DUE PAROLE SULLA
MAFIA. QUELLO CHE LA STAMPA DI REGIME NON DICE.
“La mafia, come
ci è inculcata dalla stampa di regime, è un’entità astratta, impossibile da
debellare, proprio perché non esiste.”
Lo
scrittore Antonio Giangrande sul fenomeno “Mafia” ha scritto un libro: “MAFIOPOLI.
L’ITALIA DELLE MAFIE. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE”. Book ed E-Book pubblicato su
Amazon.it e che racconta una verità diversa da quella profusa dai media
genuflessi alla sinistra ed ai magistrati.
«L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste,
lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La
“Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea
rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le
“Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra
cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della
legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole
soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è
palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per
collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei
cittadini per codardia o emulazione.»
Continua Antonio Giangrande.
«La mafia cos'è? La risposta in un aneddoto di Paolo
Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia... faccia conto che ci sia un posto
libero in tribunale..... e che si presentino 3 magistrati... il primo è
bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha appoggi formidabili
dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi vincerà??? Il fesso. Ecco,
mi disse il boss, questa è la MAFIA!"
“La vera mafia è
lo Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da mafiosi. Il
magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo voglio in galera”. Così Vittorio
Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da Pecora su Radio 2.
“Da noi - ha dichiarato
Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013 - la magistratura è una mafia più
pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. “In
Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e
propria associazione a delinquere”. Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013
durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi
all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come
la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier
è alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il
Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.
Questi
sono solo pochi esempi di dichiarazioni ufficiali.
Abbiamo
una Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici
che rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori
della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata
sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà
(che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un
diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché
essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti
politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e
massonerie.
Siamo
un popolo corrotto: nella memoria, nell’analisi e nel processo mentale di
discernimento. Ogni dato virulento che il potere mediatico ci ha propinato,
succube al potere politico, economico e giudiziario, ha falsato il senso etico
della ragione e logica del popolo. Come il personal computer, giovani e vecchi,
devono essere formattati. Ossia, azzerare ogni cognizione e ripartire da zero
all’acquisizione di conoscenze scevre da influenze ideologiche, religiose ed
etniche. Dobbiamo essere consci del fatto che esistono diverse verità.
Ogni
fatto è rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una
verità giudiziaria.
La
verità storica è conosciuta solo dai responsabili del fatto. La verità
mediatica è quella rappresentata dai media approssimativi che sono ignoranti in
giurisprudenza e poco esperti di frequentazioni di aule del tribunale, ma
genuflessi e stanziali negli uffici dei pm e periti delle convinzioni
dell’accusa, mai dando spazio alla difesa. La verità giudiziaria è quella che
esce fuori da una corte, spesso impreparata culturalmente, tecnicamente e
psicologicamente (in virtù dei concorsi pubblici truccati). Nelle aule spesso
si lede il diritto di difesa, finanche negando le più elementari fonti di
prova, o addirittura, in caso di imputati poveri, il diritto alla difesa. Il
gratuita patrocinio è solo una balla. Gli avvocati capaci non vi consentono,
quindi ti ritrovi con un avvocato d’ufficio che spesso si rimette alla volontà
della corte, senza conoscere i carteggi. La sentenza è sempre frutto della
libera convinzione di una persona (il giudice). Mi si chiede cosa fare.
Bisogna, da privato, ripassare tutte le fasi dell’indagine e carpire eventuali
errori dei magistrati trascurati dalla difesa (e sempre ve ne sono).
Eventualmente svolgere un’indagine parallela. Intanto aspettare che qualche
pentito, delatore, o intercettazione, produca una nuova prova che ribalti
l’esito del processo. Quando poi questa emerge bisogna sperare nella fortuna di
trovare un magistrato coscienzioso (spesso non accade per non rilevare l’errore
dei colleghi), che possa aprire un processo di revisione.
Non sarà la mafia a uccidermi ma alcuni miei colleghi
magistrati (Borsellino). La verità sulle stragi non la possiamo dire noi
Magistrati ma la deve dire la politica se non proprio la storia (Ingroia). Non
possiamo dire la verità sulle stragi altrimenti la classe politica potrebbe non
reggere (Gozzo). Non sono stato io a cercare loro ma loro a cercare me (Riina).
In Italia mai nulla è come appare. Ipocriti e voltagabbana. Le stragi come
eccidi di Stato a cui non è estranea la Magistratura e gran parte della classe
politica del tempo.
Chi
frequenta bene le aule dei Tribunali, non essendo né coglione, né in mala fede,
sa molto bene che le sentenze sono già scritte prima che inizi il dibattimento.
Le pronunce sono pedisseque alle richieste dell’accusa, se non di più. Anche
perché se il soggetto è intoccabile l’archiviazione delle accuse è già avvenuta
nelle fasi successive alla denuncia o alla querela: “non vi sono prove per
sostenere l’accusa” o “il responsabile è ignoto”. Queste le motivazioni in
calce alla richiesta accolta dal GIP, nonostante si conosca il responsabile o
vi siano un mare di prove, ovvero le indagini non siano mai state effettuate.
La difesa: un soprammobile ben pagato succube dei magistrati. Il meglio che
possono fare è usare la furbizia per incidere sulla prescrizione. Le prove a
discarico: un perditempo, spesso dannoso. Non è improbabile che i testimoni della
difesa siano tacciati di falso.
Nel
formulare la richiesta la Boccassini nel processo Ruby ha fatto una gaffe
dicendo: "Lo condanno", per poi correggersi: "Chiedo la
condanna" riferita a Berlusconi.
Esemplare
anche è il caso di Napoli. Il gip copia o si limita a riassumere le tesi
accusatorie della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del
capoluogo campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa
nostra, Totò, avvenuto il 14 novembre 2011. L'accusa era di concorso esterno in
associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe limitato a
riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli, incappando peraltro
in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole «questo
pm» con «questo gip».
Il paradosso, però, sono le
profezie cinematografiche adattate ai processi: «... e lo
condanna ad anni sette di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici
uffici, e all'interdizione legale per la durata della pena». Non è una frase
registrata Lunedì 24 giugno 2013 al Tribunale di Milano, ma una battuta presa
dagli ultimi minuti del film «Il caimano» di Nanni Moretti. La condanna
inflitta al protagonista (interpretato dallo stesso regista) è incredibilmente
identica a quella decisa dai giudici milanesi per Silvio Berlusconi. Il Caimano
Moretti, dopo la sentenza, parla di «casta dei magistrati» che «vuole avere il
potere di decidere al posto degli elettori».
Tutti dentro se la legge fosse
uguale per tutti. Ma la legge non è uguale per tutti. Così la Cassazione si è
tradita. Sconcertante linea delle Sezioni unite civili sul caso
di un magistrato sanzionato. La Suprema Corte: vale il principio della
discrezionalità.
Ed in fatto di mafia c’è qualcuno che la sa lunga. «Io
non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me….Mi hanno fatto arrestare
Provenzano e Ciancimino, non come dicono, i carabinieri……Di questo papello non
ne sono niente….Il pentito Giovanni Brusca non ha fatto tutto da solo, c'è la
mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l'agenda rossa. Ha
visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e
si fanno consegnare l'agenda. In via D'Amelio c'erano i servizi……. Io sono
stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com'è
possibile che sono responsabile di tutte queste cose? La vera mafia sono i
magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. Loro scaricano ogni
responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a
termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste
mura……Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era
un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre». Le
confidenze fatte da Toto Riina, il capo dei capi, sono state fatte in due
diverse occasioni, a due guardie penitenziarie del Gom del carcere Opera di
Milano.
Così
come in fatto di mafia c’è qualcun altro che la sa lunga. Parla l’ex capo dei
Casalesi. La camorra e la mafia non finirà mai, finchè ci saranno politici,
magistrati e forze dell’ordine mafiosi.
CARMINE
SCHIAVONE. MAGISTRATI: ROMA NOSTRA!
"Ondata di ricorsi dopo il «trionfo». Un giudice:
annullare tutto. Concorsi per giudici, Napoli capitale dei promossi. L'area
coperta dalla Corte d'appello ha «prodotto» un terzo degli aspiranti
magistrati. E un terzo degli esaminatori". O la statistica
è birichina assai o c'è qualcosa che non quadra nell'attuale concorso di
accesso alla magistratura. Quasi un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli
orali vengono infatti dall'area della Corte d'Appello di Napoli, che
rappresenta solo un trentacinquesimo del territorio e un dodicesimo della
popolazione italiana. Un trionfo. Accompagnato però da una curiosa coincidenza:
erano della stessa area, più Salerno, 7 su 24 dei membri togati della
commissione e 5 su 8 dei docenti universitari. Cioè oltre un terzo degli
esaminatori.
Lo strumento per addentrarsi nei gangli del potere sono gli
esami di Stato ed i concorsi pubblici truccati.
I criteri di valutazione dell’elaborato dell’esame di magistrato,
di avvocato, di notaio, ecc.
Secondo la normativa vigente, la valutazione di un testo
dell’esame di Stato o di un Concorso pubblico è ancorata ad alcuni parametri.
Può risultare utile, quindi, che ogni candidato conosca le regole che i
commissari di esame devono seguire nella valutazione dei compiti.
a) chiarezza, logicità e rigore metodologico
dell’esposizione;
b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di
specifici problemi giuridici;
c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici
degli istituti giuridici trattati;
d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali
profili di interdisciplinarietà;
e) relativamente all'atto giudiziario, dimostrazione della
padronanza delle tecniche di persuasione.
Ciò significa che la comprensibilità
dell’elaborato — sotto il profilo della grafia, della grammatica e della
sintassi — costituisce il primo criterio di valutazione dei commissari. Ne
consegue che il primo accorgimento del candidato deve essere quello di cercare
di scrivere in forma chiara e scorrevole e con grafia facilmente leggibile:
l’esigenza di interrompere continuamente la lettura, per soffermarsi su parole
indecifrabili o su espressioni contorte, infastidisce (e, talvolta, irrita) i
commissari ed impedisce loro di seguire il filo del ragionamento svolto nel
compito. Le varie parti dell’elaborato devono essere espresse con un periodare
semplice (senza troppi incisi o subordinate); la trattazione dei singoli
argomenti giuridici deve essere il più possibile incisiva; le ripetizioni vanno
evitate; la sequenza dei periodi deve essere rispettosa della logica
(grammaticale e giuridica). Non va mai dimenticato che ogni commissione
esaminatrice è composta da esperti (avvocati, magistrati e docenti
universitari), che sono tenuti a leggere centinaia di compiti in tempi
relativamente ristretti: il miglior modo di presentarsi è quello di esporre —
con una grafia chiara o, quanto meno, comprensibile (che alleggerisca la fatica
del leggere) — uno sviluppo ragionato, logico e consequenziale degli argomenti.
Questa è la
regola, ma la prassi, si sa, fotte la regola. Ed allora chi vince i concorsi
pubblici e chi supera gli esami di Stato e perché si pretende da altri ciò che
da sé non si è capaci di fare, né di concepire?
PARLIAMO
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, MADRE DI TUTTE LE CORTI. UN CASO PER TUTTI.
La sentenza
contro il Cavaliere è zeppa di errori (di grammatica).
Frasi senza
soggetto, punteggiatura sbagliata... Il giudizio della Cassazione è un obbrobrio
anche per la lingua italiana. Dopodiché ecco l’impatto della realtà nella
autentica dettatura delle motivazioni a pag.183: «Deve essere infine rimarcato
che Berlusconi, pur non risultando che abbia trattenuto rapporti diretti coi
materiali esecutori, la difesa che il riferimento alle decisioni aziendali
consentito nella pronuncia della Cassazione che ha riguardato l’impugnazione
della difesa Agrama della dichiarazione a non doversi procedere per
prescrizione in merito ad alcune annualità precedenti, starebbe proprio ad
indicare che occorre aver riguardo alle scelte aziendali senza possibilità.
quindi, di pervernire...». Ecco. Di prim’acchito uno si domanda: oddio,
che fine ha fatto la punteggiatura? Ma dov’è il soggetto? Qual è la coordinata,
quante subordinate transitano sul foglio. «...ad una affermazione di
responsabilità di Berlusconi che presumibilmente del tutto ignari delle
attività prodromiche al delitto, ma conoscendo perfettamente il meccanismo, ha
lasciato che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni
strategiche i soggetti da lui scelti...». Eppoi, affiorano, «le prove sono
state analiticamente analizzate». O straordinarie accumulazioni semantiche come
«il criterio dell’individuazione del destinatario principale dei benfici
derivanti dall’illecito fornisce un risultato convergente da quello che s’è
visto essere l’esito dell’apprezzamento delle prove compito dai due gradi di
merito..» E poi, nello scorrere delle 208 pagine della motivazione, ci trovi i
«siffatto contesto normativo», gli «allorquando», gli «in buona sostanza», che accidentano
la lettura. Ed ancora la frase «ha posto in essere una frazione importante
dell’attività delittuosa che si è integrata con quella dei correi fornendo un
contributo causale...». Linguaggio giuridico? Bene anch’io ho fatto
Giurisprudenza, ed anch’io mi sono scontrato con magistrati ed avvocati
ignoranti in grammatica, sintassi e perfino in diritto. Ma questo, cari miei
non è linguaggio giuridico, ma sono gli effetti di un certo modo di fare
proselitismo.
Qualcuno
potrebbe definirla una famiglia “particolare” scrive
“Libero Quotidiano”. Al centro c'è Antonio Esposito, giudice
della Corte di Cassazione che in una telefonata-intervista al Mattino anticipò
le motivazioni della condanna inflitta a Silvio Berlusconi per frode fiscale
nel processo Mediaset. E che in più occasioni è stato “pizzicato” da testimoni
a pronunciare frasi non proprio di ammirazione nei confronti del Cavaliere. Poi
c'è la nipote Andreana, che sta alla Corte europea dei diritti
dell'uomo di Strasburgo, cui i legali di Berlusconi vorrebbero far ricorso
contro la sentenza emessa dalla Cassazione. Paradosso: a passare al vaglio la
sentenza pronunciata da Esposito potrebbe essere la nipote. Non bastassero
loro, c'è il papà di Andreana, che come scrive, mercoledì 28 agosto, su
Libero Peppe Rinaldi,
è stato fotografato mentre prende il sole e fa il bagno presso il Lido Oasi di
Agropoli, nel Cilento. Il problema è che il lido è abusivo ed è stato soggetto
a indagini, interpellanze, ordinanze di abbattimento. In zona tutti sanno.
Curioso che Vitaliano Esposito, ex procuratore generale della
Cassazione, non sappia di mettersi a mollo in uno stabilimento balneare
fuorilegge (abusivo a sua insaputa). Infine, della famiglia fa parte anche Ferdinando
Esposito, Pubblico Ministero a Milano, che tempo fa finì sotto indagine del Csm (che poi archiviò) per
le cene a lume di candela del giudice (ma va, anche lui?) in Porsche con Nicole
Minetti, allora già imputata per istigazione alla prostituzione insieme a Lele
Mora ed Emilio Fede.
Una famiglia,
gli Esposito, una delle tante dinastie giudiziarie, che non fosse altro
dimostra come la magistratura sia una vera, autentica, casta.
Ciononostante
viviamo in un’Italia fatta così, con italiani fatti così, bisogna subire e
tacere. Questo ti impone il “potere”. Ebbene, si faccia attenzione alle parole
usate per prendersela con le ingiustizie, i soprusi e le sopraffazioni, le
incapacità dei governati e l’oppressione della burocrazia, i disservizi, i
vincoli, le tasse, le code e la scarsezza di opportunità del Belpaese. Perché
sfogarsi con il classico "Italia paese di merda", per quanto
liberatorio, non può essere tollerato dai boiardi di Stato. E' reato, in quanto
vilipendio alla nazione. Lo ha certificato la Corte di cassazione - Sezione I
penale - Sentenza 4 luglio 2013 n. 28730!!!
Dr
Antonio Giangrande
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Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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