martedì 30 ottobre 2012

A PROPOSITO DI RAPIMENTI DI STATO. NON SOLO FIGLI CONTESI


A PROPOSITO DI RAPIMENTI DI STATO. NON SOLO FIGLI CONTESI, SPESSO ANCHE I PADRI SONO VITTIME DI ORDINARIA INGIUSTIZIA.
Caso Navone: dubbi e domande lecite sul perché sia ancora detenuto. Riflessioni “a voce alta” da parte della redazione di “Lazio Opinioni” rivolte al dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “ABUSOPOLI". Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Continua la Via Crucis di Navone Luigi Mauro, che dopo aver scontato l’anno scorso (in misura alternativa, come previsto da legge) 6 mesi di affidamento in prova al servizio sociale e pagato le spese pecuniarie previste per il reato commesso, dal 2 agosto, per una sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 19 luglio scorso, si ritrova “a sorpresa” (poiché nessun preavviso è giunto al soggetto, né al suo difensore) prelevato dal suo domicilio e condotto al carcere di Mammagialla. Ricordiamo che il Navone (direttore del periodico “Lazio Opinioni”, fondatore ed ex Presidente della Università della Terza Età della Tuscia, nonché Presidente della L.I.D.H. Lazio – Ligue Interregionale Droits dell’Homme e partecipe di altre pregevoli iniziative culturali e umanitarie) per il mancato versamento degli alimenti alla ex (cosa per altro concordata, ahimè, solo verbalmente con la ex moglie a fronte della cessione di beni di valore che ben superavano il totale dovuto con gli alimenti per i mancati 3 anni al raggiungimento della maggior età del figlio) a seguito di una querela della donna, si è ritrovato con una sentenza penale (così come prevedono le nostre antiquate leggi!) che prevedeva 6 mesi di carcere ed il versamento di 300 euro di multa. Ora, in una società dove i divorzi sono all’ordine del giorno ed il versamento degli alimenti è esborso dovuto da tantissimi padri italiani, considerata l’attuale crisi che all’improvviso può lasciare a casa da lavoro chicchessia, il fatto di andare a finire in galera per un simile reato deve far preparare il governo alla costruzione di parecchie strutture detentive al fine di contenere tutti questi possibili (e già ce ne sono tantissimi) insolventi!!! Tuttavia, l’aspetto perverso (e terribile allo stesso tempo) della vicenda è che il Navone ha scontato la sua pena con “decorso positivo” (come si evince dalla relazione dei servizi sociali) tranne che per il “risarcimento del danno” alla ex: danno mai quantificato in alcuna sede di giudizio prima del suddetto 19 luglio!!!
Visto che nel nostro sistema il carcere è l’ultima spiaggia per un individuo che abbia commesso reati sul piano penale in quanto è nota la sua impossibilità di fatto (almeno così come è concepito e strutturato nel nostro paese) a rieducarlo e recuperarlo (ecco perché, d'altronde, esistono le misure alternative!!!) qualcuno sa spiegare perché si tiene rinchiuso il Navone (e non lo si manda ai domiciliari, evitando di occupare uno spazio carcerario, in una già pesante situazione di sovraffollamento) che oltre: a non essere un soggetto pericoloso per la comunità (non parliamo di reati contemplati all’art. 4 bis), ad aver già pagato per le sue colpe, ad avere una pena di 6 mesi, è in condizioni di salute seriamente e gravemente compromesse?
Ricordo che la Costituzione, all’art. 27 recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Quanto si sta “rieducando” quest’uomo che oltre a subire una palese ingiustizia, ad essere stato strappato alla sua famiglia (che sta, ovviamente, facendo il suo bel percorso rieducativo e riabilitativo con lui, soprattutto per quanto riguarda i valori e la giustizia nel nostro Stato!!!) viene messo in pericolo di vita per l’impossibilità della struttura carceraria di gestire il suo complicato quadro clinico??
Si sappia che dopo il colpo di scena del 19 settembre scorso, data in cui era fissata l’udienza a Roma per discutere del suo caso clinico e della compatibilità o meno con il regime carcerario e in cui ci fu un rinvio ad un “imminente” 31 ottobre per la mancanza nel fascicolo di Navone della relazione del Dirigente Sanitario del carcere di Viterbo, che doveva riferire sullo stato di salute del detenuto (Precisiamo che detta relazione, si scoprì poi, venne spedita il 18 ottobre all’ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Viterbo, ma “misteriosamente” non era allegata al fascicolo…), finalmente il 3 ottobre Navone è stato ricoverato nel reparto protetto dell’ospedale Belcolle. Qui le analisi non solo hanno confermato le sue patologie (è: diabetico insulino dipendente, cardiopatico, iperteso, soffre di apnee notturne, ha calcoli ai reni…), ma, per esempio, l’alimentazione e somministrazione delle insuline giornaliere e notturne corrette, hanno riportato i valori glicemici ad uno standard “di sicurezza” non registrati nei due mesi trascorsi in carcere. La possibilità di dormire con una postura sollevata (il Navone ha chiesto ripetutamente un secondo cuscino in carcere per riuscire a respirare durante il sonno, ma gli è stato rifiutato perché non ce ne sono a sufficienza) ha diminuito gli episodi di apnea evitando sobbalzi e scompensi respiratori deleteri per un cuore già soggetto a fibrillazione atriale. Nonostante ciò il 15 ottobre, viste l’impossibilità di effettuare alcuni esami per indisponibilità dei macchinari e l’esigenza di liberare il posto letto, viene rispedito in carcere segnalato con un “codice 5”, ossia in carcere devono avere un particolare riguardo nel somministrargli le ben 19 tipologie di farmaci giornalieri prescrittigli, in precisi momenti della giornata. Peccato che tutto il personale infermieristico del carcere (ovviamente, insufficiente) non abbia solo il Navone da accudire, per cui a pochi giorni di distanza dal rientro non solo molti dei valori che erano rientrati nella norma, vanno nuovamente fuori livello di sicurezza, ma anche tutti quegli accertamenti (tipo la rilevazione dell’INR) utili per ponderare i dosaggi dei farmaci che possono, al contrario, essere più letali che vitali, non vengono eseguiti con le giuste scadenze. Ci si domanda allora quali altre evidenze occorrono perché si riconosca l’incompatibilità del Sig. Navone con il regime carcerario per gravi problemi di salute? Chi è preposto a stabilire e certificare questo prima che sia troppo tardi e, quindi, quali sono le regole e le procedure? Abbiamo chiesto delucidazioni al Prof. Francesco Ceraudo, per 37 anni direttore del centro clinico del carcere Don Bosco di Pisa, Presidente dell’Amapi (Ass.ne medici amministrazione penitenziaria italiana), docente presso l’università di Pisa, già Presidente del Consiglio Internazionale dei Medici Penitenziari (ICPMS) il quale dichiara che già solo per il fatto di essere infartuato, diabetico insulino-dipendente e con grave scompenso metabolico e con fibrillazione atriale  esistono gli estremi per dichiararne l’incompatibilità con il carcere che, vuoi per la mancata assistenza, vuoi per le condizioni insane e di stress a cui la persona viene sottoposta, non può che portare ad un peggioramento letale di tali patologie. D'altronde, «affermare che il carcere sia solo una privazione della libertà è falso: la persona in carcere subisce una serie di afflizioni che magari non appaiono evidenti, ma che non sono meno reali», spiega Ceraudo, che specifica come la lunga reclusione causi traumi alla vista, alla deambulazione, oltre a una serie di traumi psicologici, e attinenti alla sfera sessuale “già in una persona che vi giunge sana, figuriamoci in chi ha un quadro patologico complesso!”. Il codice di Procedura Penale stabilisce che spetta al Dirigente Sanitario del carcere analizzare il caso e pronunciarsi in merito all’incompatibilità del soggetto col regime carcerario: questo solitamente viene accolto positivamente da un Magistrato del Tribunale di Sorveglianza responsabile e che rispetta quanto dettato nell’articolo 3 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” (Onu – 1948) e che recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”.
E, dunque, come mai, rispetto alle molteplici evidenze sopra menzionate, per il Navone chi di dovere non si è ancora pronunciato nei giusti termini consentendone la permanenza in luoghi più idonei (i domiciliari, ad esempio) al suo stato di salute che viene sempre più compromesso? Forse non si sta andando contro a quel “senso di umanità” citato nel suddetto articolo della Costituzione? “Ai posteri l’ardua sentenza”!
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996


giovedì 25 ottobre 2012

PARLIAMO DI LAVORO. L’ITALIA DEGLI SFIGATI, DEI BAMBOCCIONI E DEGLI SCHIZZINOSI.


Chi sa fa, chi non sa insegna, dice un vecchio detto. Ed eccoci oggi a commentare proprio una frase di chi insegna. Suvvia perdoniamo loro che non sanno quello dicono. Generalmente ci si divide in teorici e pratici (tecnici). I primi a teorizzare, i secondi ad attuare. Ma se al Governo ci hanno messo i teorici (quelli che insegnano e non conoscono la realtà), perché li han definiti tecnici (capaci di fare)? Già, perché, chi sapendo ben fare (rubare e sprecare), non aveva più niente da fare e voleva precostituirsi un alibi. Giusto per dimostrare una mia tesi: da sempre siamo solo presi in giro e pure ne godiamo, anzichè ribellarci e buttar giù tutti dal carrozzone. L'apatia e l'accidia generale dei cittadini ti smonta, la collusione e la codardia delle vittime ti scoraggia. E la politica. I borghesi conservatori posso capirli, ma i cosiddetti comunisti, che si definiscono progressisti, ma che in realtà sono solo restauratori?
“Giovani siete sfigati”! Giovani siete “bamboccioni”! “Giovani non siate schizzinosi”! Poverini non è colpa loro, (di chi dice ste cazzate), anche perché i loro figli schizzinosi non lo sono affatto, non avendone ragione. In un paese dove il 78% dei lavori si trova per «segnalazione» (dato Eurostat), i figli di banchieri, professori universitari, rettori, presidenti di Cda, prefetti, manager pubblici, magistrati, principi del foro, tutti futuri (attuali) ministri, non hanno tempo per essere choosy, «schizzinosi». Già a me quando ero giovane i vecchi mi dicevano: “aspetta, sei giovane, non hai esperienza. Devi farti le ossa”. Bene oggi che ho 50 anni i giovani mi dicono: “fai largo, sei vecchio, da rottamare”. Ergo, la mia è una generazione a perdere. In attesa di un turno che non arriverà mai. Questo mio pensiero è dedicato a chi, ignavo, non si ribella a cambiar le cose, se non per sé, almeno per i suoi figli. Per non destinare lor il destino di esuli per fame o per onor.
«Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.»
Il canto diciassettesimo del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nel cielo di Marte, ove risiedono gli spiriti di coloro che combatterono e morirono per la fede; siamo alla sera del 13 aprile 1300, o secondo altri commentatori del 30 marzo 1300.
Giustissimo prendersela con gli scandali della politica. Ma il problema è che l'Italia è divisa in due: chi è privilegiato (per conoscenze, relazioni familiari, corporazioni etc) e chi invece è abbandonato a se stesso. «Io faccio il senatore e so per esperienza che quando le persone si rivolgono a uno di noi è sempre per chiedere un aiuto personale, una promozione, un favore. E' questa la cultura che alimenta i privilegi e uccide il merito». Dice Ignazio Marino. Ha ragione e lo dico io, Antonio Giangrande, uno che si è laureato a 36 anni, sì, ma come?
A 31 anni avevo ancora la terza media. Capita a chi non ha la fortuna di nascere nella famiglia giusta.
A 32 anni mi diplomo ragioniere e perito commerciale presso una scuola pubblica, 5 anni in uno (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), presentandomi da deriso privatista alla maturità assieme ai giovincelli.
A Milano presso l’Università Statale, lavorando di notte perché padre di due bimbi, affronto tutti gli esami in meno di 2 anni (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità), laureandomi in Giurisprudenza.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ho fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare. Pago caro il denunciare il malaffare ed i concorsi truccati di quelle istituzioni che pretendono rispetto, senza meritarlo.
Mio figlio Mirko a 25 anni ha due lauree ed è l’avvocato più giovane d’Italia (non gliene frega a nessuno dell’eccezionalità).
Primina a 5 anni; maturità commerciale pubblica al 4° anno e non al 5°, perché aveva in tutte le materie 10; 2 lauree nei termini; praticantato; abilitazione al primo anno di esame forense.
Un genio, no, uno sfigato, sì, perché ha fatto sacrifici per nulla: fuori dall’università ti scontri con una cultura socio mafiosa che ti impedisce di lavorare.
Alla fine si è sfigati comunque, a prescindere se hai talento o dote, se sei predisposto o con intelligenza superiore alla media. Sfigati sempre, perché basta essere italiani nati in famiglie sbagliate.
Schizzinosi no!! C’è da far umili lavori. Si và. Padre e figlio accomunati da identico destino. Fa niente che a parità di laurea il popolino appella il titolo di dottore solo a chi va in cravatta (immeritata) e non a chi va con le braghe sporche.
Certo è che nessuno va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell'esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti non corretti? Per le commissioni d'esame: Fa niente, conta il nome e l'accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto: dipende dall’avvocato che le presenta. Basta leggere il libro del  dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI". Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996

lunedì 22 ottobre 2012

UNISALENTO: IL GIOCO DELLE PARTI


I sindacati, Laforgia e Mantovano. Università del Salento. Una grande famiglia.
Tanto rumore per nulla. E’ tutto truccato e si accapigliano per tre compiti truccati.
Omertà invece per i concorsi in avvocatura, magistratura e notariato.
Università del Salento: una grande famiglia. Si intitolava un servizio di Tele Rama. I grappoli di famiglie che hanno fatto il nido nell'Università del Salento, il nepotismo che rischia di soffocare l'ateneo leccese e le contromisure che il rettore Domenico Laforgia ha cercato di mettere in campo, senza troppo successo. Scheda a cura di Danilo Lupo e Matteo Brandi, andata in onda nell'Indiano del dicembre 2008 dedicato all'università e condotto da Mauro Giliberti.
Con il discorso ufficiale del Magnifico Rettore, Prof. Ing. Domenico Laforgia, è stato inaugurato a Brindisi il 3/12/2009 l'anno accademico 2009-2010 dell'Università del Salento. Presenti alla cerimonia Gianfranco Fini, Presidente della Camera dei Deputati e diverse altre insigne personalità del mondo politico, economico e culturale della penisola salentina. In quella sede ha palesato una realtà, che molti cercano di ignorare o tacitare. “…..Questo è un altro dato che si presta ottimamente ad una lettura politica. Il familismo non è la ferita pruriginosa di questa o quella Università, ma di tutto il sistema occupazionale italiano. È una malattia endemica del Paese che ha contagiato tutti i campi, dalla politica alle libere professioni, dal giornalismo al mondo dello spettacolo, dall’industria a tutto il comparto pubblico. Familismo, nepotismo e clientelismo non sono le conseguenze di un sistema malato, come spesso si dice, ma sono il segno più evidente di una mancanza effettiva di alternative possibili. Ed è questa povertà di occasioni che mette in moto il meccanismo, che diventa perverso e nocente alla comunità quando non è neppure compensato dal merito."
Che una vera corazzata di parlamentari italiani sottoscriva una dichiarazione di guerra contro un ateneo di provincia è un caso più unico che raro. Porta la firma di ben cinquantacinque deputati, infatti, la richiesta di ispezione ministeriale da eseguire nell’Università del Salento. L’interpellanza urgente, ideata dall’ex sottosegretario agli Interni, il pidiellino Alfredo Mantovano, è stata inoltrata ai ministri dell’Istruzione e della Funzione Pubblica, Francesco Profumo e Filippo Patroni Griffi. Di mezzo ci sono presunte condotte illecite e ragioni di trasparenza da ripristinare. Ci sono anche gli appalti che si accingono ad essere portati in gara. Tanti. Molti. Del valore, all’incirca, di cento milioni di euro. Nell’interpellanza si parla del Tar di Lecce. Tar che spesso adotta decisioni contrastanti tra loro, pur aventi lo stesso oggetto. E pur la stampa pubblica: Indagato presidente del TAR Lecce solo per abuso d’ufficio e solo lui. Antonio Cavallari, presidente del Tar di Lecce indagato per abuso d’ufficio per aver favorito un’azienda in odor di mafia difesa dal noto amministrativista leccese, avv. Pietro Quinto. Ahhh... Quante volte io e tutti gli avvocati non principi del foro che bazzicano le aule del Tar di Lecce avremmo desiderato un atto di sospensiva di sabato ed in 24 ore!!!!!!!! Poi si parla della Procura di Lecce. Mi astengo dal dare giudizi sull’esito delle mie denunce contro i concorsi truccati, ma mi riporto a quanto detto dal Procuratore Capo di Bari: «Non posso non rilevare che questo tipo di accertamenti è iniziato un anno fa, ma un’indagine a carico di un procuratore non può durare tanto. Occorre dare risposte rapide sia che siano stati commessi reati, sia che non siano stati commessi, soprattutto per la credibilità dell’ufficio».
La pensano allo stesso modo migliaia di persone indagate che vivono in un «limbo» e che chiedono senza fortuna di potere dire la loro. La giustizia non è uguale per tutti?
«Capita a me quello che accade a tanti cittadini. Rappresento, però, che, indipendentemente dalla vicenda personale, la questione si riverbera sull'intero ufficio. Non sostengo che la mia posizione è diversa, ma lamento che così si mette a rischio la credibilità della giustizia e delle istituzioni. Una situazione che deve essere definita in tempi rapidi. Per questo voglio subito essere interrogato».
Tanto rumore per nulla. Certo è che nessuno, tanto meno l’On. Alfredo Mantovano più volte interpellato, va a chiedere ispezioni ministeriali per vagliare le risultanze dell'esame di abilitazione di avvocato o di notaio o di professore universitario, ovvero di verificare la legalità delle procedure di accesso alla magistratura. Compiti non corretti? Per le commissioni d'esame: Fa niente, conta il nome e l'accompagno. Il TAR, intanto, da parte sua sforna sentenze antitetiche tra loro su domande aventi lo stesso oggetto. Basta leggere il libro del  dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “CONCORSOPOLI".  Libro facente parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996 

mercoledì 10 ottobre 2012

AMBIENTE E GIUSTIZIA: CHI COPRE CHI?




 «A parte la scelta adottata dalla Fiom genovese e tarantina (da buoni comunisti) di stare dalla parte della magistratura, più che dalla parte degli operai, vogliamo cercare di capire chi copre chi, in riferimento alle magagne intorno alla questione ambiente e giustizia». Così esordisce il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it, e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Taranto. Quello che non si osa dire” nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare.
La Liguria e la Puglia: ILVA e diossina, territori legati a doppio filo.
«Vogliamo che si faccia piena luce sul passato, in particolare su tutte le ricerche sulla diossina negli alimenti che non hanno mai registrato a Taranto alcun superamento dei limiti di legge, mentre quando noi abbiamo fatto fare quelle stesse analisi, sono emersi incredibili e scandalosi superamenti – affermano, come riferito da Maria Rosaria Gigante su La Gazzetta del Mezzogiorno, gli ambientalisti Rosella Balestra, Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera e sollecitano l’assessore regionale alle Politiche della salute, Ettore Attolini, perché si faccia luce su tali questioni. - Come mai dal 2002 al 2007 sono state analizzate cozze, orate, spigole, carne, uova, latte e mangimi senza mai trovare negli alimenti consumati a Taranto alcun superamento per diossina e Pcb?» Gli ambientalisti forniscono proprio gli esiti delle 72 analisi effettuate dal 16 ottobre 2002 a 23 maggio 2007 presso l'Istituto zooprofilattico di Foggia da cui risulta che non c’è mai stato alcuno sforamento (tutti i dati sono riportati sul sito www.tarantosociale.org). E’ bastato, invece, il pezzo di formaggio alla diossina a febbraio 2008 a scatenare la questione e ad aprire una vera e propria emergenza diossina col conseguente piano regionale di monitoraggio di latte e carni all’interno di un raggio di una ventina di chilometri dalla zona industriale. Proprio per la diossina ha chiuso la Copersalento di Maglie, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Varie sono state le denunce, le ispezioni, le chiusure, fino a quella definitiva posta dalla provincia di Lecce, dovuta all'inquinamento. La Copersalento è stata, infatti, accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina. Per tutto ciò si aspetta di capire cosa succede a nostra insaputa. Da attente segnalazioni scopriamo alcune cose che la gente deve sapere, ma che nessuno dice.
Esito positivo inchieste giudiziarie=0
Risposte istituzionali ed amministrative=0
Atto Camera. Interrogazione a risposta scritta 4-08079 presentata da ELISABETTA ZAMPARUTTI, lunedì 19 luglio 2010, seduta n.354
ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO.
- Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
- Per sapere - premesso che: a Maglie, Ezio Armando Capurro è proprietario della Copersalento, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Varie sono state le denunce, le ispezioni, le chiusure, fino a quella definitiva posta dalla provincia di Lecce, dovuta all'inquinamento. La Copersalento è stata, infatti, accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina;
secondo quanto riporta Terra di giovedì 8 luglio 2010, in Liguria, il pubblico ministero Biagio Mazzeo ha chiesto e ottenuto di sequestrare l'area dell'ex oleificio di Avegno, di proprietà del consigliere regionale Ezio Armando Capurro, perché la zona non è stata bonificata e si è trasformata in una discarica pericolosa -:
se i Ministri siano a conoscenza di quanto in premessa e di quali informazioni dispongano o intendano acquisire in merito alle attività di bonifica dell'ex oleificio di Avegno. (4-08079)
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere
Data delega
MINISTERO DELLA SALUTE
19/07/2010
MINISTERO DELLA SALUTE
19/07/2010
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 10/09/2010
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:
SOLLECITO IL 12/10/2010
SOLLECITO IL 01/12/2010
SOLLECITO IL 12/01/2011
SOLLECITO IL 03/02/2011
SOLLECITO IL 03/03/2011
SOLLECITO IL 06/04/2011
SOLLECITO IL 15/04/2011
SOLLECITO IL 23/05/2011
SOLLECITO IL 06/07/2011
SOLLECITO IL 21/09/2011
SOLLECITO IL 16/11/2011
SOLLECITO IL 15/02/2012
SOLLECITO IL 28/05/2012
SOLLECITO IL 04/07/2012
SOLLECITO IL 27/07/2012
L’inchiesta svolta da Floriana Bulfon su Terra News parla di un politico dotato di ubiquità. "Armando Capurro, già sindaco di centrodestra di Rapallo, è consigliere regionale della lista Burlando.
Amico del ministro Fitto, in Liguria chiede più inceneritori. Ma in Puglia il Pd lo accusa di danni ambientali. Rapallo eletto sindaco con una lista di destra, in regione Liguria con la sinistra. In Liguria a difendere i valori della lista Burlando, a Maglie un tempo in società con il cugino di Fitto. Ezio Armando Capurro è un uomo “dall’esperienza molteplice”, come lui stesso afferma. Docente, industriale, già sindaco di Rapallo e ora consigliere regionale della lista Burlando in Liguria. Proprio Claudio Burlando ha visto in lui il politico ideale e ha deciso di candidarlo nella sua lista civica alle ultime elezioni regionali. Il presidente ex ministro Ds, oggi Pd, ha scelto Capurro per le sue qualità e poco importa che qualcuno in quel di Maglie, in quella Puglia terra natale di Capurro, sostenga che sia un caro amico del ministro berlusconiano Raffaele Fitto. Importa ancor meno che il Pd in Puglia affermi che il Capurro industriale abbia causato con il suo stabilimento danni ambientali, diossina e controverso aumento di tumori. “La fabbrica della morte”, lo chiama il sito del Pd di Maglie. Questioni di poco conto, questioni pugliesi. Meramente locali. A dire il vero, qualche questione è stata aperta anche in Liguria, da quando il pm Biagio Mazzeo ha chiesto e ottenuto di sequestrare l’area dell’ex oleificio di Avegno di proprietà del consigliere perché la zona non è stata bonificata e si è trasformata in una discarica pericolosa. Ma poco importa anche questo. Capurro è uomo di oleifici e inceneritori, uomo di destra e di sinistra. E a Maglie, nel cuore del Salento, lo conoscono tutti bene.
E' il proprietario della Copersalento, per decenni un sansificio, poi trasformato in inceneritore di rifiuti e quindi in stabilimento per la produzione di energia. Tortuosi gli assetti societari dell’impianto che ha visto tra i proprietari anche Raffaele Rampino, cugino del sindaco di Maglie Antonio Fitto, parente di Raffaele. E varie le denunce, ispezioni, chiusure, fino a quella definitiva posta dalla Provincia di Lecce. Denunce dovute all’inquinamento. La Copersalento è stata infatti accusata di aver superato per oltre 400 volte i limiti massimi di emissione di diossina. Carne alla diossina e livello di inquinamento oltre i limiti, in base alle rilevazioni dell’Arpa, tali da risultare “gravemente pericolosi per la salute”. Problemi del Capurro industriale, certo, e del Capurro pugliese. Ma appare curioso che il Capurro consigliere ligure si appelli a Burlando con una interrogazione con oggetto «conferimento rifiuti dalla Provincia di Imperia alla discarica di Scarpino». La provincia di Imperia, quella cara all’ex ministro Scajola. Il Capurro ligure sostiene che per fronteggiare il problema dei rifiuti occorra dare attuazione immediata di un Piano di Rifiuti che permetta di risolvere le criticità e il superamento delle fasi emergenza. Capurro consigliere regionale vuole sapere come si intenda, e con quali tempi, realizzare più moderni impianti di trattamento finale dei rifiuti che prevedano il recupero energetico. Insomma, termovalorizzatori o gassificatori, indispensabili per risolvere i problemi dei rifiuti.
Saranno l’anello di congiunzione tra il Capurro pugliese e quello ligure?"  
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996


martedì 9 ottobre 2012

PARLIAMO DELLA MAFIA DEGLI AUSILIARI GIUDIZIARI.


A quanto ammonteranno i compensi per i custodi giudiziari dell’ILVA?
I custodi giudiziari spesso si spacciano anche per amministratori giudiziari, per poter pretendere con l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non dovuti.
«Essendo i consulenti tecnici, i periti, gli interpreti ed i custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari dei magistrati, come a questi ci si pretende di porre in loro una fiducia incondizionata. Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia nei collaboratori, che nei magistrati stessi. Ma a ciò bisogna far buon viso a cattivo gioco (giudiziario), se no succede quello che succede a me - spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Malagiustiziopoli” nella collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare – Io sono inviso dalla classe forense e giudiziaria, in quanto rendo pubbliche le magagne che si annidano presso gli uffici giudiziari. Il giornalista che va per la maggiore non vuole o non può pubblicare certe notizie, perché non ha il coraggio o, pur saccente, non ha la perizia giuridica per affrontare tematiche processuali, che solo scaltri avvocati riescono a scalfire. Per esempio, pragmaticamente, su sollecitazione di molti avvocati di Taranto vicini all’Associazione Contro Tutte le Mafie, prendiamo il caso concreto della decisione del Presidente del Tribunale di Taranto, Antonio Morelli. Già abbiamo affrontato il caso di quel consulente tecnico che non ha risposto alle domande postegli dal giudice delegante ed anzi andò in antitesi alla consulenza tecnica della parte convenuta e ben oltre la richiesta della consulenza tecnica della parte attrice. In quel caso il Pm archiviò a carico del CTU la denuncia per falso, ma, ciò nonostante, il dr Antonio Morelli estromise tale CTU dall’apposito elenco e per gli effetti quel consulente non fu più chiamato. L’archiviazione dette modo al consulente estromesso di rivalersi contro il denunciante per calunnia. Il denunciante a sua volta denunciò, inopinatamente il sottoscritto che lo difendeva in giudizio, per diffamazione a mezzo stampa per aver svolto un’inchiesta giornalistica sul funzionamento della giustizia a Taranto. Una golosa occasione per i magistrati di Taranto per tacitarmi, così come spesso hanno fatto, non riuscendoci. Ma arriviamo al caso di specie. Trattiamo della nomina e della remunerazione dei custodi/amministratori giudiziari. In questo caso trattasi di custodia dei beni sequestrati in procedimenti per usura. Il custode ha pensato bene di chiedere il conto alle parti processande, ben prima dell’inizio del processo di I grado ed in solido a tutti i chiamati in causa in improponibili connessioni nel reato, sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano anche a coloro a cui nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro posizione era stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed ottenere, con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00 euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di custode/amministratore.  Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante al suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp, primo comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp, secondo comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992 che applica gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il presidente Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto, solo la somma di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti possono permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è inconcepibile l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto effettivamente riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto. Questa differenza fa sorgere qualche dubbio circa la bontà legale dei presupposti, a fondamento della richiesta, e la susseguente decisione di accoglimento della stessa. Va da sé che i giudicanti sono ingiudicati e poi si sa che su tutto si trova una giustificazione. E’ da scuola la lezione, però, data dal presidente del Tribunale, Antonio Morelli, al suo collega Giudice dell’Udienza Preliminare. Morelli ha spiegato che è sbagliato considerare il custode giudiziario tour cour come amministratore e per gli effetti liquidare un compenso maggiore. Per due ordini di motivi: il primo è che non è ancora intervenuto il DPR previsto dal DLgs 14/2010 (istituzione dell’albo degli amministratori giudiziari); il secondo è che l’attività ed i compiti del custode, che danno diritto all’indennità prevista dall’art. 58 del DPR 1157/2002, sono infatti quelli di custodire e conservare la cosa custodita. “Né la figura dell’amministratore giudiziario, inserita dal legislatore nell’ampio contesto normativo di contrasto alle associazioni mafiose ed alle forme di criminalità similari, ha soppiantato la figura del custode, ma soprattutto non ha abolito, pur nell’ambito della sua qualifica, le attività tipiche di quello e cioè la custodia e la conservazione del bene sequestrato. E’ sufficiente, oltre che alla logica ed ai principi generali, fare riferimento al comma 8 dell’art. 2 sexies della legge 575/1965 che attribuisce all’amministratore il compito di provvedere alla custodia, alla conservazione ed alla amministrazione dei beni sequestrati anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi. Il senso del ragionamento - spiega Morelli - è che in concreto, tenuto conto della natura dei beni sequestrati, l’amministratore può svolgere attività tipiche del custode (custodire e conservare la cosa custodita), indipendentemente dal criterio nominalistico che lo definisce. Se si ragionasse diversamente si dovrebbe ritenere diverso dal custode colui che, nominato amministratore in procedimento per reati che prevedono tale figura, in concreto fosse chiamato a  svolgere compiti di mera custodia o di conservazione del bene nel senso sopra definito. Nel caso di specie i beni “amministrati” erano semplici immobili ad uso abitativo e le attività svolte non possono che considerarsi appropriata alla figura del custode e più in particolare al suo compito di sovrintendere alla conservazione del bene. Le argomentazioni di cui sopra conducono ad una conclusione di notevole rilievo in ordine ai criteri per determinare il compenso in maniera proporzionata alla natura e alla consistenza dei beni e delle attività svolta dal custode/amministratore. È infatti noto che ai sensi degli artt. 58 e 59 del DPR 115/2002 le tariffe relative alle indennità di custodia sono devolute a un decreto ministeriale e in mancanza agli usi locali. È noto, altresì, che il decreto ministeriale 256/2006 unico a provvedere un tariffario, contempla soltanto alcuni beni (motocarri, autoveicoli, motoveicoli e natanti) e che per gli immobili di cui al sequestro in questione, non vi sono usi locali che determinano le indennità di custodia. Non può allora che farsi ricorso ad un criterio di liquidazione secondo equità che, a parere del giudicante, deve prescindere dalle tariffe stabilite dagli ordini professionali, in quanto tutta la normativa in tema di custodia, così come di perizia e di consulenza tecnica, si scosta notevolmente dalle tariffe professionali, stante la diversità ontologica tra i compensi per attività chieste liberamente da privati e i compensi per attività costituenti un incarico di carattere pubblicistico. Prova di tale conclusione sta proprio nella necessità che il legislatore ha sentito di devolvere ad un decreto, non ancora emesso, un tariffario che, se avesse voluto, avrebbe potuto identificare con quello della categoria professionale. Alla stregua di tale considerazione, considerato il tempo della custodia, nonché la diligenza e la puntualità con la quale la stessa è stata espletata, ma anche la natura e la consistenza del patrimonio amministrato e la relativa semplicità degli interventi gestionali spiegati, si stima equo determinare l’indennità in euro 30.000,00” e non 72.000,00!!
Tutto ciò sta a dimostrare che spesso e volentieri vi è una certa complicità tra magistrati ed ausiliari a speculare sulle disgrazie di chi, poi spesso, è prosciolto dalle accuse.  Caso limite  e quello di Giuseppe Marabotto. Come racconta “La Stampa” ed altri organi d’informazione, Giuseppe Marabotto era scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Si sapeva dal 2005. Si sa anche che i commercialisti e consulenti della procura restituivano a un suo collettore il 30 per cento. «Ci sono spese da sostenere» veniva detto loro. In tre hanno confessato. Pesanti le accuse: corruzione, associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato. Per questo motivo anche a Taranto si augura lunga vita professionale al Presidente del Tribunale di Taranto, Antonio Morelli, anche perché il pensiero corre ai custodi giudiziari nominati per lo spegnimento degli impianti ILVA. Si pensi un po’, prendendo spunto da quanto suddetto ed adottando i criteri di liquidazione del GUP, quanto a questi sarà riconosciuto come compenso?»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996

lunedì 1 ottobre 2012

Tortora, Sallusti. E Giangrande?


Tortora, Sallusti. E Giangrande?
Enzo Tortora, icona dell’ingiustizia in Italia: un esempio per nulla. E poi Alessandro Sallusti esempio inane di ritorsione censoria. Ma perché nessuno parla di Antonio Giangrande?
«Questa è un’Italia ipocrita e dissimulatrice. - spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e pubblicato “Italiopolitania, Italiopoli allo sbaraglio”.  La premessa alla collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare – Si parla sempre a sproposito di meritocrazia, ma nulla si fa contro le rendite di posizione. Ruoli, funzioni ed incarichi pubblici immeritati? No! Meglio parlare sempre e solo di crisi e di soldi o sparlare di quella politica stantia che gli italioti votano e sempre voteranno. Il solito populismo sempre in cerca di una competenza ed onestà di parte. Periodicamente si parla di Enzo Tortora come icona dell’ingiustizia e di tutti coloro che scontano da innocenti le pene dell’inferno in carcere:  “Silvia mia carissima questo, te lo confermo, è un paese infame. Io sono, certe volte, proprio disperato. In questo paese non succede nulla. E’ questo che mi avvelena e mi dispera. Una ad una le speranze di una rigenerazione morale se ne vanno. Una Stampa stupida, serva, incline solo al pettegolezzo ed ai circensi. Aliena ai problemi veri e reali. Uno spettacolo immondo. Sono deluso Silvia. Mi pare di aver gettato via la mia vita e debbo fare anche autocritica. Credevo nella legge, nei magistrati e nelle istituzioni. Quello che non si sa è che una volta gettati in galera non si è più cittadini, ma pietre. Pietre senza suoni, senza voce, che a poco a poco si ricoprono di muschio. Una coltre che ti copre con atroce indifferenza. Ed il mondo gira: indifferente a quest’infamia.” (lettere di Enzo Tortora alla figlia Silvia). Enzo Tortora un martire che illumina le battaglie per la responsabilità dei magistrati, che i manettari non vogliono. Poi si è passati a parlare di Alessandro Sallusti come la vittima esemplare della ritorsione censoria del potere giudiziario. Un esempio per tutti i giornalisti liberi e coraggiosi che scrivono anche contro i magistrati, denunciandone abusi ed omissioni. Ma la Cassazione smentisce sé stessa pur di irrorare una pena esemplare: punire uno per tacitarne mille. La sentenza 19985 del 30 settembre 2011 della terza sezione della Cassazione parlava di «immediata rilevanza in Italia delle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo», di «obbligo, da parte del giudice dello Stato, di applicarle direttamente» e di «tenere presente l'interpretazione delle norme contenute nella Convenzione che dà la Corte di Strasburgo attraverso le sue decisioni». Ma cosa dicono la Convenzione e la Corte Europea si chiede “Il Giornale”? Innanzitutto, stabiliscono un principio cardine e fondamentale: nessun giornalista può andare in carcere per il reato di diffamazione. L'assunto è stato ribadito nella sentenza del 2 aprile 2009 nella quale la Corte di Strasburgo ha condannato la Grecia a risarcire il giornalista Kydonis perché «le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione» e perché «il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni». Se ciò non bastasse, la Corte di Strasburgo ha anche sottolineato come la previsione del carcere sia «suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa». Anche la Corte Costituzionale è stata snobbata. Nella sentenza 39/2008, la Consulta aveva stabilito che «le norme della Convenzione europea devono essere considerate come interposte e che la loro peculiarità, nell'ambito di siffatta categoria, consiste nella soggezione all'interpretazione della Corte di Strasburgo, alla quale gli Stati contraenti, salvo l'eventuale scrutinio di costituzionalità, sono vincolati a uniformarsi». Concetto espresso anche dal Consiglio d'Europa. A questo punto, anziché indignarsi contro i magistrati, monta l’antipolitica e lì la stampa a cavalcare l’indignazione sugli sprechi dei politici. Dallo spreco e dall’approfittamento si passa direttamente a parlare di corruzione. I giustizialisti ed i manettari sviano i temi forti e sono sempre lì pronti a crocifiggere tutti coloro che sono, addirittura, colpiti solo da un rinvio a giudizio. Tapini loro che si beano della loro ignoranza o dissimulano la loro malafede. Loro non sanno, o fanno finta di non sapere, che ben pochi sono coloro che hanno il privilegio di subire un giudizio, rispetto a milioni di denunce, che spesso ci si astiene dal presentare per l’improvvida conclusione (insabbiate o archiviate), e che il Gip-Gup non è altro che la “Longa Manu” del Pubblico Ministero. Spesso tali rinvii a giudizio sono per reati bagatellari commessi da poveri cristi o per reati di opinione. Molte volte tali giudizi si risolvono in assoluzioni o proscioglimenti in senso lato. Quasi mai si procede per abuso d’ufficio: il reato dei poteri forti. Ergo: l’arma pretestuosa della giustizia per discernere i buoni (ricchi e potenti) dai cattivi (poveri ed analfabeti); gli amici (di sinistra) dai nemici (di destra). In questo stato di appannamento mentale, influenzato dalla crisi, che addita i politici della fazione opposta come causa di tutti mali, c’è chi racconta una realtà diversa. Antonio Giangrande è il portavoce nel mondo in video ed in testi (non icona, non esempio) di chi in questa Italia bigotta voce non ha. Rappresenta centinaia di migliaia di candidati non idonei ai concorsi pubblici truccati, denunciandone le anomalie: per questo da 15 anni avvocati e magistrati non lo abilitano alla professione forense. Gente, che lui ha denunciato, solo in 2 minuti giudica i suoi elaborati, lasciandoli immacolati ed immotivati. Elaborati tecnici che, a parte le operazioni ante e post, si leggono con la dovuta attenzione in non meno di 10 minuti. Egli rappresenta centinaia di migliaia di innocenti in carcere, raccontando della malagiustizia che rende il sistema inefficiente e facendo conoscere singole storie di ordinaria ingiustizia che altrimenti rimangono nell’oblio. Egli, a parte ciò, racconta l’Italia per quella che è, approfondendo tutte le problematiche che l’attanagliano. Ma non senza, però, dal presentare al mondo con la sua “Tele Web Italia” la bellezza di cui la penisola è composta. Egli discerne l’Italia dagli italiani. Per questo i suoi siti web di informazione vengono chiusi e lui accusato del reato di diffamazione a mezzo stampa. Peccato però, che a differenza di Alessandro Sallusti, egli in sentenza è sempre dichiarato estraneo ai fatti. Non innocente, ma estraneo ai fatti incriminati. Già. Ma, stante l’utilità sociale del suo operato e le ritorsioni subite, perché di Antonio Giangrande nessuno ne parla?»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396 – 328.9163996