sabato 20 dicembre 2014

ESAME DI AVVOCATO: 17 ANNI PER DIRE BASTA!


ESAME DI AVVOCATO: 17 ANNI PER DIRE BASTA!

La testimonianza, più unica che rara, di un candidato all’esame di avvocato, che dopo 17 anni di bocciature si arrende e dice basta.

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA. 

Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri.  Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento.

Antonio Giangrande. Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi  “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.

Chi sa: scrive, fa, insegna.

Chi non sa: parla e decide.

Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?

«Noi siamo quel che facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perche son denigratorie. Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir l’anima.  Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte. Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati.  Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza.  Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione. Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.»

Ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?

«Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.»

E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.

A’ Cuscienza di Antonio de Curtis-Totò

La coscienza

Volevo sapere che cos'è questa coscienza 

che spesso ho sentito nominare.

Voglio esserne a conoscenza, 

spiegatemi, che cosa significa. 

Ho chiesto ad un professore dell'università

il quale mi ha detto: Figlio mio, questa parola si usava, si, 

ma tanto tempo fa. 

Ora la coscienza si è disintegrata, 

pochi sono rimasti quelli, che a questa parola erano attaccati,

vivendo con onore e dignità.

Adesso c'è l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.

Ladri, ce ne sono molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande, 

il gigante, quelli che sanno rubare. 

Chi li denuncia a questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?

Sono pezzi grossi, chi te lo fa fare. 

L'olio lo fanno con il sapone di piazza, il burro fa rimettere, 

la pasta, il pane, la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.

Le medicine poi, hanno ubriacato anche quelle, 

se solo compri uno sciroppo, sei fortunato se continui a vivere. 

E che vi posso dire di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,

mariti, mamme, sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.

Perciò questo maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)

perchè la vuoi fare, nessuno la usa più questa parola,

adesso arrivi tu e la vuoi ripristinare. 

Insomma tu vuoi andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare, 

la gente di adesso solo così è contenta, senza coscienza,

vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia


099.9708396 – 328.9163996

PUOI TROVARE I LIBRI DI ANTONIO GIANGRANDE SU AMAZON.IT, CREATESPACE.COM O SU LULU.COM

venerdì 12 dicembre 2014

Tutta la verità sul delitto di Sarah Scazzi.


Tutta la verità sul delitto di Sarah Scazzi.

Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande.

Caso Scazzi, intervista allo scrittore Antonio Giangrande che da avetranese ha scritto due libri: “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese” e “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. La condanna e l’appello. Il resoconto di un avetranese”.

Due libri sul caso Sarah Scazzi. Interi reportage che raccontano un omicidio e tutto ciò che lo circonda “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keaton dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande. Risultato? “Un processo da rifare e due persone, Sabrina e Cosima, non legalmente in carcere indipendentemente dal fatto che siano colpevoli o no”. Un analisi approfondita, quella dello scrittore, dalle confessioni ai processi, dall’analisi dei personaggi alle intercettazioni ambientali e telefoniche. Giangrande è anche presidente dell’associazione Contro tutte le mafie ed è da anni che si occupa del caso Scazzi e di altri processi che ritiene “non correttamente svolti”.

Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?

«Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. Eppure la presunzione d'innocenza è quasi una bestemmia, un lusso che non possiamo permetterci quando s'accende la sarabanda mediatica attorno - e dentro - al dolore e all'orrore di un delitto terribile e la “voglia di giustizia” diventa slogan buono per qualche striscione da appendere a favore di telecamera.  «Assassina/o, devi morire», gridano i popolani fuori le caserme o i commissariati. Urla e insulti da parte della gente che si raccoglie in folla per godersi lo spettacolo e vedere da vicino la “colpevole di turno”. Ma questi non hanno niente da fare?E’ successo a Cosima Serrano, Sabrina Misseri, a Veronica Panarello.  Anche Anna Maria Franzoni aveva sentito quelle urla la prima volta che l’avevano portata in prigione pochi giorni dopo la morte del piccolo Samuele. Le scene che abbiamo visto a Cogne e ad Avetrana, per citare solo due dei casi più famosi di cronaca nera degli ultimi anni, dovrebbero spingere, con un pizzico di cinismo, a non stupirsi più di tanto delle urla scagliate contro Veronica Panarello, accusata dell'omicidio del figlio Loris, al momento del suo arrivo nel carcere di piazza Lanza a Catania. In carcere, questo odio sociale, espresso a ruota libera sul web («devi morire», «ci vuole la pena di morte»), è ancora più duro. Il carcere non è solo un luogo di pena. E’ la realtà che credevi non esistesse, e che adesso appartiene alla tua vita. In effetti, i giornalisti stazionano nei piccoli centri con aggiornamenti costanti relativi all’evoluzione del casodi cronaca  e riportando qualsiasi notizia utile a farne parlare. Ma qual è l’utilità della ripetizione continua e morbosa di immagini di volti straziati dal dolore? Volti di mostri che potrebbero anche non essere tali. Qual è, dunque, la linea che separa la cronaca dall’accanimento? Il confine entro il quale la notizia secca viene preservata dal divenire puro e semplice gossip? Venti anni di “telenovelas” e di “politica del qualunquismo”, somministrato a suon di sorrisi, hanno reso questo confine labile, estremamente labile. L’accelerazione della rete, poi, ha esasperato e dilatato a dismisura un fenomeno complesso ma certo inarrestabile. Nonostante ciò, il problema resta. Resta il problema di comprendere dove arriva, realmente, la cronaca, cioè la narrazione dei fatti, per garantire alle persone strumenti di comprensione e dove, invece, comincia la speculazione. Come nel caso della notizia del ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi, data al programma televisivo di Rai3 “Chi l’ha visto?”, mentre in collegamento diretto da Avetrana c’era la madre della ragazza. Gli arrestati sono innocenti fino a prova contraria. E non basta dirlo, come hanno fatto alcuni conduttori tv che nel frattempo speculano sulla morte delle vittime, bisogna anche praticarlo. In Procura e sui giornali. Ma qui vogliamo provare a ragionare per assurdo. E ci chiediamo: ma anche se fossero  colpevoli, meriterebbero di essere insultati e linciati, come stanno facendo media e cittadini-spettatori? Se sono colpevoli, anzi poiché sono colpevoli – dicono gli urlatori senza conoscere atti e fatti – non devono stare in carcere solo pochi anni, devono stare in galera per sempre. «Dovete – dice questo coro di giustizieri – buttare la chiave». Accusati ma innocenti fino a prova contraria. Accusati, ma non ancora definitivamente colpevoli davanti alla legge. Eppure, i media li hanno già condannati. Quello che importa in questo contesto non è se sia colpevole o innocente. Quello che importa qui è che ogni giorno, accendendo la tv o la radio, sfogliando un qualsiasi quotidiano cartaceo o online, veniamo a sapere di particolari, di dettagli di ogni interrogatorio, di ogni domanda posta dagli inquirenti, di ogni risposta data o non data: informazioni riservate inerenti ad atti di indagine che dovrebbero essere coperte dal segreto professionale. Bene. Qui non c’è reato? Mi chiedo come sia possibile questa totale mancanza di umanità. In nome delle vittime si giustificano i sentimenti peggiori: la vendetta, la violenza, l’odio. Ci si crede superiori a chi si condanna. È come se, nel giorno del giudizio, si stesse dalla parte di Dio a decidere chi deve essere punito e chi premiato. Il male appartiene all’altro, al mostro, a cui non si riesce a guardare con un po’ di umanità e di amore. La Costituzione italiana parla di reinserimento per il reo, di una seconda possibilità che deve essere offerta a chiunque. In questi casi di cronaca mediatica lo Stato di diritto sparisce, la Costituzione diventa un ricordo lontano. Si ritorna alle società barbare, all’occhio per occhio, dente per dente. Anni e anni di giustizialismo hanno cambiato la testa delle persone. Siamo davanti a un mutamento antropologico e cognitivo profondo. Ogni tanto sembra di cogliere segnali di un ravvedimento, di un ritorno a principi di civiltà. Ma poi ci accorgiamo che la storia più prossima ci racconta invece che stiamo attraversando un’epoca buia, senza pietà e senza capacità di identificarci con gli altri: con il loro dolore, ma anche con le loro parti buie, con le loro sofferenze ma anche con quella cattiveria che c’è nell’essere umano. Negandola diventiamo ancora peggiori. Ci sentiamo la parte buona della società, i migliori, e da questo ingannevole pulpito spariamo le nostre sentenze. Ci si crede superiori a chi si condanna, come se venissimo da Marte. Da un altro pianeta. Ma siamo italiani e lo rimarremo per sempre. Nessuno è migliore di un altro in questa Italia. Decine di miei saggi in anni di studio sociologico tendono a dimostrarlo. Uguali nella devianza. Siano essi giudici, che giudicati.  Le donne che hanno aspettato le loro simili uscire in manette, con lo smartphone in mano per fare le foto, non hanno avuto dubbi sulla loro colpevolezza – lo ha detto la tv, lo dicono i giudici – non hanno avuto pietà per donne come loro, per le loro paure e fragilità. Ci si chiederà ma le vittime che fine fanno in questo discorso? Non interessa che siano state uccise? Certo che interessa e che dispiace molto. Ma non è rinunciando alla presunzione di innocenza, né evocando la vendetta che li si riporta in vita. Non è così che li si piange. Il linciaggio e l’odio che vediamo esibirsi rendono solo questa società peggiore».

Lei ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?

«Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti, compresi quelli favorevoli alle imputate. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia laurea in Giurisprudenza presa in soli due anni a Milano, con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista, mi ha reso immune da ogni condizionamento. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo è dal 1998 che non mi abilitano alla professione di avvocato in un esame di Stato che come tutti i concorsi pubblici ho provato con i miei libri essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione».

Ha scritto due libri sul caso Scazzi. Su cosa si è basato?

«Nei miei libri su Sarah racconto i fatti attraverso tutti i documenti del processo e riporto, citandone gli autori, questioni interessanti affrontate in modo imparziale».

Imparziale? In che senso?

«Faccio una considerazione per renderne l’idea. Il processo, per opportunità, non doveva tenersi a Taranto, ma solo l’avvocato Coppi ha avuto il coraggio di chiedere la rimessione del processo in altra sede per legittimo sospetto che i giudici non fossero sereni nel giudicare. La Cassazione ha respinto. Non tutti sanno, però, che la norma in oggetto è sempre disapplicata dagli ermellini. Sia mai che si leda l’infallibilità delle toghe. Comunque tutti gli avvocati di Sabrina, e ne ha cambiati tanti, son concordi nel credere alla sua innocenza, compresa Francesca Conte. Lo stesso discorso vale per i criminologi esperti presenti in tv, come Massimo Picozzi od Alessandro Meluzzi. Di conseguenza cade l’accusa per Cosima, per la quale addirittura non c’è nient’altro che un sogno».

Quindi giudici non sereni, e gli avvocati?

«Per quanto riguarda gli avvocati mi chiedo come abbiano fatto tutti i principi del foro ad arrivare ad Avetrana ed a proporsi in modo gratuito. L’avvocato Russo è stato convocato a rendere conto del suo operato, gli altri, no. Per quanto riguarda i consulenti tecnici invece, c’è da dire che chi è partito a sostenere una parte è finito ad avvantaggiarne un’altra. La criminologa Roberta Bruzzone, con il primo avvocato di Michele Misseri, Daniele Galoppa, è accusata dallo zio Michele di averlo indotto a dire il falso ed ad accusare la figlia. Alessandro Meluzzi consulente della famiglia Scazzi, sicuro della colpevolezza di Sabrina, cambia repentinamente idea e da tempo è convinto della sua innocenza».

Mentre i magistrati?

«Per quanto riguarda i magistrati c’è da sottolineare che in appello il sostituto procuratore generale, Pina Antonella Montanaro, è lo stesso Pubblico Ministero del caso Sebai. Il serial killer non creduto, ma condannato per l’unico omicidio per il quale non vi erano stati trovati colpevoli. Per gli altri delitti ci sono condannati che in carcere si professano innocenti. Il Giudice a latere, Susanna De Felice è il giudice che ha assolto Niki Vendola. La Procura di Taranto è invece rappresentata da Pietro Argentino, indagato per falsa testimonianza in quel di Potenza. La falsa testimonianza è quel reato di cui si accusano tutti i testimoni che hanno reso dichiarazioni che non erano in linea con la tesi accusatoria».

Insomma dubbi sulla serenità di giudizio. Li ha potuti verificare in altre occasioni?

«Recentemente la Corte di Appello ha accolto la richiesta dell’accusa di sospendere i termini di custodia cautelare. Strano. La dottoressa Montanaro, non appena ha avuto la parola dal giudice, si è premurata di chiedere di far restare le due donne in carcere. A suo dire la richiesta è d’obbligo perché il processo sarà particolarmente complesso. In un secondo grado di giudizio di natura cartolare e con ampie richieste delle difese respinte, come si fa a dire che il processo sarà particolarmente complesso, anziché chiedere al giudice di verificare, più avanti, se davvero il processo sarà talmente complesso da superare i termini di custodia cautelare? Motivo per cui la sua richiesta sarebbe dovuta essere respinta anche se le difese hanno obiettato solo con un gesto simbolico, con una reprimenda per l’intempestiva richiesta della PG».

Ma questo non porta a dire che le due donne, condannate in primo grado all’ergastolo, siano in carcere ingiustamente. Ci sono elementi invece che potrebbero sostenere questa tesi?

«Ovviamente. In un processo indiziario, appunto gli indizi, per formare una prova devono essere gravi, precisi e concordanti. E questo non risulta. Orari tirati da tutte le parti; testimonianze contraddittorie, dubbie e/o oniriche, perizie contestate ed incomplete. Ma non stiamo qui ad arzigogolare su veri o presunti indizi fonte di condanna, o veritieri o meno convincimenti personali di magistrati, avvocati e consulenti tecnici e sorvoliamo su efficaci o meno interpretazioni delle intercettazioni ambientali e telefoniche. Soffermiamoci su un fatto in particolare e fondamentale».

Quindi c’è un fattore più importante di tutti questi?

«Certo. In ogni Ordinamento Giuridico mondiale la confessione di un evento di cui se ne dichiari la paternità è considerata la prova regina. Ad Avetrana abbiamo un reo confesso che, a sostegno inequivocabile della sua confessione, ha fatto trovare il corpo della vittima del reato da lui confessato. Tale confessione è reputata dall’accusa e dalle parti civili e dichiarata dalla Corte d’Assise di primo grado inattendibile. Diverso è invece l’atteggiamento nei confronti della versione accusatoria nei confronti di Sabrina: attendibilissima. Le dichiarazioni di Michele sono credibili solo a convenienza».

E così sarebbe Michele l’assassino?

«Non posso dirlo ma una cosa in particolare mi preme affermare. Michele può essere considerato responsabile reo confesso del delitto o bugiardo patentato. Sabrina può essere considerata efferata assassina o innocente sacrificale. Tutto ciò è opinabile basando il giudizio su vani indizi: non precisi, non certi, non concordanti. Ma su Cosima cosa c’è? Il sogno di un fioraio, che viene contestato dalle testimonianze di chi, invece, nello stesso momento del rapimento ha visto Sarah libera, viva e vegeta. E ciò basta a far marcire in carcere un essere umano».

Quindi Cosima sarebbe un’altra vera vittima di tutto questo?

«Io credo che, siano essi innocenti o colpevoli, i protagonisti della vicenda meriterebbero un processo equo da parte di magistrati non influenzati per colleganza di Foro da eventuali errori commessi nelle fasi precedenti dai colleghi d’accusa e di giudizio. Anche nella prospettazione del reato. Si è escluso per principio l’omicidio colposo o l’omicidio preterintenzionale. Perché? Perché di esseri umani discutiamo in questa intervista e si discute nei fascicoli di causa. Non di inchiostro nero su carta bianca. E perché solo di verità si nutre la giustizia e la rimembranza della povera piccola Sarah».

Ma lei si ritiene innocentista?

«Io non sono innocentista. Non sono neanche colpevolista. Ma da degno giurista sono un semplice garantista e spero, nel profondo del cuore, che lo siano Magistrati e Media. Ed ognuno, con la propria verità, siano molto vicini alla verità storica. Purtroppo io dispero. Sin dalle prime fasi, ripeto a dire, che tutti saranno condannati a Taranto, in primo ed in secondo grado. Sarà la Cassazione a Roma, in lontani lidi, a rinfrancare la giustizia. La Suprema Corte non potrebbe non vedere i travisamenti di questo processo: che la Corte d'Assise sia stato presieduto da Cesarina Trunfio, vicino all’ufficio della pubblica accusa, quale ex sostituto procuratore di Taranto; che un giudice popolare sia stato sostituito in corso di dibattimento per aver manifestato il proprio pregiudizio; che i giudici abbiano fatto richiesta di astensione, dopo che un loro fuori onda era stato diffuso dalle tv; che siano state ignorate le sentenze della Cassazione che per due volte ha “annullato provvedimenti di custodia cautelare emessi nei confronti di Sabrina Misseri per mancanza di sufficienti indizi di colpevolezza”, tanto per citarne alcuni. E poi l’abominio totale. Se un giudice avesse già giudicato Giovanni Buccolieri, magari dichiarandolo innocente perché davvero spinto a firmare un verbale che non conteneva la verità, come poteva esistere un processo d'appello basato solo su quel sogno trasformato in realtà? E questa è la contraddizione delle contraddizioni. Un processo minore che dovrebbe essere celebrato prima per capire se il maggiore ha motivo di esistere, visto che il minore funge da stampella che sorregge l'accusa nel maggiore, invece inizierà solo il 2 marzo 2015 di fronte al giudice monocratico di Taranto e forse non sarà neppure celebrato, perché si porterà avanti sino alla prescrizione, ormai sicura, data la durata delle indagini, per fare in modo che non incida in alcun modo nel processo maggiore. Da non dimenticare poi, le speculazioni della Rai su Sarah Scazzi. Un processo pubblico che diventa cosa privata. La Rai impedisce l’uso pubblico delle immagini del processo di primo grado per il delitto di Sarah Scazzi. Un aspetto che i giornalisti stanno bene attenti a non approfondire. La Rai si è aggiudicata l’esclusiva televisiva del processo più mediatico della storia: a quale costo? A chi sono andati i diritti tv per le riprese esclusive del processo a Taranto? Al solo privilegio della tv di Stato in dispregio della libera concorrenza, o qualcuno ci ha guadagnato, perlomeno in visibilità? I difensori di Sabrina e Cosima si sono duramente opposti alla riprese televisive del processo e, in particolare, delle loro assistite. La Procura si è dimostrata favorevole alle riprese, così come la famiglia di Sarah. Cesarina Trunfio, presidente della Corte d’Assise di primo grado, ha stabilito il divieto di ripresa per tutte le telecamere, tranne per quelle della trasmissione "Un giorno in Pretura", in onda su Rai3. Il programma poi si impegnerà ad inoltrare le riprese alle altre trasmissioni. Per quanto riguarda la trasmissione integrale del dibattimento, sarà consentita a definizione del processo, e quindi dopo la sentenza di primo grado. Perché questa discriminazione mediatica? Perché questo uso monopolistico del diritto di cronaca? La Rai ha cessato ogni rapporto con youtube, dove i suoi video erano visibili nel suo canale predisposto e da cui si potevano estrapolare o inserire nelle pagine di terzi, previo rispetto dell’indicazione di autore e testata. Poca remunerazione dissero. Oggi chi vuol visionare i video Rai deve purgarsi con 30 secondi di pubblicità e comunque l’utente non può scaricare il filmato con le immagini del processo, alla faccia dell’impegno dell’inoltro alle altre trasmissioni. A prescindere dall’obbligo posto dalla magistratura tarantina, c’è un articolo, nella legge sul diritto d’autore, che rappresenta, mutata mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair dealing: è l’art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” Questa norma è la massima espressione del concetto di libera utilizzazione. Eppure la Rai contesta ogni video riprodotto da terzi su Youtube senza scopo di lucro ed a fini di critica, cronaca, divulgazione scientifica, a costo di far chiudere i suoi canali, reclamando la violazione del Copyright: “Dopo aver esaminato la contestazione, Rai ha deciso che il reclamo per violazione del copyright è ancora valido”. Così avvisa Youtube dopo la segnalazione della contestazione. La Rai è un’azienda pubblica e di pubblico dominio sono le sue opere. Anche perchè gli utenti, in qualità di contribuenti fiscali e pagatori del canone, finanziano la Rai e sono di diritto soci e quindi proprietari delle opere prodotte dall’emittente di Stato. Perché speculare su un delitto, impedendo da divulgazione delle fasi del processo, fregarsene delle norme sul diritto d’autore, disobbedire agli ordini del giudice di Taranto e far finta di niente? Le fasi del processo sul delitto di Avetrana non devono cadere nell’oblio, ma devono essere visionate e ben conosciute per poter trarre giusto giudizio senza mediazione opinabile».

 Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia


099.9708396 – 328.9163996

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domenica 30 novembre 2014

Le speculazioni della Rai su Sarah Scazzi.


Le speculazioni della Rai su Sarah Scazzi.

Un processo pubblico che diventa cosa privata.

La Rai impedisce l’uso pubblico delle immagini del processo di primo grado per il delitto di Sarah Scazzi.

Un aspetto che i giornalisti stanno bene attenti a non approfondire.

La Rai si è aggiudicata l’esclusiva televisiva del processo più mediatico della storia: a quale costo?

A chi sono andati i diritti tv per le riprese esclusive del processo a Taranto? Al solo privilegio della tv di Stato in dispregio della libera concorrenza, o qualcuno ci ha guadagnato, perlomeno in visibilità?

I difensori di Sabrina e Cosima si sono duramente opposti alla riprese televisive del processo e, in particolare, delle loro assistite. La Procura si è dimostrata favorevole alle riprese, così come la famiglia di Sarah. Cesarina Trunfio, presidente della Corte d’Assise di primo grado, ha stabilito il divieto di ripresa per tutte le telecamere, tranne per quelle della trasmissione "Un giorno in Pretura", in onda su Rai3.

Il programma poi si impegnerà ad inoltrare le riprese alle altre trasmissioni. Per quanto riguarda la trasmissione integrale del dibattimento, sarà consentita a definizione del processo, e quindi dopo la sentenza di primo grado.

Perché questa discriminazione mediatica? Perché questo uso monopolistico del diritto di cronaca?

La Rai ha cessato ogni rapporto con youtube, dove i suoi video erano visibili nel suo canale predisposto e da cui si potevano estrapolare o inserire nelle pagine di terzi, previo rispetto dell’indicazione di autore e testata. Poca remunerazione dissero. Oggi chi vuol visionare i video Rai deve purgarsi con 30 secondi di pubblicità e comunque l’utente non può scaricare il filmato con le immagini del processo, alla faccia dell’impegno dell’inoltro alle altre trasmissioni. A prescindere dall’obbligo posto dalla magistratura tarantina, c’è un articolo, nella legge sul diritto d’autore, che rappresenta, mutata mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair dealing: è l’art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” Questa norma è la massima espressione del concetto di libera utilizzazione.

Eppure la Rai contesta ogni video riprodotto da terzi su Youtube senza scopo di lucro ed a fini di critica, cronaca, divulgazione scientifica, a costo di far chiudere i suoi canali, reclamando la violazione del Copyright: “Dopo aver esaminato la contestazione, Rai ha deciso che il reclamo per violazione del copyright è ancora valido”. Così avvisa Youtube dopo la segnalazione della contestazione.

La Rai è un’azienda pubblica e di pubblico dominio sono le sue opere. Anche perchè gli utenti, in qualità di contribuenti fiscali e pagatori del canone, finanziano la Rai e sono di diritto soci e quindi proprietari delle opere prodotte dall’emittente di Stato.

Perché speculare su un delitto, impedendo da divulgazione delle fasi del processo, fregarsene delle norme sul diritto d’autore, disobbedire agli ordini del giudice di Taranto e far finta di niente?

Le fasi del processo sul delitto di Avetrana non devono cadere nell’oblio, ma devono essere visionate e ben conosciute per poter trarre giusto giudizio senza mediazione opinabile.

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia


099.9708396 – 328.9163996

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mercoledì 26 novembre 2014

LA MORIA DEGLI AVVOCATI


LA MORIA DEGLI AVVOCATI

Di Antonio Giangrande, scrittore e sociologo storico.

Chi studia giurisprudenza pensa che vale la forza della legge. Chi come me ha esperienza e perizia, afferma che vale la legge del più forte. Ossia: nei tribunali la prassi fotte la legge. In tutta Italia.

L’unico consiglio che io posso dare è che, ormai in questa Italia, è meglio non fare nulla, perché si fotte tutto lo Stato, e non avere nulla, perché si fottono tutto i legulei.

Già, i legulei.

I giornalisti approssimativi e disinformati da sempre ce la menano sul dato che in Italia ci siano 250 mila avvocati con la tendenza all’aumento di 15 mila unità all’anno. A loro è imputata ogni sorte di maldicenza. Al loro incremento numerico è addebitata la responsabilità della deriva della giustizia in Italia.

Cosà più falsa non c’è.

Sicuramente tra gli scribacchini ci sarà qualcuno che avvocato lo è o comunque ha partecipato invano all’esame per diventarlo e quindi la verità è a loro portata.

Eppure si sottace o si continua a negare l’evidenza sul come ci si abiliti all'avvocatura, alla magistratura, o ad ogni altra professione, così come attestato dalle sentenze dei Tar di tutta Italia. Un esame truccato nelle voglie dei commissari. Un sistema insito in tutti gli esami o i concorsi pubblici.

Abilitazione uguale a omologazione. Subisci e taci e non rompere il cazzo. Se sei diverso e ti ribelli: sei fuori.

Oggi c'è il paradosso che, a prescindere dall’esame truccato di abilitazione, non conviene più parteciparvi, in quanto pur superandolo non ci si può iscrivere agli albi per esercitare la professione.

Un ostacolo ulteriore per chi entra, un impedimento a proseguire per chi già c’è.

Ecco perché in tempo di crisi non si parla dell’imminente moria dei cosiddetti “pesci piccoli” forensi.

E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu .

Non paghi di aver partorito in Parlamento una riforma forense contro l’inclusione dei giovani nel mondo leguleico, i marpioni, sempre in Parlamento, hanno adottato un riforma, affinchè chi sia entrato nel loro autarchico mondo venga espulso per stato di necessità. E cioè sono coloro che non ben ammanicati nel sistema forense giudiziario non ce la fanno a supportare le inani spese di gestione della professione.

Di questo nessuno ne parla. Ed aimè tocca a me farlo per una categoria che non merita solidarietà ma solo commiserazione.

Da sempre il popolo forense si divide in due parti.

I dinosauri privilegiati con degni  natali e con potere in Parlamento, ma genuflessi alla magistratura;

i loro followers per ignavia o per necessità, ossia i praticanti ed i giovani avvocati.

Il 7 agosto 2014, il Ministero per del Lavoro e delle Politiche Sociali ha approvato il Regolamento attuativo dell'art. 21 della Legge Professionale n. 247 del 2012, che impone a tutti gli avvocati, iscritti all'apposito albo, l'iscrizione obbligatoria anche alla Cassa Forense, con versamento di un contributo di importo fisso indipendentemente dalle condizioni reddituali.

I contributi minimi dovuti dagli iscritti, rivalutati per ogni anno di iscrizione alla Cassa, sono i seguenti:

a) Contributo minimo soggettivo: € 2.780,00;

b) Contributo minimo integrativo: € 700,00;

c) Contributo di maternità: € 151,00.

Il regolamento prevede: o paghi o ti cancelli dall’Albo e nulla valgono le presunte agevolazioni previste.

«La conseguenza immediata di tale provvedimento è che, di qui a poco, circa cinquantamila avvocati italiani, soprattutto più giovani, rischiano di sparire dagli albi professionali, in quanto impossibilitati a far fronte agli onerosi contributi obbligatori richiesti! Molti avvocati con un reddito basso e insignificante non  possono iscriversi alla Cassa per mancanza di liquidità economica e rischiano, pertanto, di subirne  le relative conseguenze, ovvero la cancellazione forzata ed obbligata dai relativi albi professionali di appartenenza. Il  versamento obbligatorio dei contributi previdenziali, così come previsto dalla nuova normativa, se per gli studi legali con giro d'affari multimilionario, risulterà praticamente insignificante,  colpisce, tuttavia, una schiera di professionisti che avranno serie difficoltà a sostenere tale spesa: appunto, qualcosa come cinquantamila avvocati - coloro, cioè, che percepiscono un reddito inferiore ai 10.300 euro annui. Per loro sarà complicato trovare un'alternativa alla disoccupazione, vuoi per l'età, vuoi per l'alta specializzazione in un settore e in nessun altro», dice l’avv. Eugenio Gargiulo di Foggia.

Vero è che la contribuzione obbligatoria e l’esoso peso fiscale accompagnato dalla mano morta della burocrazia colpisce ogni categoria professionale. Ed è questa stagnazione dello status quo che alimenta la crisi economica.

Inoltre i liberi professionisti del ramo tecnico, ingegneri, architetti, geometri e periti sono alla fame. Nessuno ne parla. Sono un esercito di oltre 500.000 persone senza protezioni sociali.

E’ questa l’Italia che continuiamo a volere? Con l’astensionismo elettorale il popolo mette sotto processo la politica inconcludente ed ignava e rea di aver sfornato una classe dirigente inetta, frutto di familismo e raccomandazioni.

Perché in Italia, oramai, si lavora esclusivamente per mantenere le sanguisughe.

La rottamazione assoluta del sistema senza schemi identitari ed ideologici, se non ora, quando?

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia


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martedì 18 novembre 2014

DIRITTO D’AUTORE E FINANZIAMENTO PUBBLICO. IL COPYRIGHT DEI CITTADINI.


DIRITTO D’AUTORE E FINANZIAMENTO PUBBLICO. IL COPYRIGHT DEI CITTADINI.

In questa Italia, quanto vale il diritto del cittadino, rispetto al diritto della lobby dell’informazione?

Il cittadino utente è titolare del diritto d’autore rispetto alle opere intellettuali prodotte da aziende che si finanziano totalmente o parzialmente con i soldi pubblici: quindi, opere pagate dallo stesso cittadino contribuente?

Queste sono le risposte che nessun giornalista darà mai. Sfido la Milena Gabanelli e la redazione di Report a trattare questo tema delicato. Lei che lavora in Rai ed al Corriere della Sera.

La tematica da approfondire è nata sulla diatriba dell’uso libero a fini non commerciali dei video e specialmente sull’utilizzo dei video soggetti al diritto di cronaca pubblicati sul web.

Insomma si parla del divieto persistente di scaricare e pubblicare liberamente su youtube il video di terzi.

Per quanto riguarda l’impedimento dello scarico dei suoi video da parte di Mediaset si potrebbe prospettare una ragione palesata dal suo spot sulle reti del Biscione:

“Qui non incassiamo finanziamenti pubblici

qui non siamo colossi americani

qui contiamo solo sulle nostre forze

e qui ogni mattina arrivano migliaia di persone

che cercano di fare il massimo per regalare una televisione moderna, vivace e completa.

Undici reti gratuite e centinaia di programmi in onda ogni giorno, anche su Internet.

Che non ti costano niente, niente.

Nemmeno un bollettino postale.

Così… giusto per ricordarlo.

Al contrario la Rai è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo; percepisce, come finanziamento pubblico, un canone pagato dai cittadini e stabilito per legge; con denaro pubblico vengono ripianificati i passivi di cui l'azienda è gravata; è una impresa a carattere pubblico, con finalità non legate al profitto; per le prerogative suddette deve assicurare una comunicazione (politica, culturale, di intrattenimento) equa e qualificante.

Secondo le previsioni della riforma del canone Rai l’importo massimo dovrebbe oscillare intorno ai 60 euro, il minimo intorno ai 35 euro. L’introito stimato per finanziare il servizio pubblico sarà intorno ai 2 miliardi, rispetto al miliardo e 700 milioni attuale, anche grazie a parte dei proventi che lo Stato ricava da tutti i Giochi, compresa la Lotteria Italia.

Ergo la Rai è servizio pubblico e quindi risponde al cittadino contribuente utente.

Eppure su “Il Corriere della Sera” on line del 6 giugno 2014 si legge “Quaranta video. E’ quanto rimane degli oltre 40 mila video storici del canale YouTube della Rai. Nei giorni scorsi, come raccontato anche dal Corriere della Sera, era stato annunciato: i filmati verranno rimossi tutti i 40.000 mila video verranno progressivamente smantellati da YouTube e trasportati sulla piattaforma Rai.tv. E lo stesso accadrà anche per la grande quantità di materiale collocato su YouTube da singoli utenti che hanno ripreso, anche artigianalmente, intere trasmissioni o singole parti: video che comunque appartengono alla Rai. Morale, tutti i video - anche quelli storici - spariscono dal canale. Il rapporto tra la piattaforma video e viale Mazzini si è chiuso senza incidenti. E la motivazione è di tipo prettamente economico. Il ritorno economico di 700 mila euro all’anno è stato considerato insoddisfacente dalla Rai. Da qui la decisione di rimuovere i contenuti dalla piattaforma di Mountain View e di trasferirli su un portale Rai. Morale, per il momento, su YouTube rimangono solo 40 clip. La più vista? «Non ci resta che...», con un’intervista a Massimo Troisi, scomparso 20 anni fa. Poi il link al portale RaiTv per vedere l’intervista integrale.”

Andiamo ai giornali. Se infatti è vero che grandi testate come Il Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24Ore, non ricevono sussidi diretti, è altrettanto vero che beneficiano ogni anno, come tutti gli altri giornali, dei cosiddetti contributi indiretti: un mare magnum all'interno del quale è difficile orientarsi e che è quasi impossibile censire, visto che le varie agevolazioni fanno riferimento a diversi ministeri e organi di competenza, scrive Gabriella Colarusso su “Lettera 43”. Il grosso dei contributi indiretti ai giornali viene dalle riduzioni fiscali e dalle «forfetizzazioni dell'Iva sulle rese». I quotidiani cartacei infatti pagano l'Iva al 4%, agevolazione che non è concessa anche alle testate giornalistiche online perché la direttiva europea sul commercio elettronico non riconosce loro questo beneficio. Non solo, i giornali di carta hanno anche la possibilità di forfetizzare l'Iva sulle rese (art. 74, dpr 633): l'imposta cioè non viene pagata sulle copie effettivamente restituite, non vendute, ma calcolata a forfait. Si tratta non di soldi dati direttamente ai quotidiani o ai periodici ma di mancate entrate per lo Stato, il cui importo è quasi impossibile conoscere visto che non risulta agli atti del bilancio della presidenza del Consiglio. È l'«Agenzia delle Entrate che ha questi dati», dice una fonte ministeriale a Lettera43.it, «ma finora non li ha resi noti».

Dice il Dr Antonio Giangrande: di questo come di tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu .

Parlando con un giornalista di un noto quotidiano nazionale - continua il dr Antonio Giangrande, sociologo storico - dopo averne tessuto le lodi per un suo coraggioso video servizio, scaricato da me tal quale da un canale youtube e divulgato sui miei canali web senza profitto, e di cui mi segnalava la mancanza del logo de “Il Corriere della Sera” detentore dei diritti, ho avuto contezza del problema che ha dato spunto a questa inchiesta.

Giornalista A.C.: “Gentile dott. Giangrande, mi hanno appena linkato il canale youtube dell’Associazione contro tutte le mafie, di cui lei è presidente, con la raccolta delle mie inchieste sulle carceri. La ringrazio per l’attenzione ma la pregherei di inserire la fonte da dove ha preso quei video, ossia il sito del Corriere della Sera, nonché di inserire i link originali delle videoinchieste . La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle mie opere (quindi non basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà.  Sicuro di un suo sollecito riscontro, le porgo cordiali saluti”.

Giangrande: “Le porgo le mie scuse, oltre che annunciarle la mia ammirazione. In 20 anni, su 70 libri scritti e pubblicati e centinaia di video montati e pubblicati, nell’indifferenza generale dei media, è la prima volta che qualcuno sollecita una modifica al mio lavoro. Faccio ammenda ed ho già provveduto alla sua sollecitazione, visibile sulla presentazione del video in oggetto, annunciandole che la modifica è possibile sulla presentazione, ma non nel video, in quanto gli spezzoni originali usati e tratti da altre fonti erano già di per sé sguarniti del logo. Salutandola cordialmente le indico che questa è la modifica inserita in presentazione. Ove non bastasse, mi si solleciti la cancellazione totale del video ed io lo farò, tenendo presente comunque che attraverso il mio canale decine di migliaia di utenti usufruiscono della visione. - Inchiesta video del bravo e coraggioso giornalista A.C., pubblicata su you tube in vari video e su varie fonti, che ne hanno consentito la copia ed il montaggio. Da queste fonti è omessa l’indicazione del logo del detentore dei diritti di pubblicazione. Mancanza non riconducibile al curatore di questo video, ossia il dr Antonio Giangrande, che immediatamente provvede a precisare su sollecitazione dell’autore. La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle opere dell’autore (quindi non basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Di seguito si indica la fonte ….. Il video serve a sollecitare l’interesse dell’opinione pubblica ed a far conoscere la problematica e l’autore che se ne è interessato, attraverso i canali di una associazione nazionale antimafia riconosciuta dal ministero dell’interno. Uso del video non a fini commerciali. E’ interesse del detentore dei diritti sollecitare l’immediata cancellazione del video, nel caso in cui non aderisse all’iniziativa benefica. Si dà il caso che, invece, sul libro anche a lettura libera “Giustiziopoli. Ingiustizia contro i singoli”, saggio esclusivo d’inchiesta sulla giustizia italiana, ogni articolo di stampa riporta autore e testata di riferimento con il link che riporta all’articolo originale…..Si cerca di fare servizio pubblico, disinteressato e con ritorsioni impunite e taciute, nel rispetto della legalità. Per questo si ringraziano i detentori del copy right dei pezzi di cui non si è chiesta la cancellazione”.

Giornalista A.C.: “La ringrazio per le parole di stima. I suggerimenti che le davo erano per evitare che si attivi l’ufficio legale del Corriere. Ho visto che nel testo ha inserito le precisazioni ma il video risulta ancora senza logo CorriereTv. Se guarda il link che le ho inviato può vedere che il logo c’è e c’è sempre stato. Pertanto le suggerirei di prendere le videoinchieste nella loro interezza come da pubblicazione.”

Giangrande:  “Dr A.C. il video in oggetto ha avuto 27.613 visioni e non sono pochi, tenuto conto dell’argomento che tira poco, rispetto alla visione di tette e culi che vanno per la maggiore. Questo è anche merito del canale divulgativo con i canali ad esso associati. Canali che non ricevono emolumenti da You Tube per la pubblicità, nonostante le 50 mila visioni settimanali dei suoi video.

Con questo mio video ho voluto dare onore a lei, e solo a lei, per il lavoro svolto, rimarcando il nome dell’autore. Del fatto che il Corriere ne detenesse i diritti non ne ero a conoscenza, fino a quando non mi è arrivata la notizia da lei, tanto è vero che i video li ho tratti da….. Video pubblici e liberamente scaricabili. Youtube mi ha comunicato la semplice violazione di brani, che colpiscono il video sin dall’origine e che ne vietano la visione in Germania…..Una cosa le voglio precisare: Il Corriere della Sera, a differenze di La Repubblica o altri giornali con TV web, non permette assolutamente lo scarico dei suoi video, o così risulta a me. I video di La Repubblica  ed altri si possono scaricare per pubblico interesse, attinenza e verità. Essi sono già con il logo incorporato ed il nome dell’autore. E’ scandaloso non poter scaricare i video, se il Corriere percepisse il finanziamento pubblico per l’editoria. In tal caso il diritto d’autore dovrebbe essere condiviso col pubblico, come dovrebbe essere per la Rai. Anche in questo caso ci troviamo a non poter scaricare i video, nonostante da pagatori del canone siamo piccoli azionisti della RAI. Visionarli e sciropparci preventivamente la pubblicità, invece sì, ci è permesso. Comunque, per gli effetti dell’impedimento, anche se volessi, non potrei riprogrammare il video. A questo punto, non potendomi permettere una lite con il Corriere, né con chicchessia; Avendo già ampie ritorsioni per quello che io faccio, e che nessuno fa, contro i poteri forti: specialmente i magistrati, che in galera ci mandano, spesso, gli innocenti. Non avendo amici a cui chiedere aiuto, né sovvenzionamenti, non essendo di sinistra, e non essendo Libera; Essendo già vittima predestinata di ritorsioni impunite; Tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimane che eliminare il video dal mio canale, così la forma è fatta salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti il tema. In questo modo tutti saremo contenti, meno la libertà dell’informazione: la verità esiste solo se conosciuta e certamente non va remunerata. Ogni forma divulgativa va sfruttata. Mi spiace per lei, il cui nome non sarà più accomunato ad una giusta battaglia. Ed è quello che fino ad oggi ho voluto fare. Con ossequi, rimanendo intatta la mia stima per lei.”

Giornalista A.C: “Non sto qui a discutere la sua personale interpretazione del diritto d’autore (lei vuole scaricare gratis ciò che altri hanno pagato senza neanche chiedere il permesso). I video che segnala non sono pubblici e nemmeno liberamente scaricabili, presto o tardi verranno bloccati da chi ne detiene i diritti, avendoli pagati. Stia tranquillo che la libertà di informazione su questo tema non sarà intaccata. Tutte le videoinchieste sulle carceri sono liberamente visionabili con una semplice ricerca su google, sono stabilmente in home page sul sito del Corriere (home- inchieste - Le nostre prigioni) e non hanno bisogno di pubblicità avendo superato le migliaia di visualizzazioni. Inoltre periodicamente sono riprese dai vari network che ne hanno interesse previo consenso del Corriere. Nessuno le ha imposto di togliere i video ma di citarli correttamente e mandarli in onda senza alterazioni rispetto all’originale. Se questo per lei rappresenta una difficoltà allora fa bene ad eliminarli. Può piacere o meno ma questi sono i doveri e hanno pari dignità dei diritti. La ringrazio per le intenzioni più felici e nobili, spero di esserle stato di aiuto in qualche modo.”

Non ho voluto andare in polemica, sicuro della piega che il seguito avrebbe avuto. Passare per stravagante ed ignorante va bene, ma avevo ben fatto intendere che tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimaneva che eliminare il video dal mio canale, non potendolo modificare, né lo potevo scaricare direttamente da “Il Corriere della Sera”. Così la forma è fatta salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti il tema.

Ma la doverosa precisazione va data a tutti quelli che pensano di detenere lo scettro della verità e questo potere usato per far poltiglia nell’opinione pubblica.

Per prima cosa va detto, per chi è digiuno di giurisprudenza, che il Diritto materiale nasce su volontà di una maggioranza storica in Parlamento, spesso trasversale e molte volte influenzata da lobbies di potere. Solo per questo la maggioranza in Parlamento ha sempre ragione, traviando l’interesse della maggioranza dei cittadini. Comunque dura lex, sed lex.

Per secondo va precisato che non è degno di vanteria il fatto che qualcuno paghi dei diritti, arrogandone la proprietà, con i soldi di terzi (i cittadini), a cui poi se ne nega la paternità.

Queste convinzioni, essendo tacciate di opinioni, vanno supportate da fatti, iniziando proprio da quel brocardo “dura lex, sed lex”.

C'è un articolo, nella legge sul diritto d'autore, che rappresenta, mutata mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair dealing: è l'art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma recita: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali." Questa norma, massima espressione del concetto di libera utilizzazione, è sempre più dimenticata ed ignorata, scrive “Movimento Costo Zero”. Addirittura c'è chi sostiene, come Enzo Mazza, presidente di FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) che "l'uso di materiale coperto da diritti senza autorizzazione è sempre illecito, le storie sull'education ecc. sono bufale che girano in rete". Ad affermazioni di questo genere, fanno eco le spiegazioni delle denunce che SIAE ha indirizzato verso i gestori di siti didattici e culturali: ecco che la citazione parziale di un'opera, così come permessa dall'art. 70, diventa una manipolazione (non gradita: ma la lesione dell'onore e della reputazione non dovrebbe essere rilevata dagli autori o dai loro eredi?) dell'opera stessa, che SIAE, non si capisce a che titolo (visto che il mandato SIAE può avere ad oggetto soltanto i diritti di utilizzazione economica), avrebbe il dovere di sanzionare.

"Il giornalista è uno che, dopo, sapeva tutto prima". (Karl Kraus), scrive Dagoreport su “Dagospia”. “Il Salario (confutato) dell’impostura. "Su un punto la tranquillizzo: i contributi pubblici ai giornali indipendenti come il nostro sono oggi (per fortuna) inesistenti. I nostri stipendi ce li pagano lettori e inserzionisti". L'impudica rispostina di Sergio Rizzo ("contributi inesistenti") appariva sotto la lettera di un ingenuo deputato, Silvano Moffa, che si lagnava per la campagna anti parlamentari del Corrierone. Per altro, meritevole. Nonostante le omissioni. Si tratta presidente della Commissione lavoro della Camera che una volta ricevuti i pesci in faccia dal Corriere, si troverà nell'aula di Montecitorio a votare l'ennesima proroga milionaria ai Signori dell'editoria.
Almeno fino al 2014, secondo la promessa di Monti. Una missiva garbata e argomentata in cui il povero Moffa, en passant, ricordava al Gabibbo (impunito) i contributi pubblici versati all'editoria (un miliardo di euro annui) con cui anche i giornalisti arrotondano lo stipendio. Magari turandosi il naso o ignorandone addirittura la puzza (di provenienza). Ma i professionisti dell'Anti casta sono fatti così. Moralisti à la carte. Tant'è che al momento di andare al "mercatino delle pulci" (altrui) non guardano mai cosa si vende (di guasto) sulle proprie bancarelle dove acquistano per mangiare. E fanno finta di non vedere che da molto tempo i grandi giornali (Corriere, Repubblica, Stampa etc) sono in mano ai Poteri marci. E che questi giornaloni, come ha osservato Salvatore Bragantini (autorevole collaboratore del giornale in cui scrive, spesso sbugiardato, Sergio Rizzo), "sotto il profilo della cronaca economica (...) formano una formidabile flotta, che segue per lo più un'aurea massima: Cane non mangia cane". La citazione appare nel volume dal titolo eloquente: "Capitalismo all'italiana, come i furbi comandano con i soldi degli ingenui". Ma nella stampa (in genere), rovesciando una massima di Calderon de La Barca: "Il servo più furbo trova sempre che la valigia del padrone sia più leggera da portare della sua". Già, perché sembra calato dalla luna chi, proprio sul Corrierone dei "padroni del vapore", disquisisce di "giornali indipendenti" e senza prebende pubbliche. O si sente addirittura fortunato, disconoscendo persino che l'editoria non riceva soldi dallo Stato. Stiamo parlando di un miliardo annuo pagato con le tasse dei cittadini attraverso ben sette voci di sussidi: contributi diretti, credito d'imposta per investimenti, fondo mobilità e rimborsi per carta e teletrasmissioni; Iva privilegiata al 4% rispetto a un'imposta ordinaria del 20%. Un regalino da niente, da parte del governo e del parlamento. Per poi sentirsi accusare di dirigismo. E mettere in croce notai, benzinai, tassisti, avvocati, commercianti, medici e chi più ne ha più ne metta. In un recente studio del Reuter Institute for the Study of Journalism dell'Università di Oxford, tra i cinque paesi presi in esame Italia risulta al primo posto quanto a flussi di sovvenzioni pubbliche rispetto al numero effettivo dei lettori. Il campione esaminato riguarda Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nello studio si osserva pure che da questo meccanismo di aiuti (public support) non c'è "nessuna correlazione tra spesa pubblica (sussidi) e penetrazione dei giornali (copie vendute)". Come a dire? Si stratta di soldi dello Stato che finiscono al macero. Come le copie rese dalle edicole. Sergio Rizzo sembra appartenere allora a quella categoria di giornalisti che, per dirla con Francesco Giavazzi (altro editorialista di punta di Flebuccio de Bortoli), "non sanno distinguere tra gli interessi dei loro editori e le regole della trasparenza". E, spesso, neppure si avvedono "che l'essenza della libertà sta anche "nel diritto di opporsi a difendere le proprie convinzioni solo perché sono le nostre convinzioni" (Isaiah Berlin).

E la doppia morale del Corriere della Sera? Scrive “Stampa Alternativa”. La “Terza pagina” del Corriere della Sera, sabato scorso ha deciso di trattare il libro La casta dei giornali di Beppe Lopez, edito da Stampa Alternativa e Rai Eri, che in un paio di settimane è stato ristampato quattro volte e ha venduto 50 mila copie. Un successo, nonostante lo spinoso tema: “come l’editoria italiana è stata finanziata e assimilata dalla casta politica”. Passaparola, grande accoglienza dal mondo di Internet e dei blog, della televisione pubblica e privata, da radio e giornali regionali. I grandi giornali nazionali, infatti, hanno sinora ignorato o trattato il libro marginalmente, con reticenza o sotto titoletti incomprensibili. E il motivo è comprensibile: La casta dei giornali racconta e documenta il portentoso flusso di danaro pubblico, circa 700 milioni di euro all’anno, che finisce nelle casse dei grossi gruppi editoriali, rimpolpaldo di conseguenza anche gli utili degli azionisti. Andando più nel dettaglio, si parla di 29 milioni a Mondadori, 23 milioni a Rcs, 19 milioni al Sole 24 Ore, 16 milioni a Repubblica Espresso, eccetera. Con ovvia distorsione del mercato e annientamento dell’editoria regionale e indipendente, e conseguente manipolazione della circolazione delle idee e della democrazia. Ora, il “Corriere della Sera” recensisce, meritoriamente controccorrente, l’inchiesta di Lopez. Ma seguendo un metodo trasversale e liquidando con poche battute il cuore del libro. Pierluigi Panza che ha scritto il pezzo ha puntato a delegittimarlo, semplicemente parlando d’altro. Sin dal titolo: “La doppia morale della Rai”. Si attacca la Rai, che poi è come sparare sulla Croce Rossa. Panza si dichiara deluso, si sarebbe aspettato di “trovarci svelate le segrete trame, i legami lobbistici, il sistema delle raccomandazioni diffuso nei giornali con tanto di nomi e cognomi”. Si sarebbe aspettato cioè tutto un altro libro. Magari “sul modello della Casta di Stella e Rizzo”, dove si parla meritoriamente di tutti e di tutto, meno che dei finanziamenti pubblici all’editoria. Ma la Rai non è quell’editore finanziato con le tasche di tutti i cittadini? Ma la Rai, almeno, non faccia la morale agli altri, pubblicando con i soldi dei cittadini un libro contro il finanziamento agli (altri) editori. È il nocciolo della recensione. Ma sarebbero bastati un paio di minuti a Panza per verificare che la partnership editoriale della Rai Eri con Stampa Alternativa per La casta dei giornali non prevede, da parte sua, l’esborso anche solo di un euro. Anzi, il contratto firmato dalla due case editrici, prevede che la Rai Eri non solo non ha investito economicamente sul progetto ma percepirà il 2% sui diritti di vendita. Sarebbe gradita e corretta, come nella grande tradizione del “Corriere della Sera”, pubblicare un’errata corrige al riguardo, anche perché sarebbe una beffa non conforme alla storia di Stampa Alternativa, dopo aver garantito alla Rai Eri il suo guadagno, passare addirittura per gli ennesimi mungitori di “mamma Rai”.

Alla bisogna , sempre sul web si trova: Finalmente abolito il copyright sui contenuti prodotti con fondi pubblici, scrive Simone Aliprandi sul suo blog. Ci voleva l'intervento dei cosiddetti "saggi" per fare questo grande passo innovativo... ma l'importante è che sia stato fatto. Sì, perchè è proprio una mossa saggia quella di abolire il diritto d'autore su tutto ciò che è stato prodotto da enti pubblici e con finanziamento prevalentemente pubblico. Una condizione già presente in altri ordinamenti giuridici e che l'Italia, presa da faccende più urgenti, non aveva mai preso seriamente in considerazione. Ma ecco che con la prima riunione dei "saggi" (nominati da Napolitano) tenutasi questa mattina al Quirinale, il primo passo è stato effettuato. Dunque, testi, immagini, video, musiche, trasmissioni televisive, contenuti multimediali, siti web, banche dati e anche software: tutto senza vincoli di diritti d'autore e diritti connessi a condizione che siano prodotti da un ente pubblico o che comunque la loro produzione sia stata finanziata con fondi pubblici per più della metà. Il provvedimento produrrebbe i suoi effetti a partire da 60 giorni dalla data della sua formale adozione. Dunque entro quest'estate dovremmo già riuscire ad avvantaggiarci di questa sostanziale innovazione. Negativo ovviamente il parere del CPPC (Consorzio Produttori Pubblici di opere sotto Copyright), il quale minaccia di sollevare al più presto una questione di legittimità costituzionale.

Su queste basi è nato un movimento di libertà civica “Scarichiamoli”. L'accesso pubblico al sapere e la libera fruizione delle opere dell'ingegno rappresentano un minimo comune denominatore per movimenti tra loro diversi, che si occupano di problemi diversi, ma che trovano una base condivisa nello sviluppo "aperto" della Società della Conoscenza. In armonia con i principi promossi da questi movimenti, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici e le opere di pubblico dominio fossero:

pubblicamente accessibili (facilmente reperibili su Internet);

universalmente accessibili (accessibili anche per i diversamente abili);

liberamente fruibili (non occorre pagare per: leggere un testo, vedere un'immagine, ascoltare una musica);

legalmente fruibili (l'utente è certo di poter scaricare un file nella piena legalità);

ottimamente fruibili (qualità digitale idonea a garantire una buona visualizzazione e/o un buon ascolto).

Inoltre, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi pubblici fossero:

persistentemente non soggette a tutti o ad alcuni diritti di utilizzazione economica (l'autore rilascia la propria opera con licenza free/open content persistente o con licenza libera copyleft: innanzitutto, ciò consente a chiunque di riprodurre l'opera e di metterla in circolazione);

persistentemente non soggette a diritti connessi all'esercizio del diritto d'autore (altri diritti esclusivi che impediscono, innanzitutto, di riprodurre l'opera e di metterla in circolazione);

persistentemente non soggette a misure tecnologiche di protezione (l'autore rilascia la propria opera con licenza, free/open content persistente o libera copyleft, contenente una clausola anti-TPM o più clausole anti-TPM).

Dr Antonio Giangrande

Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia


099.9708396 – 328.9163996

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