ITALIA. PROCESSO
ALLA STAMPA. COME IL FATTO DIVENTA NOTIZIA
Siamo
sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello che
succede intorno a noi?
In
Italia la notizia è tale solo se data da un giornalista iscritto all’albo di
origine fascista e non perché il fatto vero, raccontato correttamente da
chiunque, può suscitare un pubblico interesse. Se non creata dal pennivendolo,
la notizia è solo una misera e opinabile opinione. L’opinione si eleva a notizia
solo se è pubblicata come editoriale dal direttore dell’organo di informazione,
o da un suo delegato. Gli esperti, che hanno molto da dire, invece, se graditi,
parlano solo se intervistati.
Il
giornalista, come in tutte le categorie professionali, può essere un incapace
raccomandato, vincitore di un esame-concorso truccato. Come tutti, del resto,
in Italia. Inoltre in questa professione può essere anche uno sfruttato a 5
euro al pezzo.
La
preparazione culturale del giornalista non permette alcuna competenza specifica,
né egli ha alcuna esperienza diretta dei fatti, vivendo recluso in redazione, di
conseguenza si appoggia alle considerazioni di coloro che lui reputa esperti. Quindi,
non ci si aspetti da lui un approfondimento peritale del fatto.
Importante
sapere è che i fatti non sono cercati dalle redazioni giornalistiche, d'altronde
non possono prevedere gli eventi, ma sono vagliati in base alle segnalazioni
ricevute. Sono cestinati i suggerimenti scomodi o che comportano
approfondimento e ricerca. Sono dileggiate le note che urtano i loro
convincimenti o danno fastidio ai loro amici. Alcune fonti, poi, sono da loro
trattati erroneamente come mitomani o pazzi.
Quindi
come far diventare notizia, un fatto vero ed interessante ed assolutamente
conoscibile?
“Conditio
sine qua non” è che il fatto deve essere giornalisticamente pubblicabile: vero;
pubblicamente interessante; con obbiettiva, corretta e civile esposizione. A
questi requisiti noti si aggiunge il modus operandi corrente: comodo, condiviso
ed omologato. Insomma diventa notizia quella che tutti danno. Non esiste lo
scoop, se non quello artefatto.
Chi
ha un fatto da far conoscere, per prima cosa ha bisogno di attivarsi nel cercare
quanto più contatti redazionali, per poter inviare la segnalazione o il
contributo pre confezionato in stampo giornalistico. Tra il mucchio si può
trovare la redazione interessata alla problematica condivisa dalla sua politica editoriale. Le grandi testate
nazionali, che nessuno più legge, destinati all’estinzione dall’inevitabile assottigliarsi
del numero dei loro lettori, disdegnano tutto quanto esce dalla loro dotta (a
loro dire) professionalità. Le piccole testate lette solo dal parentado
redazionale ed interessate esclusivamente alle loro sagre paesane, scartano le
segnalazioni non attinenti la competenza condominiale. Eccezionalmente, nel
mucchio si può anche trovare qualcuno che si impietosisce e fa passare il
suggerimento come l’istanza di un caso umano.
Se
la nota parte da un organo politico o istituzionale, avrà fortuna solo se il
ricevente è un suo referente politico o destinatario di contributi pubblici. Invece
le veline dei magistrati e degli organi di polizia giudiziaria, pur attinenti
fatti coperti da segreto istruttorio, hanno pubblicazione certa e pedissequa
alla virgola, specie se si sbatte il mostro in prima pagina.
Il
contributo già formato in stampo giornalistico, inoltre, non deve urtare la
suscettibilità del ricevente. Bisogna apparire inferiori intellettualmente. Quindi
non deve essere perfetto in sintassi e grammatica ed essere zoppicante nella
fluidificazione del discorso. Avere un linguaggio politically correct. Non avere intercalari di linguaggio
comune e moderno, né usare un lessico comprensibile al popolo. Non offendere
nessuno. Meglio appuntare i nomi. Non denunciare il malaffare di magistrati ed
avvocati e comunque del sistema di potere precostituito di cui i giornalisti
sono servi, salvo eccezioni. Chi è giornalista lo sa, chi dice verità scomode è
tacciato di mitomania, pazzia o addirittura accusato di diffamazione a mezzo
stampa. Oggi il valore del giornalista si compara alla quantità delle querele a
carico. Parlar male della politica e di politici in particolare, può segnare
l’interesse della redazione avversa a quel partito.
Non
approfondire la tematica, pur se esperti, sareste chiamati prolissi. Basta
l’accenno del profano. Non collegarli a casi similari, sareste chiamati
confusionari. Basta l’allusione dell’inesperto. L’autore del contributo non si
deve presentare nel testo, sarebbe accusato di autocelebrazione ed
autocitazione. Meglio essere anonimi. Sia mai che diventi propaganda gratuita,
perché la pubblicità è l’anima del commercio….e pure dell’informazione. E poi,
il testo come può essere firmato come proprio da chi lo riceve e lo pubblica?
Le
recensioni dei libri, inviate alle redazioni cultura, devono essere attinenti
ai testi pubblicati dall’editore della testata: non è permesso agevolare la
concorrenza. Gli scrittori, poi, violentino il loro talento e diano una
parvenza di inettitudine allo scritto. Insomma, bisogna essere sintetici e
divulgativi. I giornalisti superano l’esame di abilitazione nello svolgimento
di una prova di sintesi di un articolo o di un altro testo scelto dal candidato
tra quelli forniti dalla commissione in un massimo di 30 righe di 60 caratteri
ciascuna, per un totale di 1.800 caratteri compresi gli spazi. Per le moderne
testate tutto questo spazio è troppo, meglio centellinare i periodi, se no
nella pagina non entra nello spazio lasciato libero dalle inserzioni pubblicitarie.
Per esempio, questo pezzo è troppo lungo è sarebbe di sicuro cestinato.
L’espressione
del pensiero deve essere misurato e limitato in spazi preconfezionati. Non si
consulti il dizionario, ma la calcolatrice.
Seguendo
queste basilari regole, forse, dico forse, tra 1500 testate, ai cui contatti
email arrivano le note stampa, qualcuno di loro può prendere in considerazione
la missiva sotto forma di lettere al direttore e far leggere ai suo pochi
lettori quello che solo allora diventa notizia.
In
caso contrario, se i giornalisti altezzosi o permalosi ci ignorano, ci si apre
un blog o si fa parte di un social network o di un portale di giornalismo
partecipativo. In tal caso, però ci si accorge che i commenti dei lettori alla
notizia da noi data, spesso, sono postate da gente esaltata ed alienata: lo
specchio della società. Solo allora ci si rende conto qual è l’umanità
frustrata che ci circonda e che la notizia dovrebbe leggere. A quel punto ci si
pensa che è meglio tenere il fatto per sé, non elevandolo a notizia, e far
vivere gli altri nell’illusione di essere informati su tutto. Perché gli altri
son convinti che la notizia è solo quella detta dai tg. Perche?!? Perché l’ha
detto la televisione!!!
Per
inciso ed in conclusione, voglio dire che sui media ho scritto un saggio “Mediopoli.
Disinformazione, censura ed omertà”. Ho cognizione di causa. Facendo parlar
loro, la cronaca diventa storia. Per il resto i miei scritti, quelli sì, pur
non pubblicizzati, sono al vaglio del giudizio dei miei tanti lettori, anzi
studiosi, oggetto delle loro tesi di laurea. Ad ognuno il suo.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
PUOI
TROVARE I LIBRI DI ANTONIO GIANGRANDE SU AMAZON.IT
Nessun commento:
Posta un commento