Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro
pelle cosa sia la gogna della vergogna.
Il commento dello scrittore
Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il libro “Sarah Scazzi. Il
delitto di Avetrana”.
Devo dire che a meno di 9
anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti sapevano”, sono atti di
accusa per un intero territorio e risuonano per tutta Italia per mano di
scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della verità, se non
quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese di origine dei
responsabili meridionali di un reato e la pena accessoria a cui tenere conto.
Devo dire che, scartando la
gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla medesima Manduria che son
venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu l’aggressione con
conseguente morte di Salvatore
Detommaso, ovvero vi fu il mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana
per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha
ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle
bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla
presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o
di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma
dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un
episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha
visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati,
imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto
agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti».
Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in
riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina
presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione
su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od
a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29
marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori
dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei
presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di
Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma
nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento
omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare
appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato
le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti
commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona
dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver
visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro
di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a
tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci
tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di
omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere
che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si
può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili
alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono
svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato
palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque
l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia
per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della
Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva
sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però,
Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico
razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è
direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese
vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli
avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro
opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la
gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti
da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa
notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva
già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra
infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è
contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il
non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli
affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è
tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli
investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza
avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato
spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli
annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa
testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui
Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Detto questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa
dei manduriani andiamo ad analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una
violenza senza limiti». Lo ha detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo
Maria Capristo in merito alle aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da
ragazzini tra i 16 e i 23 anni, tutti di Manduria. «L’intervento è stato
tempestivo ma sarebbe stato ancora più tempestivo se chi sapeva avesse avvisato
prima le forze dell’ordine – ha aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi
Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la
fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti
zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva
Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un
essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo. Il prete ha
detto di essere intervenuto più volte, ma perché non ha segnalato subito ai
servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e appassionato, del prefetto Vittorio
Saladino, uno dei tre commissari prefettizi di Manduria che, all’AdnKronos,
parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e cullato la brutalità
delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto ai servizi sociali
perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto segnalazioni - aggiunge
- La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da tanto tempo e
nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era all’oscuro.
Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali, è un paese
ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso di mira da
turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e l’annuncio:
«Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto Saladino -
parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le colpe le ha
una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e da episodi
negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto
indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia
Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano
rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso
da Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato
di Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa
strada dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le
ore serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si
stanno verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa
5/6 persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si
legge ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno
perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al
prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e
agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la
vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto
ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche
da parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a
introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della
quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione
soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo
urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia
moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha
così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel
povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli
più avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno
voluto firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare
Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un
uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo
conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome
dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a
casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era
abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero
richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti
che vivono a un passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era
guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria,
sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare
la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le
segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella
sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno
capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato
senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse.
L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito.
Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più
uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai
più. I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli
agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei
ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più
difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta
per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno
della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali.
Nazareno
Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano,
insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del
Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni
Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati
sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia
potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della
parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo
intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero
conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando
sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i
ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i
ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando
i genitori, ma senza risultati.
Il Fatto Quotidiano. 29
Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni, secondo i
vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013. Eppure, stando
a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità su
Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in
riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata,
né formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna
segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino,
responsabile dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una
chiamata – aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo
il servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118
intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo
era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era
stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto
perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi già un anno e mezzo
fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono intervenuti. Allora
perché si continua a nascondere una omissione di atti di ufficio ed accusare la
cittadinanza ed il clero di omertà?
A due anni dalla
morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25
agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni
Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta
di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua
decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro
Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a
Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo
avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di
cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della
parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San
Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in
quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è
bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali,
ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio.
Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei
posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano
angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie
ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle
smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti.
Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte
sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto
con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste
strofe:
“Ma ccapì: simu
nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi
sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca
restunu,
tutti ti te si ni
scordunu.
Pi l’autri paisi puè
quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa,
nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al
suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un
certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale,
ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e
di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta
Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione
del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo
libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”;
la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe
notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una
notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi
manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha
gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe
potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed
il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo.
Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e
per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un
piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto,
specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati
da Don Dario.
Non sono mancati sin
dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima
hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati
loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli
amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui
iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse
fazioni.
Intanto, a parità di
fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che
tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato
dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In
nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma
anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla
sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella
speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco
perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don
Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco.
E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui……..
Il parroco di
Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i
difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto
leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato
alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di
Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco
questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e
la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa
storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra
quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche
settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché,
si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal
circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto
risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come si chiamerebbe
questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il
volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era
saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei
Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che
indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a
nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni.
Nemmeno all’avvocato
Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere
poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò
a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua
presenza.
Anche l’avvocato
Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri,
si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri
da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno
interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura
arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti
fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la
sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il
religioso, però, è pronto a smentire.
«Per favore non mi
mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di
rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le
richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per
colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna
sull’argomento.
«Questa notizia
dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista».
L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e
raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due
telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad
Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di
quelle conversazioni».
Si accusa una comunità di
omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una comunità di omertà. Ma non è
omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché, come è ampiamente
dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile denunciare: o le
indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa è l’Italia e tutti lo
sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
A
cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
099.9708396 – 328.9163996
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