l'inchiesta sul crack delle aziende dell'imprenditore sambenedettese ha coinvolto ben 18 personaggi. Fra essi numerosi magistrati, avvocati, curatori fallimentari e dirigenti di banca.
In Abruzzo, l’ex gip teramano, poi giudice a Giulianova e oggi magistrato di Corte d’Appello a L’Aquila e l’attuale presidente del Tribunale di Teramo sono stati coinvolti in un’inchiesta sulle vendite giudiziarie immobiliari partita da un esposto presentato da un cancelliere.
A Lecce, per la prima volta in Europa, è stato dichiarato il fallimento del creditore su richiesta del debitore. L’imprenditore è stato sbattuto fuori di casa, nonostante sia stato assolto dai reati di truffa e falso denunciati dal direttore generale di un noto istituto di credito spacciatosi per suo creditore, mentre era, in realtà debitore dell’imprenditore di cui ha provocato il fallimento. Una vittima spara e uccide il suo aguzzino: solo allora danno il via alle indagini, rimaste da tempo insabbiate.
Ciliegina sulla torta è il caso Palermo e Catania. A Palermo per il fallimento con il trucco, tre giudici rischiano il processo. A denunciare le illegalità un comitato antiracket ed antiusura. La competenza è passata alla Procura di Reggio Calabria. Nei suoi uffici è scoppiato lo scandalo “cimici”. A Catania, con atto ispettivo al Ministro della Giustizia n. 4-29179, l'interrogante On. Angela Napoli, ha denunziato la triplice reciprocità d'indagine tra le procure di Messina, Reggio Calabria e Catania con chiari e vicendevoli condizionamenti su una denuncia di un imprenditore dichiarato, ingiustamente, fallito.
Veniamo a Taranto.
Legislatura 17. Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06370 Pubblicato il 21 settembre 2016, nella seduta n. 683.
Buccarella, Airola, Taverna, Donno, Bertorotta, Puglia, Cappelletti, Serra, Giarrusso, Paglini, Santangelo, Bottici -
Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
si apprende da un articolo apparso su "TarantoBuonaSera", del 13 luglio 2016, che a Taranto ci sarebbero quasi 750 case all'asta, con altrettante famiglie destinate a perdere la propria casa, che nella maggior parte dei casi è proprio quella di abitazione;
la crisi che ha colpito il Paese sta incrementando il fenomeno delle aste immobiliari, soprattutto conseguenti all'impossibilità, da parte dei cittadini, di onorare i mutui contratti (senza sottacere delle tante abusive concessioni di finanziamento, da parte degli istituti bancari, che vanno ad aggravare situazioni fortemente compromesse dalla recessione);
purtroppo, non mancano anche conseguenze estreme, come i suicidi ed anche gli omicidi-suicidi di interi nuclei familiari, ad opera di persone ritenute perbene e tranquille, ma che, nella morsa della crisi, non ravvisando vie di soluzione (nemmeno in conseguenza di azioni giudiziarie, che spesso non risultano loro favorevoli), compiono tali deprecabili atti, e i numeri depongono per un vero olocausto di italiani;
dall'Osservatorio suicidi per la crisi economica, gli interroganti hanno rilevato che negli ultimi 4 anni, ovvero tra il 2012 e il 2015, si sono verificati 628 suicidi, in media uno ogni 2 giorni. Ecco alcuni casi, verificatisi solo negli ultimi 12 mesi, balzati agli onori delle cronache: l'omicidio-suicidio di Boretto: agosto 2016, Albina Vecchi, 71 anni, uccide il marito Massimo Pecchini, 77 anni, e poi si uccide perché la loro casa è andata all'asta; 30 maggio 2016, Stefano, pescatore genovese di 55 anni tenta il suicidio perché senza lavoro da mesi, da quando gli era stata sequestrata l'imbarcazione con la quale usciva in mare, e, sfrattato dalla sua abitazione, era costretto ad occupare abusivamente un alloggio del Comune; marzo 2016, Sisinnio Machis, imprenditore di 58 anni, si è suicidato a Villacidro dopo il pignoramento della propria casa; gennaio 2016, Maurizio Palmerini, cinquantenne di Vaiano, frazione di Castiglione del Lago (Perugia), ha ucciso i suoi figli, Hubert di 13 e Giulia di 8 anni, a coltellate e ferito la moglie, poi si è tolto la vita; gennaio 2016, dopo il suicidio del signor Guarascio per aver subito lo sfratto, i deputati dell'Assemblea regionale sciliana del Movimento 5 Stelle comprano la casa andata all'asta e la restituiscono alla sua famiglia; dicembre 2015, un imprenditore si impicca a Lodi perché la sua casa viene messa all'asta;
risulta, inoltre, agli interroganti che presso il tribunale di Taranto, al quarto piano dedicato alle aste immobiliari, si sarebbero imposte prassi non del tutto conformi alla legge (come quella di vendere i beni pignorati anche al "prezzo vile", favorendo gli "avvoltoi" di turno e, verosimilmente, la stessa criminalità) a cui si aggiunge la tendenza a prestare maggiore attenzione alla prosecuzione delle esecuzioni immobiliari, piuttosto che alla tutela ed alle garanzie dei soggetti esecutati o falliti;
sempre presso il tribunale di Taranto, sarebbero diversi i cittadini ad aver lamentato abusi e violazioni di legge da parte dei magistrati chiamati a decidere le loro controversie, con grave nocumento dei loro diritti;
di recente a quanto risulta agli interroganti, la signora Maria Giovanna Benedetta Montemurro, presso il tribunale di Taranto, ha incardinato una procedura di opposizione avverso l'esecuzione immobiliare n. 168/1986 R.G.E., tentando di far valere molteplici ragioni a sua tutela. Nel ricorso, tra i tanti motivi di opposizione, invocando il "decreto Banche" (rectiusdecreto-legge n. 59 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2016), la signora Montemurro ha anche dedotto che il giudice non poteva procedere all'aggiudicazione atteso che, nella fattispecie, il prezzo di vendita era inferiore al limite della metà e che erano stati esperiti tentativi di vendita oltre il numero consentito dal citato decreto-legge. Effettivamente il recente decreto-legge n. 59, andando a completare il quadro normativo disciplinante la materia, non ha trascurato proprio i profili di tutela delle parti, creditrice e debitrice, soprattutto al fine di evitare che la vendita avvenga oltre determinati limiti e per un tempo indefinito;
la vendita al "prezzo vile", ovvero al prezzo lontano da quello di mercato, danneggia sia il debitore che lo stesso ceppo creditorio (con il rischio concreto di vendere le case e non soddisfare nemmeno le ragioni dei creditori) e pare anche certo che, indipendentemente dalle modalità di vendita (con incanto o senza), dal sistema delle norme che presidiano le esecuzioni immobiliari può ricavarsi che la vendita non possa avvenire ad un prezzo inferiore al limite della metà del valore del bene espropriando, così come stabilito dal tribunale ai sensi dell'art. 568 del codice di procedura civile;
tuttavia, nonostante l'apparente e verosimile fondatezza del ricorso proposto dalla signora Montemurro, il giudice dell'esecuzione ha rigettato le sue ragioni, peraltro in circostanze di tempo così rapide da destare, a parere degli interroganti, non poca inquietudine: il ricorso è stato presentato alle ore 12.30 del 24 maggio 2016; il magistrato ha ricevuto il fascicolo il 25 maggio (perché lo ha "ereditato" da altro magistrato che ha inteso astenersi); nella medesima data del 25 maggio il magistrato ha rigettato la tutela cautelare chiesta dalla Montemurro; solo il giorno successivo, ovvero il 26 maggio, ha provveduto all'aggiudicazione, a giudizio degli interroganti in maniera se non illegittima quanto meno in modo poco prudente, in considerazione del fatto che si trattava di espropriare un immobile adibito ad abitazione;
considerato che a quanto risulta agli interroganti:
la signora Montemurro, ritenendo di non avere ricevuto alcuna tutela in sede civile, con atto del 24 giugno 2016, ha adito il giudice penale ed ha denunciato non solo il giudice dell'esecuzione, ma anche il "sistema" aste presso l'organo di giustizia. Nel suo esposto, tra l'altro, ha lamentato che presso il tribunale jonico: vi è l'orientamento di vendere all'asta, con poca o nessuna tutela per le parti; vi è poca turnazione dei magistrati, che gestiscono le aste ed anche degli ausiliari di questi ultimi; vi sarebbe prassi di vendere anche al limite di 20.000 euro, indipendentemente da quello che è il valore del bene espropriando, con la conseguenza che, a suo dire, alla fine, risulterebbero "pagati" solo i costi delle procedure;
la signora Montemurro non è l'unica ad aver lamentato condotte discutibili e inclini alle banche (solitamente creditrici procedenti) ed alle espropriazioni in genere da parte dei magistrati del tribunale tarantino, di volta in volta chiamati ad intervenire in questioni relative alle opposizioni alle aste immobiliari, in sede sia di cautela che di merito;
consta agli interroganti che anche il signor Vitantonio Bello abbia lamentato una tenace chiusura della magistratura jonica rispetto all'asta immobiliare in suo danno (n. 593/2011 R.G.E. del tribunale di Taranto), non ottenendo tutela nonostante le molteplici procedure incardinate e nonostante, in qualche provvedimento giurisdizionale, il magistrato estensore abbia riconosciuto la fondatezza della doglianza da lui sollevata. Nel caso di Bello l'asta immobiliare ha ad oggetto la casa ove vive con moglie e due figli minori (di anni 5 ed uno), a tal punto il signor Bello avrebbe anche interessato della sua vicenda la Presidenza della Repubblica e quest'ultima, di rimando, la Prefettura di Taranto;
sempre nella vicenda del signor Bello, la magistratura di Taranto, non accordandogli tutela e non sospendendo l'esecuzione, in un provvedimento giurisdizionale, ha sostanzialmente anche asserito che non vi sarebbe alcun vizio nel rapporto tra il medesimo e la banca, se pure l'istituto di credito, concedendogli più prestiti a distanza di poco tempo, era a conoscenza che lo stesso cliente non sarebbe stato in condizione di restituire il denaro (e ciò in considerazione di quella che era la sua valutata capacità di rimborso). A parere degli interroganti, nella stessa statuizione, vi sarebbe anche un'abnorme legittimazione della concessione abusiva di credito;
altra vicenda molto sintomatica della pervicace chiusura dei giudici di Taranto rispetto alla tutela da accordare agli esecutati e falliti è quella della signora Maria Spera (procedura esecutiva n. 590/1994 R.G.E del tribunale di Taranto). Vicenda che, nonostante non si sia ancora conclusa, ha registrato non poche forzature, con grave danno economico, psicologico e morale dell'esecutata. Addirittura la signora Spera ha lamentato un'illegittima duplicazione di titoli esecutivi, con cui l'intero suo patrimonio risulta ancora bloccato: 1) la procedura n. 590/1994 R.G.E., che si basa sul titolo esecutivo "mutuo fondiario" e che vede quale bene pignorato un terreno di 24 ettari (terreno a cui sarebbe interessato un facoltoso imprenditore locale, già socio di Emma Marcegaglia); 2) un decreto ingiuntivo, che si basa sullo stesso e medesimo debito, decreto con il quale è stato ipotecato l'intero restante patrimonio immobiliare della signora Spera. La vicenda, a giudizio degli interroganti, è tanto più inquietante se si pensa che il debito originario contratto dalla signora nel 1990 era a pari a 500 milioni di lire (corrispondenti a circa 258.000 euro) e la signora, alla data del 2007, ne aveva già restituiti 400.000 euro (corrispondenti a circa 800 milioni di lire);
ad oggi la signora Spera, nonostante il pignoramento del terreno, sottostimato dal tribunale di Taranto in poco più di 400.000 euro (somma che sarebbe più che capiente rispetto all'eventuale debito residuo, ove ne residuasse, visto che circa 400.000 euro sono stati già resi dalla signora alla Banca nazionale del lavoro), ha l'intero suo patrimonio ipotecato, in virtù dell'altro titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo), emesso per lo stesso ed unico debito (che così è consacrato in 2 distinti titoli esecutivi). Pertanto, se la signora volesse vendere qualcosa per pagare eventuali residui debiti, non potrebbe farlo (e nemmeno è in condizione di onorare le esose tasse sulla proprietà, se non con gli aiuti dei figli);
la signora Spera ha riferito agli interroganti che, decorsi 10 anni dall'iscrizione dell'ipoteca sul suo patrimonio, in virtù del decreto ingiuntivo, nell'assenza di atti esecutivi (perché nel frattempo la procedura è andata avanti per la vendita del terreno pignorato sulla base del titolo esecutivo "mutuo fondiario"), ha chiesto la cancellazione dell'ipoteca, anche ritenendo la perenzione del decreto ingiuntivo, ma in risposta ha ottenuto dal tribunale tarantino il rigetto della sua legittima istanza (procedura n. 3291/2014 R.G. del tribunale). La questione pende in appello (causa n. 536/2014 R.G. della Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto), ma la signora Maria Spera ritiene che incontrerà ancora l'illogico ed illegale ostacolo;
considerato, inoltre, che:
la signora Maria Spera ha riferito agli interroganti di aver presentato, presso il tribunale di Potenza (competente a valutare gli esposti nei confronti dei magistrati di Taranto), denuncia penale nei confronti dei magistrati ed ausiliari che, a suo parere, avrebbero male esercitato la funzione giurisdizionale, causandole danni; ma anche a Potenza ha dovuto prendere atto che, anziché ottenere tutela, ha solo registrato l'astio del pubblico ministero e la pessima sua azione. Allo stato la signora Spera, esecutata dal 1994, non ha ottenuto, né dai giudici di Taranto né da quelli di Potenza, la tutela che le leggi le garantirebbero ma che la magistratura (chiamata ad applicarle) le ha negato;
la vicenda è già balzata agli onori della stampa (sul settimanale tarantino "Wemag" del 12 novembre 2010) ed è stata anche oggetto di un'altra interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati nel 2010 (4-07339 a firma dell'on. Zazzera dell'IdV, Legislatura XVI);
ad avviso degli interroganti, circostanza molto inquietante è quella per cui, sempre in danno della signora Spera, né la magistratura jonica (sia in sede civile che penale) né quella potentina (in sede penale) hanno inteso accertare l'usura che la signora stessa ha lamentato esserle stata applicata. Usura che è poi emersa nell'ambito di una causa civile sempre dinanzi al tribunale tarantino, in occasione di una consulenza di ufficio redatta (causa n. 7929/2009 R.G. del tribunale di Taranto);
considerato infine che:
i fatti lamentati, per quanto gravi, non sono isolati. Gli interroganti hanno preso atto anche di un'intervista fatta dalla televisione locale "Studio 100" a varie persone esecutate, che avrebbero descritto il quadro inquietante e ricorrente al quarto piano del tribunale di Taranto, destinato appunto alle esecuzioni e ai fallimenti: si racconterebbe di prassi illegali che, pur denunciate, non vengono sanzionate, di "avvoltoi" che si avvicinano agli esecutati, estorcendo denaro per rinunciare all'acquisto, per poi acquistare all'udienza di vendita successiva, con ulteriore ribasso del prezzo e aggravio di danno per le povere vittime;
a giudizio degli interroganti la delicatezza dell'argomento, sia per le gravose conseguenze sulle persone, che per i dubbi di opinabile esercizio della funzione giurisdizionale, impone interventi urgenti e forti,
si chiede di sapere:
se non ricorrano le circostanze per intraprendere le opportune iniziative ispettive, sia presso il tribunale di Taranto, che presso quello di Potenza, onde verificare se quanto lamentato dai soggetti coinvolti corrisponda al vero e, in caso di verifica positiva, se non ricorrano le condizioni di adozione dei necessari provvedimenti correttivi a tutela delle parti e del corretto esercizio della funzione giurisdizionale;
se, nell'ambito delle attività ispettive, il Ministro in indirizzo non ritenga di dover verificare: la sussistenza delle condotte descritte, con particolare riguardo ai rapporti con le banche e le società di recupero crediti, ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti sanzionatori da parte delle autorità competenti; se corrisponda al vero che, presso il tribunale di Taranto, si celebrano aggiudicazioni di immobili anche al di sotto della metà del loro valore, e comunque in violazione delle norme di legge;
se esista un obbligo di turnazione dei magistrati nelle sezioni di esecuzione immobiliare e fallimentare e, in caso positivo, se lo stesso venga rispettato presso il tribunale di Taranto e se il medesimo obbligo sussista rispetto ai consulenti e ausiliari vari.

Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
099.9708396 – 328.9163996  
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mercoledì 21 settembre 2016

Turismo e risorse ambientali.

Turismo e risorse ambientali.
“Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi”
19 settembre 2016. Dibattito pubblico a Otranto, in Puglia, sul tema: "Prospettive a Mezzogiorno".
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nel Salento: sole, mare e vento. Terra di emigrazione e di sotto sviluppo economico e sociale dei giovani locali. Salentini che emigrano per mancanza di lavoro…spesso con un diploma dell’istituto alberghiero. Salentini che perennemente si lamentano della mancanza di infrastrutture per uno sviluppo economico e che reiteratamente protestano per i consueti disservizi sulle coste e sui luoghi di cultura. Salentini con lo stipendio pubblico che si improvvisano ambientalisti affinchè si ritorni all’Era della pietra. Salentini con la sindrome di Nimby: sempre no ad ogni proposta di sviluppo sociale ed economico, sia mai che i giovani alzino la testa a danno delle strutture politiche padronali. Il fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not In My Backyard (non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli stessi amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di consenso e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome. La fotografia che emerge è quella di un paese vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae investimenti perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto, quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno. Salentini che dalla nascita fin alla morte si accompagnano con le stesse facce di amministratori pubblici retrogradi che causano il sottosviluppo e che usano ancora il metro di misura dei loro albori politici: per decenni sempre gli stessi senza soluzione di continuità e di aggiornamento.
Presente al convegno Flavio Briatore, fine conoscitore del tema, boccia il modello turistico italiano, partendo proprio dalla Sardegna del suo Billionaire. Intanto per il caro trasporti: «Hanno un'isola e non lo sanno - dice Briatore alla platea del convegno - pensano che la gente arrivi per caso. La gente arriva o via mare o via aerea: sono due monopoli, per cui fanno i prezzi (che vogliono). Se tu vai da Barcellona a Maiorca, quattro persone sul traghetto spendono 600 euro. Da Genova ad Alghero ne spendono 1600. L'80 per cento degli amministratori - aggiunge ancora Briatore - non ha mai preso un aereo. Come si fa a parlare di turismo senza averlo mai visto?».
Briatore è poi passato alla Puglia, dove nell’estate 2017 aprirà il Twiga Beach di Otranto grazie a una cordata di imprenditori locali ed ha criticato l'offerta turistica del territorio, sottolineando in particolare la mancanza di servizi adeguati alle esigenze dei turisti più facoltosi, sorvolando sulla mancanza di infrastrutture primarie: «Se volete il turismo servono i grandi marchi e non la pensione Mariuccia, non bastano prati, né musei, il turismo di cultura prende una fascia bassa di ospiti, mentre il turismo degli yacht è quello che porta i soldi, perché una barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno. Masserie e casette, villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che va bene per chi vuole spendere poco - ha affermato Briatore - ma non porterà qui chi ha molto denaro. Ci sono persone che spendono 10-20mila euro al giorno quando sono in vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e musei, prati e scogliere - ha continuato l'imprenditore - io so bene come ragiona chi ha molti soldi: vogliono hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento». Non poteva essere altrimenti: Briatore ha puntato il dito sulle mancanze di infrastrutture a sostegno di quelle strutture turistiche mancanti ad uso e consumo di un’utenza diversificata e non solo mirata ad un turismo di massa che non guarda alla qualità dei servizi ed alla mancanza di infrastrutture. Una semplice analisi di un esperto. Una banalità. Invece...
Sulle affermazioni di Briatore si è scatenato un acceso dibattito, in particolare sui social: centinaia i commenti, quasi tutti contro.
I contro, come prevedibile, sono coloro che sono stati punti nel nerbo, ossia gli amministratori incapaci di dare sviluppo economico e risposte ai ragazzi che emigrano e quei piccoli imprenditori che con dilettantismo muovono un giro di affari di turismo di massa a basso consumo con scarsa qualità di servizio.
L’assessore regionale Sardo Maninchedda: «A parole stupide preferisco non rispondere».
Francesco Caizzi, presidente di Federalberghi Puglia replica alle parole dell’imprenditore: «La Puglia non è Montecarlo, Briatore si rassegni. La Puglia ha hotel che vanno dai 2 stelle ai 5 stelle, dai bed & breakfast agli affittacamere. Sono strutture per tutte le tasche e le esigenze, ma con un unico denominatore comune: rispettano l’identità del luogo. Questo significa che non ci si può aspettare un’autostrada a 4 corsie per raggiungere una masseria. È probabile che si dovrà percorrere un tratto di sterrato, ma nessuno ha mai avuto da ridire su questo. Anzi, fa parte del fascino del luogo».
Loredana Capone, assessore imperituri (governo Vendola per 10 anni e con il Governo Emiliano), che ha concluso da poco un lavoro di diversi mesi sul piano strategico del turismo, ha illustrato il punto di vista di un eterno amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello che abbiamo per puntare ai mercati internazionali. Come stiamo nei mercati? Prima di tutto evitando qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È puntando sulla valorizzazione del patrimonio, residenze storiche, masserie, borghi, che saremo in grado di offrire un turismo di qualità, capace di portare ricchezza. Non i grandi alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e omologanti. Anche gli investimenti internazionali puntano al recupero più che alla nuove costruzioni».
La visione di Briatore proprio non piace a Sergio Blasi, altro esponente eterno del Pd che si è detto disponibile a concorrere alla primarie del centrosinistra a Lecce: «Briatore punta alla creazione di non-luoghi riservati all’accesso esclusivo di una élite economica ad altissima qualità di spesa, nei quali conta chi sei prima di entrare e non quello che sarai diventato alla fine del tuo viaggio o della tua vacanza. Io la ritengo una prospettiva poco interessante per il Salento. E lo dico da persona che ha criticato fortemente la svolta “di massa” di alcune attrazioni, che a furia di sbandierare numeri sempre più alti finiscono per rovinare più che per valorizzare le opportunità di crescita. Ma esiste un mezzo – ha proseguito nel suo post l’ex segretario regionale del Pd - nel quale collocare un’offerta turistica che sia in grado di valorizzare le potenzialità inespresse, e sono tante, garantendo al contempo una “selezione” non in base al ceto sociale quanto agli interessi e alle aspettative del turista. Noi dobbiamo guardare ad un turismo che apprezza la cultura, anche quella popolare, la natura e il paesaggio. Che apprezza i musei e i centri storici tanto quanto il buon vino e il buon cibo. Che sia in grado di apprezzare e rispettare la terra che visita e di non farci perdere il rispetto per noi stessi». 
Per Albano Carrisi: “La Puglia piace così!”
Naturalmente l’Italia degli invidiosi, che odiano la ricchezza, quella ricchezza che forma le opportunità di lavoro per chi poi, senza quell’occasione è costretto ad emigrare, non ha notato la luna, ma ha guardato il dito. Il discorso di Briatore non è passato inosservato sul web dove alcuni utenti classisti, stupidi ed ignoranti hanno manifestato subito il loro disappunto. "Tranquillo Briatore, i parassiti milionari che viaggiano e non pagano non ce li vogliamo in Puglia", ha commentato un internauta, "Noi vogliamo musei e prati perché vogliamo gente che ami cultura e natura. Gli alberghi di lusso fateli a Dubai", ha ribattuto un altro.
Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi. E’ chiaro che il Salento quello ha come risorsa: sole, mare e vento. E quelle risorse deve sfruttare: in termini di agricoltura, ma anche in termini di turismo, essendo l’approdo del mediterraneo. E’ lapalissiano che le piccole e le grandi realtà turistiche possono coesistere e la Puglia e il Salento possono essere benissimo l’alcova di tutti i ceti sociali e di tutte le esigenze. E se poi le grandi strutture turistiche incentivano opere pubbliche eternamente mancanti a vantaggio del territorio, ben vengano: il doppio binario, strade decenti al posto delle mulattiere, aeroporti, collegamenti ferro-gommati pubblici accettabili per i pendolari ed i turisti, ecc.. Ma il sunto del discorso è questo. Salento: sole, mare e vento. Ossia un luogo di paesini e paesoni agricoli a vocazione contadina con il mito tradizionale della “taranta” e della “pizzica”. E da buoni agricoltori, i salentini, da sempre, la loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna od ulivi ed edificati abusivamente, perciò da trascurare. Ed i contadini poveri ed ignoranti, si sa, son sottomessi al potere dei politicanti masso-mafiosi locali.
Stesso discorso va ampliato in tutto il Sud Italia. Gente meridionale: Terroni e mafiosi agli occhi dei settentrionali, che invidiano chi ha sole, mare e vento, e non si fa niente per smentirli, proprio per mancanza di cultura e prospettive di sviluppo autonomo della gente del sud: frignona, contestataria e nel frattempo refrattaria ad ogni cambiamento e ad una autonoma e propria iniziativa, politica, economica e sociale.
Allora chi è causa del suo mal, pianga se stesso.

Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
099.9708396 – 328.9163996  
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sabato 17 settembre 2016

MELITO PORTO SALVO – AVETRANA. IL FILO CONTINUO DEL LINCIAGGIO DI UNA COMUNITA’.

MELITO PORTO SALVO – AVETRANA. IL FILO CONTINUO DEL LINCIAGGIO DI UNA COMUNITA’.
“Giornalisti, mafiosi ed omertosi siete voi!”
Quando il rigurgito del brodo primordiale dell’ignoranza produce conati di vomito di razzismo.
Un fatto di cronaca diventa lo stimolo per condannare una comunità.
Il commento del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che ha scritto “Reggio e La Calabria, quello che non si osa dire” e “Sarah Scazzi. Il Delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese”.
Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.
Il giornalista per essere tale deve essere abilitato: ossia deve essere conforme ed omologato ad una stessa linea di pensiero.
E’ successo ad Avetrana dove i pennivendoli a frotte si son presentati per dare giudizi sommari e gratuiti, anziché raccontare i fatti con continenza, pertinenza (attinenza) e verità. Hanno estirpato dichiarazioni a gente spesso non del posto e comunque con una bassa scolarizzazione, o infastidita dalla loro presenza, cestinando le testimonianze scomode per il loro intento. Certo è che a Brembate di Sopra, per il caso di Yara Gambirasio, hanno trovato impedimento alle loro scorribande per la meritoria presa di posizione del sindaco del luogo.
E’ successo a Melito Porto Salvo dove il fatto di cronaca è divenuto secondario rispetto all’intento denigratorio dei pseudo giornalisti, sobillato dai soliti istinti razzisti di genere o di corporazione o di interesse politico. E certo, che come a Mesagne per la vicenda di Melissa Bassi, dove la mafia era estranea, non poteva mancare l’intervento di “Libera” per dare una parvenza di omertà e ‘ndranghetismo sulla vicenda. Non c’è migliore visibilità se non quella di tacciare di mafiosità una intera comunità.
Nel render conto della vicenda nei miei libri sociologici ho avuto enorme difficoltà, fino all’impossibilità, a trovare un pezzo che riportasse la testimonianza di tutte quelle persone per bene di Melito, assunte tutto ad un tratto, dalle penne malefiche e conformi, a carnefici di una ragazzina.
Il tarlo che pervade i pennivendoli è sempre quello: MAFIA ED OMERTA’.
Eppure il sindaco di Melito ha espresso totale solidarietà alla 13enne abusata e ciononostante non poteva non difendere il suo paese e la sua comunità, cosa che a Mesagne ed ad Avetrana non è successo. “Nel paese c’è una parte di omertà e una parte di ‘ndrangheta ma il paese non è tutto ‘ndrangheta e non è tutto omertà, nel paese c’è una parte sana che è la stragrande maggioranza”. Così il sindaco di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, commenta le polemiche che si sono scatenate intorno alla vicenda della ragazza vittima di violenza sessuale di gruppo. Libera, nei giorni scorsi, ha organizzato per la ragazza una fiaccolata a cui però hanno partecipato poche persone. “Alla fiaccolata, è vero, ha partecipato solo il 10% della popolazione, io avrei gradito una presa di posizione forte ma non posso condannare chi non se l’è sentita di venire, devo rispettare la volontà di ognuno”, ha detto il sindaco. Quello che è successo, ha sottolineato il primo cittadino, “è la cosa peggiore accaduta nella storia melitese in assoluto, da parte mia c’è una ferma e piena condanna e totale solidarietà alla ragazzina. La cosa principale adesso è salvaguardare il suo interesse con ogni forza e ogni mezzo. Come sindaco e come genitore mi sento corresponsabile per quello che è accaduto e in questa vicenda ci sono responsabilità di tutti, la scuola, la chiesa, la società civile – ha aggiunto – Tutti ci dobbiamo interrogare”. “Adesso quello che posso fare è spendermi per vedere cosa si può fare per la ragazza – ha detto il sindaco – ho già fatto la delibera di indirizzo per la costituzione di parte civile quando si farà il processo. Ci siamo impegnati per sostenere le spese legali. L’indirizzo è quello di aiutare la famiglia. I ragazzi che hanno causato questa situazione vanno condannati a prescindere, quello che è stato fatto è inimmaginabile ma auguro loro un futuro migliore e apro loro la porta del perdono”.
Questa presa di posizione ai pennivendoli è di intralcio. Su “Stretto web” del 13 settembre 2016 si legge. “Il Comitato di redazione della Tgr Calabria, in una nota a firma dei suoi componenti, Livia Blasi, Gabriella d’Atri e Maria Vittoria Morano, “respinge con forza – è detto in un comunicato – gli ingiustificati e reiterati attacchi da parte del primo cittadino di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, al servizio pubblico, colpevole, a suo dire, di sciacallaggio mediatico. Il riferimento è al modo in cui il nostro giornale avrebbe trattato la vicenda di abusi e violenze di gruppo ai danni di una ragazzina”. “In particolare, in occasione della marcia silenziosa organizzata da Libera – aggiunge il Cdr – dal palco, il sindaco ha fortemente criticato i servizi realizzati sul caso dalla Tgr Calabria sostenendo: “Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi”, come riportato anche dall’inviato de “La Stampa”, Niccolo’ Zancan, autore di un reportage pubblicato in data 11 settembre sul quotidiano torinese. Testimone degli attacchi, il service per le riprese “Bluemotion”, nella persona della nostra collaboratrice Giusy Utano, presente alla fiaccolata per conto della Tgr Calabria e alla quale va tutta la nostra solidarietà”. “La posizione assunta dal primo cittadino di Melito – è detto ancora nella nota – ci colpisce e ci sorprende. La Tgr Calabria, infatti, come testimoniano i servizi andati in onda e visionabili sul sito on-line della testata, ha trattato sin dal primo momento il caso con tutte le cautele possibili, nel rispetto sia della vittima che dei suoi presunti carnefici. Nostra volontà, inoltre, è stata quella di raccontare di una comunità ferita e darle voce e questo abbiamo fatto. Ne è emerso un contesto assai complesso in cui non sono mancati atteggiamenti di chiusura, di condanna, di riflessione ma anche di vicinanza e solidarietà ai ragazzi del branco. Fedeli al dovere di cronaca, abbiamo “fatto parlare” le immagini e dato spazio alle diverse testimonianze raccolte. Pertanto, non crediamo che questo corrisponda a denigrare la comunità di Melito. D’altronde, lo stesso Sindaco, ai nostri microfoni, ha sottolineato come nella vicenda tutti abbiano la loro parte di responsabilità. “Sono mancate – ha detto – la famiglia, la scuola, la chiesa, la società’ civile, la politica, le associazioni sportive. Nessuno può dirsi esente da responsabilità. Tutti dobbiamo recitare un mea culpa’”. “A questo punto – conclude il Cdr della Tgr Calabria – ci chiediamo, qual è l’offesa da noi arrecata alla comunità di Melito? E’ evidente che non ne abbiamo alcuna in una vicenda di per sè talmente dolorosa da essere capace, da sola, di scuotere l’opinione pubblica e sollecitare non poche riflessioni”.
L’offesa più grande arrecata alla comunità non è quello che si è voluto far vedere, anche artatamente, istigando i commenti più crudeli e sprezzanti su di essa, ma quello che si è taciuto per poter meglio screditarla. L’omertà è in voi, non nei Militesi. Avete omesso di raccontare quel paese pulito con una comunità onesta, coinvolta inconsapevolmente in una cruda vicenda. Ecco perché non ci dobbiamo meravigliare di trovare e leggere solo articoli fotocopia con un fattore comune: ’Ndrangheta ed omertà. Lo stesso atteggiamento avete avuto con Avetrana. Sembra un film già visto.
Cari giornalisti, parlare di un semplice fatto di cronaca come quello contemporaneo di Tiziana Cantone, suicida per il video hot nel napoletano, senza coinvolgere la Comunità locale? Non ce la potete proprio fare? Godete ad infangare le comunità del sud? E che soddisfazione si trae se a scrivere nefandezze è proprio quella gente del sud che condivide territorio, lingua, cultura, tradizioni, usi di quella stessa gente che denigra?
Un’ultima cosa. In queste stravaganti e bizzarre liturgie delle fiaccolate che servono per far sfilare chi è in cerca di notorietà io non ci sono mai andato: a Mesagne ed a maggior ragione ad Avetrana, perché cari giornalisti: mafiosi ed omertosi siete voi ed io dai mafiosi mi tengo lontano!”

Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
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giovedì 15 settembre 2016

Cultura. Pubblicate le nuove opere di Antonio Giangrande.

Disponibili in book ed e-book su Amazon e Google libri ed altri canali internazionali di distribuzione.  
Dopo la recente uscita dei saggi “Il Comunista Benito Mussolini” e “Gesù Cristo contro Maometto”, che si aggiungono a decine di altre opere tematiche e territoriali, il prolifico saggista pubblica in rete tre nuovi libri di interesse generale: “L’invasione barbarica Sabauda del Mezzogiorno d’Italia”; “Il terremoto e…”; “Profugopoli vittime e carnefici”.
Il Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, spiega: Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, calunnia o pazzia le accuse le provo con inchieste testuali tematiche e territoriali. Per chi non ha voglia di leggere ci sono i filmati tematici sui miei 4 canali Youtube. Non sono propalazioni o convinzioni personali. Le fonti autorevoli sono indicate.

Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
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