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quanto ammonteranno i compensi per i custodi giudiziari dell’ILVA?
I custodi giudiziari spesso si spacciano
anche per amministratori giudiziari, per poter pretendere con l’avvallo dei
magistrati compensi raddoppiati e non dovuti.
«Essendo i consulenti tecnici, i periti,
gli interpreti ed i custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari
dei magistrati, come a questi ci si pretende di porre in loro una fiducia
incondizionata. Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia
nei collaboratori, che nei magistrati stessi. Ma a ciò bisogna far buon viso a
cattivo gioco (giudiziario), se no succede quello che succede a me - spiega il dr Antonio Giangrande,
presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” www.controtuttelemafie.it , e scrittore-editore dissidente che proprio sul tema ha scritto e
pubblicato “Malagiustiziopoli” nella collana editoriale “L’Italia del Trucco,
l’Italia che siamo” pubblicata sui propri siti web, su Amazon in E-Book e su
Lulu in cartaceo. Uno tra i 40 libri scritti dallo stesso autore e pertinenti
questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare la
dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare – Io sono inviso dalla
classe forense e giudiziaria, in quanto rendo pubbliche le magagne che si
annidano presso gli uffici giudiziari. Il giornalista che va per la maggiore
non vuole o non può pubblicare certe notizie, perché non ha il coraggio o, pur
saccente, non ha la perizia giuridica per affrontare tematiche processuali, che
solo scaltri avvocati riescono a scalfire. Per esempio, pragmaticamente, su
sollecitazione di molti avvocati di Taranto vicini all’Associazione Contro
Tutte le Mafie, prendiamo il caso concreto della decisione del Presidente del
Tribunale di Taranto, Antonio Morelli. Già abbiamo affrontato il caso di quel
consulente tecnico che non ha risposto alle domande postegli dal giudice
delegante ed anzi andò in antitesi alla consulenza tecnica della parte
convenuta e ben oltre la richiesta della consulenza tecnica della parte
attrice. In quel caso il Pm archiviò a carico del CTU la denuncia per falso, ma,
ciò nonostante, il dr Antonio Morelli estromise tale CTU dall’apposito elenco e
per gli effetti quel consulente non fu più chiamato. L’archiviazione dette modo
al consulente estromesso di rivalersi contro il denunciante per calunnia. Il
denunciante a sua volta denunciò, inopinatamente il sottoscritto che lo
difendeva in giudizio, per diffamazione a mezzo stampa per aver svolto un’inchiesta
giornalistica sul funzionamento della giustizia a Taranto. Una golosa occasione
per i magistrati di Taranto per tacitarmi, così come spesso hanno fatto, non
riuscendoci. Ma arriviamo al caso di specie. Trattiamo della nomina e della
remunerazione dei custodi/amministratori giudiziari. In questo caso trattasi di
custodia dei beni sequestrati in procedimenti per usura. Il custode ha pensato
bene di chiedere il conto alle parti processande, ben prima dell’inizio del
processo di I grado ed in solido a tutti i chiamati in causa in improponibili
connessioni nel reato, sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano anche
a coloro a cui nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro
posizione era stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed
ottenere, con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00
euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente
all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da
maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante al
suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp, primo
comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp, secondo
comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992 che applica
gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il presidente
Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto, solo la somma
di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti possono
permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è inconcepibile
l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto effettivamente riconosciuto
dal Presidente del Tribunale di Taranto. Questa differenza fa sorgere qualche
dubbio circa la bontà legale dei presupposti, a fondamento della richiesta, e
la susseguente decisione di accoglimento della stessa. Va da sé che i
giudicanti sono ingiudicati e poi si sa che su tutto si trova una
giustificazione. E’ da scuola la lezione, però, data dal presidente del
Tribunale, Antonio Morelli, al suo collega Giudice dell’Udienza Preliminare.
Morelli ha spiegato che è sbagliato considerare il custode giudiziario tour
cour come amministratore e per gli effetti liquidare un compenso maggiore. Per
due ordini di motivi: il primo è che non è ancora intervenuto il DPR previsto
dal DLgs 14/2010 (istituzione dell’albo degli amministratori giudiziari); il
secondo è che l’attività ed i compiti del custode, che danno diritto
all’indennità prevista dall’art. 58 del DPR 1157/2002, sono infatti quelli di
custodire e conservare la cosa custodita. “Né la figura dell’amministratore
giudiziario, inserita dal legislatore nell’ampio contesto normativo di
contrasto alle associazioni mafiose ed alle forme di criminalità similari, ha
soppiantato la figura del custode, ma soprattutto non ha abolito, pur
nell’ambito della sua qualifica, le attività tipiche di quello e cioè la
custodia e la conservazione del bene sequestrato. E’ sufficiente, oltre che
alla logica ed ai principi generali, fare riferimento al comma 8 dell’art. 2
sexies della legge 575/1965 che attribuisce all’amministratore il compito di
provvedere alla custodia, alla conservazione ed alla amministrazione dei beni
sequestrati anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei
beni medesimi. Il senso del ragionamento - spiega Morelli - è che in concreto,
tenuto conto della natura dei beni sequestrati, l’amministratore può svolgere attività
tipiche del custode (custodire e conservare la cosa custodita),
indipendentemente dal criterio nominalistico che lo definisce. Se si ragionasse
diversamente si dovrebbe ritenere diverso dal custode colui che, nominato
amministratore in procedimento per reati che prevedono tale figura, in concreto
fosse chiamato a svolgere compiti di
mera custodia o di conservazione del bene nel senso sopra definito. Nel caso di
specie i beni “amministrati” erano semplici immobili ad uso abitativo e le
attività svolte non possono che considerarsi appropriata alla figura del
custode e più in particolare al suo compito di sovrintendere alla conservazione
del bene. Le argomentazioni di cui sopra conducono ad una conclusione di
notevole rilievo in ordine ai criteri per determinare il compenso in maniera
proporzionata alla natura e alla consistenza dei beni e delle attività svolta
dal custode/amministratore. È infatti noto che ai sensi degli artt. 58 e 59 del
DPR 115/2002 le tariffe relative alle indennità di custodia sono devolute a un
decreto ministeriale e in mancanza agli usi locali. È noto, altresì, che il
decreto ministeriale 256/2006 unico a provvedere un tariffario, contempla
soltanto alcuni beni (motocarri, autoveicoli, motoveicoli e natanti) e che per
gli immobili di cui al sequestro in questione, non vi sono usi locali che
determinano le indennità di custodia. Non può allora che farsi ricorso ad un
criterio di liquidazione secondo equità che, a parere del giudicante, deve
prescindere dalle tariffe stabilite dagli ordini professionali, in quanto tutta
la normativa in tema di custodia, così come di perizia e di consulenza tecnica,
si scosta notevolmente dalle tariffe professionali, stante la diversità
ontologica tra i compensi per attività chieste liberamente da privati e i
compensi per attività costituenti un incarico di carattere pubblicistico. Prova
di tale conclusione sta proprio nella necessità che il legislatore ha sentito
di devolvere ad un decreto, non ancora emesso, un tariffario che, se avesse
voluto, avrebbe potuto identificare con quello della categoria professionale.
Alla stregua di tale considerazione, considerato il tempo della custodia,
nonché la diligenza e la puntualità con la quale la stessa è stata espletata,
ma anche la natura e la consistenza del patrimonio amministrato e la relativa
semplicità degli interventi gestionali spiegati, si stima equo determinare
l’indennità in euro 30.000,00” e non 72.000,00!!
Tutto
ciò sta a dimostrare che spesso e volentieri vi è una certa complicità tra
magistrati ed ausiliari a speculare sulle disgrazie di chi, poi spesso, è
prosciolto dalle accuse. Caso
limite e quello di Giuseppe Marabotto.
Come racconta “La Stampa” ed altri organi d’informazione, Giuseppe Marabotto era scampato a un primo processo per un
serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono era sotto
controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha
costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno personale e il
malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando dalla parte
della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze
fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Si sapeva dal 2005.
Si sa anche che i commercialisti e consulenti della procura restituivano a un
suo collettore il 30 per cento. «Ci sono spese da sostenere» veniva detto loro.
In tre hanno confessato. Pesanti le accuse: corruzione, associazione per
delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato. Per questo motivo anche a Taranto si
augura lunga vita professionale al Presidente del Tribunale di Taranto, Antonio
Morelli, anche perché il pensiero corre ai custodi giudiziari nominati per lo
spegnimento degli impianti ILVA. Si pensi un po’, prendendo spunto da quanto
suddetto ed adottando i criteri di liquidazione del GUP, quanto a questi sarà
riconosciuto come compenso?»
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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