DIRITTO
ALL’OBLIO. FINE DELLA STORIA!
Per gente
indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma per i posteri
mai vissuta.
Voi umani,
dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande criminale
innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato.
Intervista al
dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger,
youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa c’entra
Lei che non è giornalista con il Diritto all’Oblio?
«Io della
Cronaca faccio Storia. Ciononostante personalmente sono destinatario degli
strali ritorsivi dei magistrati. A loro non piace che si vada oltre la verità
giudiziaria. La loro Verità. Oggi però sono intere categorie ad essere colpite:
dai giornalisti ai saggisti. Dagli storici ai sociologi. Perché oggi in tema di
Diritto all'Oblio e Libertà di espressione, la Cassazione tutela meno del
Regolamento Privacy. Una recente sentenza della Cassazione colpisce un giornale
(Prima Da Noi) con una interpretazione inedita e pericolosa del diritto all'oblio.
Superando le previsioni dei Garanti Privacy e della Corte europea dei Diritti
dell'Uomo».
Cosa dice la
legge sulla Privacy?
«La nuova
normativa, concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di
cronaca, è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno
sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge
675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di
giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei
pubblicisti o dei praticanti, o che si limiti ad effettuare un trattamento
temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione
occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al
trattamento di dati sensibili anche in assenza dell'autorizzazione del Garante
rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196 del 2003;
può utilizzare
dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27 del Codice
privacy;
può trasferire i
dati all'estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni previste per
questa tipologia di dati;
non è tenuto a
richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il
trattamento di dati sensibili».
Cosa
prevedeva la Legge e la Giurisprudenza?
«Come è
noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non può
essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta, ma è necessario porre
dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e della
dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La
decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte.
La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca
possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui
reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a
condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e
della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia
pubblicata sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei
fatti. Il diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera
privata laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una
pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di
continenza, infine, richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che
l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività.
A tal proposito, giova ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un
articolo di giornale deve essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto
dell’articolo, sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle
modalità complessive con le quali la notizia viene data (Cass. sez. V n.
26531/2009). Tanto premesso si può concludere rilevando che pur essendo
tutelato nel nostro ordinamento il diritto di manifestare il proprio pensiero,
tale diritto deve, comunque, rispettare i tre limiti della verità, pertinenza e
continenza. Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza e
della continenza della notizia. L'art. 51 codice penale (esimente
dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un dovere) opera a favore
dell'articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di
pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse pubblico. In merito
all'esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con
Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca ha per fine l'informazione e,
perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie, mentre se il
giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta rappresentazione, opera una
propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne sottolinei dettagli,
all'evidenza propone un'opinione". Il diritto ad esprimere delle proprie
valutazioni, del resto non va represso qualora si possa fare riferimento al
parametro della "veridicità della cronaca", necessario per stabilire
se l'articolista abbia assunto una corretta premessa per le sue valutazioni. E
la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è costante nel
ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile sempre che sia
indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione, quindi il loro
rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel darne notizia o
commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da diffamazione è
escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica quando i fatti
narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli stessi,
seppur con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia limitato ad
esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n.
10031)"».
Con la
novella di cosa si sta parlano?
«La
sentenza 13161/16 del 24 giugno 2016 (Presidente Salvatore Di Palma, relatore
Maria Cristina Giancola) entrerà nella storia perché cancella la Storia. La
Suprema Corte ha infatti allargato di parecchio la sfera del diritto all’oblio
(right to be forgotten) secondo cui si può far valere il diritto ad essere
dimenticati, ovvero a fare in modo che il nostro passato non ritorni a galla
con una ricerca online anche dopo anni. La Cassazione, ha stabilito che “un
articolo di cronaca su un accoltellamento in un ristorante dovesse essere
cancellato dall’archivio digitale perché pur essendo corretto, raccontando la
verità e non travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai
ricorrenti, cioè i soggetti attivi della vicenda di cronaca giudiziaria”.
Vicenda che, ai tempi della richiesta di rimozione dell’articolo, non si era
ancora conclusa in giudizio. Spiega Vincenzo Tiani: “La Cassazione richiama la
celebre sentenza Google Spain (C-131/12) che ha sancito per prima
l’esistenza di un diritto ad essere dimenticati, e le linee guida dell’Art.
29 Data Protection Working Party (WP29) redatte dopo la sentenza (novembre
2014). Peccato che ciò che la Corte di Giustizia Europea (CJEU) ha sancito in
quell’occasione è che ogni soggetto ha diritto sì alla
de-indicizzazione dai motori di ricerca delle notizie che lo riguardano,
qualora lesive della sua dignità, denigratorie, non più rilevanti per
l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali informazioni dovessero
essere rimosse dagli archivi dei giornali, soprattutto laddove tale
pubblicazione fosse legale, come nel caso in specie. Ci si riferisce sempre
alla lista di risultati che fornisce il motore di ricerca e mai alla notizia di
per sé. Se poi andiamo a leggere le linee guida di WP29, al paragrafo 18 questo
indirizzo viene confermato. Si dice infatti che la de-indicizzazione non
riguarda i motori di ricerca di piccola portata come quelli dei giornali
online. Ergo non vi è un obbligo per la testata non solo di rimuovere
l’articolo ma neanche di de-indicizzarlo dal proprio motore di ricerca, cosa
che avrebbe lo stesso effetto di rimuoverlo visto che lo renderebbe di fatto
introvabile.”»
Cosa dice la
sentenza Google Spain?
«La
sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 (Google Spain
case, nda), del 13 maggio 2014, ha disposto che i singoli individui possono
chiedere ai motori di ricerca di rimuovere specifici risultati che appaiono
effettuando una ricerca con il proprio nome, qualora tali risultati siano
relativi all’interessato e risultino obsoleti. Un risultato può essere
considerato obsoleto quando la tutela dei dati personali dell’interessato
prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui tale
risultato rimanda. E su questo che si deve ragionare. I risultati della ricerca
devono essere vagliati per verificare quale dei due diritti fondamentali,
quello alla privacy e quello di cronaca, debba prevalere. Ciononostante con la
nuova GDPR (General Data Protection Regulation, Reg.
2016/679), che entrerà in vigore nel 2018 sostituendo la ormai obsoleta direttiva
95/46/EC, il Diritto alla Cancellazione (o diritto all’Oblio) è stato
introdotto dall’Art. 17. Secondo la nuova norma, qualora sussistano alcuni dei
motivi previsti successivamente, l’interessato ha il diritto di ottenere
dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo
riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha
l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali […]
Tuttavia, al comma 3, si prevedono talune eccezioni. Chi detiene e fa uso
dei dati dell’interessato (il titolare del trattamento, il giornale in questo
caso) non dovrà dare seguito alla richiesta di cancellazione qualora tale uso
sia stato lecitamente fatto:
a) per
l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di
informazione;
d) a fini
di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a
fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui
il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di
pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento».
Quali sono
stati gli effetti?
«Google
rende noti i dati relativi al diritto all'oblio fino al 2015 introdotto da una
sentenza della corte di Giustizia Ue nel maggio 2014, che garantisce il diritto
dei cittadini europei a veder cancellati sui motori di ricerca i link a notizie
personali "inadeguate o non più pertinenti". I link rimossi sono
580mila».
Allora sembra
essere tutto risolto!
«Per
nulla! Siamo in Italia e per gli ermellini nostrani l’interesse pubblico cessa
dopo due anni. Spiega Vincenzo Tiani: “Quello che la Cassazione ha pensato
invece è che, scaduti 2 anni e 6 mesi, tale eccezione venga meno. Non solo
questa interpretazione mette a repentaglio il diritto alla libera informazione,
lasciando spazio a una censura della stampa approvata dalla Corte stessa, ma
viola il diritto di difesa (artt. 24 e 25 Cost.) poiché si basa su una legge
non scritta e su una interpretazione totalmente libera e priva di solide basi
che la possano rendere condivisibile. Il termine di 2 anni e 6 mesi è
totalmente arbitrario oltre che ingiustificato. Forse che la stampa sia
destinata, in un prossimo futuro, a sopravvivere giusto il tempo di un like su
facebook?”»
Cosa ha detto
la vittima azzannata degli ermellini?
«"Confesso
che ci abbiamo messo più di un giorno per comprendere che si trattava di una
sentenza reale ed ufficiale del massimo organo giudiziario – scrive il
direttore Alessandro Biancardi il 30 Giugno 2016 su “Prima Da Noi”. La cosa ci
ha colpito ulteriormente perchè dopo le pessime esperienze nel piccolo
tribunale di provincia riponevamo una certa fiducia nella inappellabile
Cassazione. Ci siamo sbagliati ma almeno ora sappiamo di che morte dovremo
morire noi, la libertà di stampa e soprattutto la libertà di informarsi. Non
spenderemo più parole per esprimere il nostro sdegno ed il nostro disgusto per
aver raccolto solo umiliazioni in una guerra che abbiamo deciso di combattere
da soli contro tutti per la libertà e la dignità di un Paese quando nessuno
sapeva cosa fosse il diritto all’oblio, una invenzione che nella nostra
esperienza permette a lobby e pregiudicati di tornare nell’ombra indisturbati.
Siamo di fronte ad una situazione più che assurda generata dal giudice dei
giudici che condanna un giornalista che ha fatto bene il proprio mestiere ma
che ha provocato un danno violando una norma che non esiste e che stabilisce la
scadenza di un articolo. Assurdo perchè siamo stati condannati una prima volta
perchè non avevamo cancellato l’articolo e pure una seconda volta pur avendolo
cancellato ma non abbastanza in fretta. Assurdo perchè gli ermellini
dicono in sostanza che i due che si sono accoltellati nel loro ristorante hanno
avuto un danno all’immagine (loro e del ristorante) non dalla violenza del gesto
di cui si spera siano responsabili ma dal suo racconto rimasto fruibile sul
web. Assurdo perchè si stabilisce che in venti anni il Garante della Privacy
non ci ha capito niente. La domanda però è: ora ci dite come avremmo dovuto e
potuto fare per non incorrere in questa violazione? Dove avremmo dovuto leggere
la data di scadenza dell’articolo? Sul retro, sul tappo, sul codice civile,
penale, deontologico? A proposito ma un giornalista che cancella articoli siamo
sicuri che rispetta le leggi della categoria (l’autocensura è condannata, la
post censura no)? Ma sappiamo bene il perchè dopo sei anni siamo i primi ad
essere stati condannati per questo: perché la maggior parte dei siti preferisce
cancellare per non ‘avere problemi’ nonostante non ci sia una legge che impone
il dovere di farlo. Dal canto nostro non riusciremo a far fronte alla mole di
danni che abbiamo provocato con 800mila articoli in archivio esercitando
correttamente il nostro lavoro di onesti giornalisti e per questo molto
difficilmente il quotidiano potrà sopravvivere, schiacciato da superficialità,
poteri forti e sentenze impossibili da immaginare in un Paese davvero serio. Ma
noi siamo l’ultimo dei problemi, cercheremo giustizia fuori dall'Italia e con
il tempo anche la gente capirà, ci volessero anche 20 anni ma alla fine
capirà…".»
Ed allora,
quali gli effetti sul suo operato?
«Il mio
utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair
dealing ai sensi delle leggi internazionali vigenti sul copyright. Le norme
internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per
ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore
di oltre un centinaio di libri con centinaia di pagine che raccontano l'Italia
per argomento e per territorio. A tal fine posso assemblare le notizie
afferenti lo stesso tema per fare storia o per fare una rassegna stampa. Questo
da oggi lo potrò fare nel resto del mondo, ma non in Italia: la patria
dell'Omertà. Perchè se non c’è cronaca, non c’è storia. Ed i posteri, che non
hanno seguito la notizia sfuggente, saranno ignari di cosa sono stati capaci di
fare di ignobile ed atroce i loro antenati senza vergogna».
Dr
Antonio Giangrande Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie.
099.9708396 – 328.9163996
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