DIRITTO E
GIUSTIZIA. I TANTI GRADI DI GIUDIZIO E L’ISTITUTO DELL’INSABBIAMENTO.
In
Italia, spesso, ottenere giustizia è una chimera. In campo penale, per esempio,
vige un istituto non previsto da alcuna
norma, ma, di fatto, è una vera consuetudine. In contrapposizione al Giudizio
Perenne c’è l’Insabbiamento.
Rispetto
al concorso esterno all’associazione mafiosa, un reato penale di stampo togato
e non parlamentare, da affibbiare alla bisogna, si contrappone una norma non
scritta in procedura penale: l’insabbiamento dei reati sconvenienti.
A
chi è privo di alcuna conoscenza di diritto, oltre che fattuale, spieghiamo
bene come si forma l’insabbiamento e quanti gradi di giudizio ci sono in un
sistema che a livello scolastico lo si divide con i fantomatici tre gradi di
giudizio.
Partiamo
col dire che l’insabbiamento è applicato su un fatto storico corrispondente ad
un accadimento che il codice penale considera reato.
Per
il sistema non è importante la punizione del reato. E’ essenziale salvaguardare,
non tanto la vittima, ma lo stesso soggetto amico, autore del reato.
A
fatto avvenuto la vittima incorre in svariate circostanze che qui si elencano e
che danno modo a più individui di intervenire sull’esito finale della decisione
iniziale.
La
vittima, che ha un interesse proprio leso, ha una crisi di coscienza,
consapevole che la sua querela-denuncia può recare nocumento al responsabile, o
a se stessa: per ritorsione o per l’inefficienza del sistema, con le sue
lungaggini ed anomalie. Ciò le impedisce di proseguire. Se si tratta di reato
perseguibile d’ufficio, quindi attinente l’interesse pubblico, quasi sempre il
pubblico ufficiale omette di presentare denuncia o referto, commettendo egli
stesso un reato.
Quando
la denuncia o la querela la si vuol presentare, scatta il disincentivo della
polizia giudiziaria.
Ti
mandano da un avvocato, che si deve pagare, o ti chiedono di ritornare in un
secondo tempo. Se poi chiedi l’intervento urgente delle forze dell’ordine con
il numero verde, ti diranno che non è loro competenza, ovvero che non ci sono
macchine, ovvero di attendere in linea, ovvero di aspettare che qualcuno
arriverà………
Quando
in caserma si redige l’atto, con motu proprio o tramite avvocato, scatta il
consiglio del redigente di cercare di trovare un accordo e poi eventualmente
tornare per la conferma.
Quando
l’atto introduttivo al procedimento penale viene sottoscritto, spesso l’atto stanzia
in caserma per giorni o mesi, se addirittura non viene smarrito o dimenticato…
Quando
e se l’atto viene inviato alla procura presso il Tribunale, è un fascicolo come
tanti altri depositato su un tavolo in attesa di essere valutato. Se e quando…..
Se il contenuto è prolisso, non viene letto. Esso, molte volte, contiene il
nome di un magistrato del foro. Non di rado il nome dello stesso Pubblico
Ministero competente sul fascicolo. Il fascicolo è accompagnato, spesso, da una
informativa sul denunciante, noto agli uffici per aver presentato una o più
denunce. In questo caso, anche se fondate le denunce, le sole presentazioni dipingono
l’autore come mitomane o pazzo.
Dopo
mesi rimasto a macerare insieme a centinaia di suoi simili, del fascicolo si
chiede l’archiviazione al Giudice per le Indagini Preliminari. Questo senza
aver svolto indagini. Se invece vi è il faro mediatico, allora scatta la delega
delle indagini e la comunicazione di garanzia alle varie vittime sacrificali. Per
giustificare la loro esistenza, gli operatori, di qualcuno, comunque, ne
chiedono il rinvio a giudizio, quantunque senza prove a carico.
Tutti
i fascicoli presenti sul tavolo del Giudice per l’Udienza Preliminare
contengono le richieste del Pubblico Ministero: archiviazione o rinvio a
giudizio. Sono tutte accolte, a prescindere. Quelle di archiviazione, poi, sono
tutte accolte, senza conseguire calunnia per il denunciante, anche quelle
contro i magistrati del foro. Se poi quelle contro i magistrati vengono inviate
ai fori competenti a decidere, hanno anche loro la stessa sorte: archiviati!!!
Il
primo grado si apre con il tentativo di conciliazione con oneri per l’imputato
e l’ammissione di responsabilità, anche quando la denuncia è infondata,
altrimenti la condanna è già scritta da parte del giudice, collega del PM,
salvo che non ci sia un intervento divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo
che non interviene la prescrizione per sanare l’insanabile. La difesa è inadeguata
o priva di potere. Ci si tenta con la ricusazione o con la rimessione per
legittimo sospetto che il giudice sia inadeguato, ma in questo caso la norma è
stata sempre disapplicata dalle toghe della Cassazione.
Il
secondo grado si apre con la condanna già scritta, salvo che non ci sia un intervento
divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo che non interviene la
prescrizione per sanare l’insanabile. Le prove essenziali negate in primo
grado, sono rinegate.
In
terzo grado vi è la Corte di Cassazione, competente solo sull’applicazione
della legge. Spesso le sue sezioni emettono giudizi antitetici. A mettere
ordine ci sono le Sezioni Unite. Non di rado le Sezioni Unite emettono giudizi
antitetici tra loro. Per dire, la certezza del diritto….
Durante
il processo se hai notato anomalie e se hai avuto il coraggio di denunciare gli
abusi dei magistrati, ti sei scontrato con una dura realtà. I loro colleghi
inquirenti hanno archiviato. Il CSM invece ti ha risposto con una frase
standard: “Il CSM ha deliberato l’archiviazione non essendovi provvedimenti di
competenza del Consiglio da adottare, trattandosi di censure ad attività
giurisdizionale”.
Quando
il processo si crede che sia chiuso, allora scatta l’istanza al Presidente
della Repubblica per la Grazia, ovvero l’istanza di revisione perchè vi è stato
un errore giudiziario. Petizioni quasi sempre negate.
Alla
fine di tutto ciò, nulla è definitivo. Ci si rivolge alla Corte Europea dei
diritti dell’Uomo, che spesso rigetta. Alcune volte condanna l’Italia per
denegata giustizia, ma solo se sei una persona con una difesa capace. Sai,
nella Corte ci sono italiani.
Per
i miscredenti vi è un dato, rilevato dal foro di Milano tratto da un articolo
di Stefania Prandi del “Il Fatto Quotidiano”. “Per le donne che subiscono violenza
spesso non c’è giustizia e la responsabilità è anche della
magistratura”. A lanciare l’accusa sono avvocate e operatrici della Casa di accoglienza delle
donne maltrattate di Milano che puntano il dito contro la
Procura della Repubblica di Milano, “colpevole” di non prendere sul serio le denunce
delle donne maltrattate. Secondo i dati su 1.545 denunce per
maltrattamento in famiglia (articolo 572 del Codice penale) presentate da donne
nel 2012 a Milano, dal Pubblico ministero sono arrivate 1.032
richieste di archiviazione; di queste 842 sono state accolte dal Giudice
per le indagini preliminari. Il che significa che più della metà delle denunce
sono cadute
nel vuoto. Una tendenza che si conferma costante nel tempo: nel
2011 su 1.470 denunce per maltrattamento ci sono state 1.070
richieste di archiviazione e 958 archiviazioni. Nel 2010 su 1.407
denunce, 542 sono state archiviate.
«La
tendenza è di archiviare, spesso de plano, cioè senza svolgere alcun atto di indagine,
considerando le denunce manifestazioni di conflittualità familiare – spiega Francesca Garisto,
avvocata Cadmi – Una definizione, questa, usata troppe volte in modo acritico,
che occulta il fenomeno della violenza familiare e porta alla sottovalutazione della
credibilità di chi denuncia i maltrattamenti subiti. Un
atteggiamento grave da parte di una procura e di un tribunale importanti come
quelli di Milano». Entrando nel merito della “leggerezza” con cui vengono
affrontati i casi di violenza, Garisto ricorda un episodio accaduto di recente:
«Dopo una denuncia di violenza anche fisica subita da una donna da parte del
marito, il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione de plano
qualificandola come espressione di conflittualità familiare e giustificando la
violenza fisica come possibile legittima difesa dell’uomo durante
un litigio».
Scarsa
anche la presa in considerazione delle denunce per il reato di stalking
(articolo 612 bis del codice penale). Su 945 denunce fatte nel 2012, per 512 è
stata richiesta l’archiviazione e 536 sono state archiviate. Per il reato di
stalking quel che impressiona è che le richieste di archiviazione e le
archiviazioni sono aumentate, in proporzione, negli anni. In passato, infatti,
la situazione era migliore: 360 richieste di archiviazione e 324 archiviazioni
su 867
denunce nel 2011, 235 richieste di archiviazione e
202
archiviazioni su 783 denunce nel 2010. Come stupirsi, dunque, che ci sia poca fiducia nella
giustizia da parte delle donne? Manuela Ulivi, presidente
Cadmi ricorda che soltanto il 30 per cento delle donne che subiscono violenza
denuncia. Una percentuale bassa dovuta anche al fatto che molte, in attesa di separazione,
non riescono ad andarsene di casa ma sono costrette a rimanere a vivere con il
compagno o il marito che le maltrattata. Una scelta forzata dettata spesso
dalla presenza
dei figli: su 220 situazioni di violenza seguite dal Cadmi nel
2012, il 72 per cento (159) ha registrato la presenza di minori, per un totale
di 259 bambini.
Non
ci dobbiamo stupire poi se la gente è ammazzata per strada od in casa.
Chiediamoci quale fine ha fatto la denuncia presentata dalla vittima. Chiediamoci
se chi ha insabbiato non debba essere considerato concorrente nel reato.
Quando
la giustizia è male amministrata, la gente non denuncia e quindi meno sono i
processi, finanche ingiusti. Nonostante ciò vi è la prescrizione che per i più,
spesso innocenti, è una manna dal cielo. In queste circostanze vien da dire:
cosa hanno da fare i magistrati tanto da non aver tempo per i processi e
comunque perché paghiamo le tasse, se non per mantenerli?
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
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