E’ celebre il “vada a bordo, cazzo” del comandante De
Falco. L’Italia paragonata al destino ed agli eventi che hanno colpito la nave
Concordia. Parafrasando la celebre frase di De Falco mi rivolgo a tutti gli
italiani: ““TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Il tema è “chi giudica chi?”. Chi lo fa, ha
veramente una padronanza morale, culturale professionale per poterlo fare?
Iniziamo con il parlare della preparazione culturale e professionale di ognuno
di noi, che ci permetterebbe, in teoria, di superare ogni prova di maturità o
di idoneità all’impiego frapposta dagli esami scolastici o dagli esami statali
di abilitazione o di un concorso pubblico. In un paese in cui vigerebbe la
meritocrazia tutto ciò ci consentirebbe di occupare un posto di responsabilità.
In Italia non è così. In ogni ufficio di prestigio e di potere non vale la
forza della legge, ma la legge del più forte. Piccoli ducetti seduti in poltrona
che gestiscono il loro piccolo potere incuranti dei disservizi prodotti. La
massa non è li ha pretendere efficienza e dedizione al dovere, ma ad
elemosinare il favore. Corruttori nati. I politici non scardinano il sistema
fondato da privilegi secolari. Essi tacitano la massa con provvedimenti atti a
quietarla. Panem et circenses, letteralmente: "pane e giochi del
circo", è una locuzione in lingua latina molto conosciuta e spesso citata.
Era usata nella Roma antica. Perché quel “TUTTI DENTRO CAZZO!!”. Perché la
legge dovrebbe valere per tutti. Non applicata per i più ed interpretata per i
pochi. E poi mai nessuno, in Italia, dovrebbe permettersi di alzare il dito
indice ed accusare qualcun altro della sua stessa colpa. Prendiamo per esempio
la cattiva abitudine di copiare per poter superare un prova, in mancanza di una
adeguata preparazione. Ognuno di noi almeno un volta nella vita ha copiato. In
principio era la vecchia “cartucciera” la fascia di stoffa da stringere in vita
con gli involtini a base di formule trigonometriche, biografie del Manzoni e
del Leopardi, storia della filosofia e traduzioni di Cicerone. Poi il
vocabolario farcito d'ogni foglio e foglietto, giubbotti imbottiti di cultura
bignami e addirittura scarpe con suola manoscritta. Oggi i metodi per
“aiutarsi” durante gli esami sono più tecnologici: il telefonino, si sa, non si
può portare, ma lo si porta lo stesso. Al massimo, se c’è la verifica, lo metti
sul tavolo della commissione. Quindi non è malsana l'idea dell'iPhone sul
banco, collegato a Wikipedia e pronto a rispondere ad ogni quesito
nozionistico. Comunque bisogna attrezzarsi, in maniera assolutamente diversa.
La rete e i negozi di cartolibreria vendono qualsiasi accrocchio garantendo si
tratti della migliore soluzione possibile per copiare durante le prove scritte.
C'è ad esempio la penna UV cioè a raggi ultravioletti scrive con inchiostro
bianco e si legge passandoci sopra un led viola incluso nel corpo della penna.
Inconveniente: difficile non far notare in classe una luce da discoteca. Poi
c'è la cosiddetta penna-foglietto: nel corpo della stilo c'è un foglietto
avvolto sul quale si è scritto precedentemente formule, appunti eccetera.
Foglietto che in men che non si dica si srotola e arrotola. Anche in questo
caso l'inconveniente è che se ti sorprendono sono guai. E infine, c'è l'ormai
celebre orologio-biglietto col display elettronico e una porta Usb sulla
quale caricare testi d'ogni tipo. Pure quello difficile da gestire: solo
gli artisti della copia copiarella possono.
Il consiglio è quello di studiare e non affidarsi a
trucchi e trucchetti. Si rischia grosso e non tutti lo sanno. Anche perché il
copiare lo si fa passare per peccato veniale. Copiare ad esami e concorsi,
invece, potrebbe far andare in galera. E' quanto stabilito dalla legge n.
475/1925 e dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 32368/10. La legge
recita all'art.1 :“Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da
autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni
altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione
all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di
diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni,
progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la
reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere
inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito”. A conferma della legge
è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n.32368/10, che ha
condannato una candidata per aver copiato interamente una sentenza del TAR in
un elaborato a sua firma presentato durante un concorso pubblico. La sentenza
della sezione VI penale n. 32368/10 afferma: “Risulta pertanto ineccepibile la
valutazione dei giudici di merito secondo cui la (…) nel corso della prova
scritta effettuò, pur senza essere in quel frangente scoperta, una pedissequa
copiatura del testo della sentenza trasmessole (…). Consegue che il reato è
integrato anche qualora il candidato faccia riferimento a opere intellettuali,
tra cui la produzione giurisprudenziale, di cui citi la fonte, ove la
rappresentazione del suo contenuto sia non il prodotto di uno sforzo mnemonico
e di autonoma elaborazione logica ma il risultato di una materiale riproduzione
operata mediante l’utilizzazione di un qualsiasi supporto abusivamente
impiegato nel corso della prova”.
In particolare per gli avvocati la Riforma Forense,
legge 247/2012, al CAPO II (ESAME DI STATO PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO
DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO) Art. 46. (Esame di Stato) stabilisce che “….10.
Chiunque faccia pervenire in qualsiasi modo ad uno o più candidati, prima o
durante la prova d’esame, testi relativi al tema proposto è punito, salvo che
il fatto costituisca più grave reato, con la pena della reclusione fino a tre
anni. Per i fatti indicati nel presente comma e nel comma 9, i candidati sono denunciati
al consiglio distrettuale di disciplina del distretto competente per il luogo
di iscrizione al registro dei praticanti, per i provvedimenti di sua
competenza.”
Ma, di fatto, quello previsto come reato è quello che
succede da quando esiste questo tipo di esame e vale anche per i notai ed i
magistrati. Eppure, come ogni altra cosa italiana c’è sempre l’escamotage tutto
italiano. Una sentenza del Consiglio di Stato stabilisce che copiare non è
reato: niente più punizione. Dichiarando tuttavia “legale” copiare a scuola, si
dichiara pure legale copiare nella vita. Non viene sanzionato un comportamento
che è senza dubbio scorretto. Secondo il Consiglio di Stato, il superamento
dell’esame costituisce di per sè attestazione delle “competenze, conoscenze e capacità
anche professionali acquisite” dall'alunna e la norma che regola l'espulsione
dei candidati dai pubblici concorsi per condotta fraudolenta, non può
prescindere "dal contesto valutativo dell’intera personalità e del
percorso scolastico dello studente, secondo i principi che regolano il
cosiddetto esame di maturità": le competenze e le conoscenze acquisite….in
relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo e
delle basi culturali generali, nonché delle capacità critiche del candidato. A
ciò il Cds ha anche aggiunto un'attenuante, cioè "uno stato d’ansia
probabilmente riconducibile anche a problemi di salute" della studentessa
stessa, che sarebbe stato alla base del gesto. Il 12 settembre 2012 una
sentenza del Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del Tar della
Campania che aveva escluso dagli esami di maturità una ragazza sorpresa a
copiare da un telefono palmare. Per il Consiglio di Stato la decisione del Tar
non avrebbe adeguatamente tenuto conto né del “brillante curriculum scolastico”
della ragazza in questione, né di un suo “stato di ansia”. Gli esami, nel
frattempo, la giovane li aveva sostenuti seppur con riserva. L’esclusione
della ragazza dagli esami sarà forse stata una sanzione eccessiva.
Probabilmente la giovane in questione, sulla base del suo curriculum poteva
esser perdonata. Gli insegnanti, conoscendola e comprendendo il suo stato
d’ansia pre-esame, avrebbero potuto chiudere un occhio. Tutto vero. Ma sono
valutazioni che spettavano agli insegnanti che la studente conoscono. Una
sentenza del Consiglio di Stato stabilisce invece, di fatto, un principio. E in
questo caso il principio è che copiare vale. Non è probabilmente elegante, ma
comunque va bene. Questo principio applicato alla scuola, luogo in cui le generazioni
future si forgiano ed educano, avrà ripercussioni sulla società del futuro. Se
ci viene insegnato che a non rispettar le regole, in fondo, non si rischia
nulla più che una lavata di capo, come ci porremo di fronte alle regole della
società una volta adulti? Ovviamente male. La scuola non è solo il luogo dove
si insegnano matematica e italiano, storia e geografia. Ma è anche il luogo
dove dovrebbe essere impartito insegnamento di civica educazione, dove si
impara a vivere insieme, dove si impara il rispetto reciproco e quello delle
regole. Dove si impara a “vivere”. Se dalla scuola, dalla base, insegniamo che
la “furbizia” va bene, non stupiamoci poi se chi ci amministra si compra il Suv
con i soldi delle nostre tasse. In fondo anche lui avrà avuto il suo “stato
d’ansia”. Ma il punto più importante non è tanto la vicenda della ragazza
sorpresa a copiare e di come sia andata la sua maturità. Il punto è la
sanzionabilità o meno di un comportamento che è senza dubbio scorretto. In un
paese già devastato dalla carenza di etica pubblica, dalla corruzione e
dall’indulgenza programmatica di molte vulgate pedagogiche ammantate di moderno
approccio relazionale, ci mancava anche la corrività del Consiglio di Stato
verso chi imbroglia agli esami.
E, comunque, vallo a dire ai Consiglieri di Stato, che
dovrebbero già saperlo, che nell’ordinamento giuridico nazionale esiste la
gerarchia della legge. Nell'ordinamento giuridico italiano, si ha una pluralità
di fonti di produzione; queste sono disposte secondo una scala gerarchica, per
cui la norma di fonte inferiore non può porsi in contrasto con la norma di
fonte superiore (gerarchia delle fonti). nel caso in cui avvenga un contrasto
del genere si dichiara l'invalidità della fonte inferiore dopo un accertamento
giudiziario, finché non vi è accertamento si può applicare la "fonte
invalida". Al primo livello della gerarchia delle fonti si pongono la
Costituzione e le leggi costituzionali (fonti superprimarie). Al di sotto delle
leggi costituzionali si pongono i trattati internazionali e gli atti normativi
comunitari, che possono presentarsi sotto forma di regolamenti o direttive. I
primi hanno efficacia immediata, le seconde devono essere attuate da ogni paese
facente parte dell'Unione europea in un determinato arco di tempo. A queste, si
sono aggiunte poi le sentenze della Corte di Giustizia Europea
"dichiarative" del Diritto Comunitario (Corte Cost. Sent. n.
170/1984). Seguono le fonti primarie, ovvero le leggi ordinarie e gli atti
aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi), ma anche le leggi
regionali e delle provincie autonome di Trento e Bolzano. Al di sotto delle
fonti primarie, si collocano i regolamenti governativi, seguono i regolamenti
ministeriali e di altri enti pubblici e all'ultimo livello della scala
gerarchica, si pone la consuetudine, prodotta dalla ripetizione costante nel
tempo di una determinata condotta, sono ammesse ovviamente solo consuetudini secundum
legem e praeter legem non dunque quelle contra legem. Pare che
molte consuetudini sono contra legem e pervengono proprio da coloro che
dovrebbero dettare i giusti principi.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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