Mini trattato del
dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber,
presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Le accuse di
Renzi ai magistrati lucani. Il premier alla direzione Pd del 4 aprile
2016: «Non arrivano mai a sentenza. Se è reato sbloccare le opere lo sto
commettendo. Vedo che i giornalisti dicono che ho attaccato la magistratura. Ma
non li sto attaccando, dico solo che non ci vogliono otto anni per andare a
sentenza. Se è reato sbloccare le opere pubbliche, io sono quello che sta
commettendo reato. Ma se si decide che un’opera va fatta nel 1989, c’era ancora
il muro di Berlino, 27 anni dopo, lo scandalo non è che l’emendamento venga
approvato ma che si siano buttate delle occasioni». E ancora: «Io chiedo alla
magistratura non solo di indagare ma di arrivare a sentenza: perché ci sono
state indagini sul petrolio in Basilicata con la stessa cadenza delle
Olimpiadi, 2000-2004-2008, ci sono stati anche arrestati, ma non si è giunto
mai a sentenza». All'indomani delle parole del Presidente del Consiglio Matteo
Renzi arriva, dura, la replica del presidente della sezione della Basilicata
dell'Associazione nazionale magistrati (Anm), Salvatore Colella: «Le
dichiarazioni di Renzi sono inopportune nei tempi ed inconsistenti nei fatti. Inopportune
perché arrivano in un momento molto delicato dell'inchiesta, con un intervento
“a gamba tesa” e le sue insinuazioni sono quantomeno viziate da un interesse di
parte, inconsistenti perché smentite, solo poche ore dopo, da un pesante
verdetto di condanna contro i vertici della Total nel processo “Totalgate”
(dopo 8 anni, con inchiesta nata nel 2008 per mani di Woodcock). Se è vero che
in un paese civile, come dice il Presidente Renzi, “i processi arrivano a
sentenza”, e noi abbiamo dimostrato di saperlo fare - ha continuato l'Anm
lucana - è anche vero che in un Paese civile “il governo rispetta i lavoro dei
magistrati”, sempre, anche quando toccano la propria parte politica. Ci saremmo
aspettati la stessa intransigenza e fermezza di condanna annunciata dal
Presidente in occasione di altre inchieste di rilievo nazionale». Renzi sceglie
Facebook per rispondere alle critiche sulle sue affermazioni sulla Procura
di Potenza: «Oggi leggo che Renzi accusa i magistrati, noi stiamo incoraggiando
i magistrati a fare il più veloce possibile. Non accuso i magistrati, accuso un
sistema che non funziona, voglio mettere in galera i ladri, per questo incalzo
i magistrati perché siano veloci», ha detto Matteo Renzi in diretta da Palazzo
Chigi utilizzando Facebook Mentions.
Ma a
prescindere dalla diatriba farsesca, tra parti che si coprono a vicenda,
parliamo dei danni inflitti alla comunità dalle lungaggini processuali ed a cui
nessuno vuol porre rimedio per non inimicarsi “le sacre toghe”.
Per porre
rimedio alle condanne inflitte dalla CEDU il legislatore italiano ha inventato
la Legge Pinto, ossia la legge che, man mano annacquata da riforme restrittive,
è a tutti gli effetti una legge truffa.
Chi è stato
coinvolto in un processo – civile, penale, amministrativo,
pensionistico, militare, in una procedura fallimentare o concorsuale ovvero, a
certe condizioni, tributario, ecc. – per un periodo di tempo considerato
«irragionevole», cioè troppo lungo, può richiedere, in base alle disposizioni
della legge 24 marzo 2001, n. 89, meglio conosciuta come
“legge Pinto”, una equa riparazione, cioè un risarcimento del danno
allo Stato italiano, nella misura determinata dalla legge stessa in
ragione degli anni o frazione eccedenti la durata ragionevole.
Secondo
l’art. 2-bis, si considera rispettato il termine ragionevole per la
durata del giudizio «se il processo non eccede la
durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo
grado, di un anno nel giudizio di legittimità».
La legge Pinto
è stata modificata col D.L.8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni
nella L. 6 giugno 2013, n. 64 e col D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con
modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134. È stata poi modificata dalla
legge di stabilità 2016. L’ammontare effettivo del risarcimento concesso dipende
dalla materia del procedimento e dalla sede territoriale della Corte: di
solito vengono liquidati risarcimenti più alti per questioni in materia di
famiglia o status della persona, per procedimenti penali o pensionistici, meno
per altre questioni; inoltre le corti d’appello che si trovano al Nord
sono, solitamente, più di manica larga rispetto a quelle del meridione,
parallelamente alla differenza del costo della vita, almeno tendenzialmente. In
materia, valgono inoltre le regole poste dall’art. 2 bis della legge Pinto. Il
risarcimento può essere chiesto anche se il giudizio è terminato con una
transazione e cioè mediante un accordo tra le parti (Cass. 8716/06, Cass.
11.03.05 n. 5398). Il risarcimento va chiesto con ricorso alla Corte d’Appello
territorialmente competente e viene deciso dalla corte con un decreto che
poi va notificato al ministero, con una procedura simile a quella prevista per
l’ingiunzione di pagamento.
La legge
24 marzo 2001, n. 89 - nota come legge Pinto - (dal nome del suo
estensore, Michele Pinto) è una legge della Repubblica Italiana. Essa
prevede e disciplina il diritto di richiedere un'equa riparazione per
il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subìto per l'irragionevole
durata di un processo. La norma nacque come ricorso straordinario in appello
qualora un procedimento giudiziario ecceda i termine di durata ragionevole di
un processo secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in
base all'art. 13 della Convenzione che prevede il diritto ad un ricorso effettivo
contro ogni possibile violazione della Convenzione. In tal modo, si introduce
un nuovo ricorso interno, che i ricorrenti devono avviare prima di rivolgersi
alla Corte di Strasburgo. Tuttavia le Corti d'Appello inizialmente
non hanno applicato i parametri della CEDU per la definizione
dell'irragionevole durata del processo, ma hanno chiesto ai ricorrenti la
dimostrazione dell'aver subito un danno (cosa che, secondo l'art.6 CEDU, è
incluso nel fatto stesso). Tali casi sono stati quindi ri-appellati alla Corte
CEDU di Strasburgo per scorretta applicazione della Legge Pinto. Nel 2004
la Corte di Cassazione ha stabilito che i giudici nazionali devono
applicare i criteri di Strasburgo nel decidere in casi relativi alla legge
Pinto, senza poter richiedere la prova del danno subito dal ricorrente. La
sentenza Brusco della CEDU ha infine statuito che tutti i casi
pendenti a Strasburgo dal 2001 (sui quali non sia ancora stato dato un giudizio
di ricevibilità da parte della Corte) debbano tornare in Italia per l'appello
interno secondo la legge Pinto. La sentenza Brusco è stata criticata
per gli alti costi processuali presenti nella procedura interna italiana, ed
inesistenti a Strasburgo. L'art. 55 del Dl. 22 giugno 2012 n. 83, contenente
"misure urgenti per la crescita del paese" (c.d. decreto sviluppo del
governo Monti), ha apportato importanti modifiche alla legge, volte a porre un
freno alle richieste di risarcimento. Infatti, la riforma introdotta dal c.d.
DL Sviluppo 2012 è stato profondamente mutato il procedimento delineato dalla
Legge Pinto per permettere un più agevole ed efficace accesso al giudizio di
equa riparazione ed ottenere in tempi più rapidi (che non siano a loro volta
“irragionevoli”) il giusto risarcimento.
1) Non è più
investita della decisione la Corte d'Appello in composizione collegiale. A
decidere sarà un giudice monocratico di Corte d'appello con una procedura
modellata su quella del decreto ingiuntivo e quindi, senza inutili
appesantimenti procedurali (a titolo di esempio basti pensare che per la fissazione
dell'udienza, specie avanti le Corti di appello più oberate, occorrono mesi o
anni di attesa).
2) Viene
fissato un preciso tetto oltre il quale la lunghezza del processo diventa
“irragionevole” facendo così sorgere il diritto all'equa riparazione. Il
processo non è svolto in termini ragionevoli quando supera i sei anni (tre anni
in primo grado, due in secondo e uno nel giudizio di legittimità).
3) Sono
stati puntualmente fissati gli importi per gli indennizzi commisurati in 1.500
euro per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi che eccedente
rispetto al termine di ragionevole durata.
4) In ogni
caso la domanda può essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla
sentenza definitiva che definisce il giudizio durato oltre il termine
“ragionevole”.
La Legge,
28/12/2015 n° 208, G.U. 30/12/2015, detta "Legge di Stabilità 2016",
introduce rilevanti modifiche alla cosiddetta Legge Pinto (L. n° 89 del 2001)
regolamentando alcuni aspetti ma, fondamentalmente, riducendo ancor di più la
possibilità di ottenere l'indennizzo e riducendo, altresì, la quantificazione
dell'indennizzo stesso. Contenimento degli effetti della Legge Pinto pare
essere il leit motiv che, a partire dal corposo intervento
sull'articolato operato dal Governo Monti, contraddistingue ogni intervento
sulla materia.
SCHEMA
ESEMPLIFICATIVO.
IL DANNO
Danno da
lungaggine del processo per la Cedu: patrimoniale o non patrimoniale.
Danno da
lungaggine del processo per lo Stato Italiano: Forfettario. Prima, da 500 euro
a 1500 euro, dopo, da 400 euro a 800 euro.
IL DIRITTO
Diritto al
risarcimento per la CEDU: è incluso nel fatto stesso (onere della prova a
carico dello Stato, an e quantum) senza valutazione ed interpretazione.
Diritto al
risarcimento per lo Stato Italiano: ai ricorrenti tocca la dimostrazione
dell'aver subito un danno (onere della prova a carico dei ricorrenti, an e
quantum) e valutazione data dai magistrati responsabili essi stessi del danno.
Il giudice infatti, nell’accertare l’entità della violazione valuta: la complessità
del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del
giudice collega durante il procedimento, nonché quello di ogni altro soggetto
chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione.
DURATA
Durata
ragionevole del processo per la Cedu: ragionevole inteso in senso oggettivo
europeo.
Durata
ragionevole del processo per lo Stato Italiano: 3 anni per il primo grado; due
anni per il secondo grado; un anno per il terzo grado. Precisando che il
processo si considera iniziato, nell’ambito dei procedimenti civili, con il
deposito del ricorso o con la notifica dell’atto di citazione; penali, con
l’assunzione della qualità di imputato e non di indagato, di parte civile o di
responsabile civile, ovvero, quando l’indagato ha legale conoscenza della
chiusura delle indagini preliminari.
ITER
Iter
risarcitorio per la Cedu: procedimento amministrativo semplificato, veloce e
gratuito.
Iter
risarcitorio per lo Stato Italiano: procedimento giudiziario di competenza
dell’ordine professionale foriero del danno attivato. Prima presso la Corte di
Appello competente ex art. 11 c.p.p., poi, presso la Corte di Appello foriera
del danno in composizione monocratica ed inaudita altera parte. Le nuove norme
assicurano senz’altro una più equilibrata ed efficiente distribuzione dei
carichi di lavoro (condizione indispensabile per evitare il moltiplicarsi di
procedimenti c.d. “Pinto bis”o, perfino, “Pinto ter”!), ma
determinano anche un grave vulnus ai principi costituzionali di
terzietà ed imparzialità della magistratura, che, per accrescere la fiducia dei
consociati nel sistema giustizia, richiedono di essere perseguiti e realizzati
anche semplicemente sul piano dell’apparenza.
ATTIVAZIONE
Attivazione
dell’iter per la Cedu: semplice domanda.
Attivazione
per lo Stato Italiano: Prima semplice ricorso giudiziario, dopo una domanda
modellata sulla forma del ricorso per ingiunzione di pagamento.
GRAVOSITA'
DELL'ONERE DELLA PROVA
Onere della
prova per la Cedu: Fascicolo acquisito d’ufficio.
Onere della
prova per lo Stato Italiano: copie fascicolo conformi all’originale con oneri
di bollo e diritti.
DIFFICOLTA'
ARTEFATTE
Intoppi ed
ostacoli per la Cedu: nessuno.
Intoppi ed
ostacoli per lo Stato Italiano: La novità più rilevante consiste nella introduzione
del concetto di "rimedio preventivo"; la parte deve dimostrare
fattivamente di avere intrapreso le strade più brevi per l'ottenimento della
sentenza, attraverso istanze di accelerazione, (insomma, solo se ha chiesto al
giudice di accelerare in ogni modo la causa, come se fosse colpa sua e non del
sistema che scricchiola), istanze di prelievo, riunione delle cause, utilizzo
di riti sommari, trattazione orale ex art. 281-sexies, ecc. Gli esperti
sostengono che sul versante civile questa clausola potrebbe portare ad una
situazione drammatica: la rinuncia al rito ordinario e la decisione allo stato
degli atti, questa la dizione tecnica, col rischio di perdere la causa.
Fondamentale la regola introdotta dal prima comma dell'art. 2 secondo la quale
"È inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che
non ha esperito i rimedi preventivi all’irragionevole durata del processo di
cui all’articolo 1-ter".
TERMINE
DELLA DOMANDA
Termine
della domanda per la Cedu: ragionevole.
Termine
della domanda per lo Stato Italiano: In ogni caso la domanda deve essere
proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla sentenza definitiva che
definisce il giudizio durato oltre il termine “ragionevole”.
PAGAMENTO
Pagamento
per la Cedu: immediato e semplice.
Pagamento
per lo Stato Italiano: gli indennizzi potranno essere erogati entro il
limite delle risorse disponibili di un apposito capitolo del ministero
della Giustizia. Per fortuna sarà possibile un‘anticipazione di tesoreria, ma
solo nel caso venga attivata l’esecuzione forzata. In quel caso
sarà Banca d’Italia a provvedere registrando il pagamento
in "conto sospeso" in attesa che il ministero regolarizzi
la partita contabile non appena abbia le risorse per farlo. Con l'introduzione del
nuovo art. 5-sexies viene completamente regolamentata a nuovo la fase del
pagamento. Vi è ora la necessità di formulare ripetutamente una istanza che
potremo chiamare di precisazione del credito con la quale si ricorda allo Stato
che non ha ancora pagato.
TERMINI DEL
PAGAMENTO
Termini
ragionevoli di adempimento per la Cedu: due anni.
Termini
ragionevoli di adempimento per lo Stato Italiano (Pinto su Pinto): prima 4
mesi, dopo, 6 anni ordinari, dopo le pronunzie giurisprudenziali, 2 anni e tre
anni. 2 anni. La Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con sentenza n.
8283/2012, è intervenuta, limitando a due anni la durata massima, fra appello e
Cassazione, entro cui deve concludersi il processo ex lege Pinto, istaurato al
fine di ottenere l’equo ristoro per i danni subiti da un “processo lumaca”.
Superato tale limite la vittima ha diritto a ottenere un secondo e differente
ristoro. Infine 2 anni, primo grado, 1 anno, legittimità. I giudizi risarcitori
per irragionevole durata del processo devono essere molto più che "di ragionevole
durata". E' quanto si ricava dalla sentenza n. 36 del 19 febbraio
2016, con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alla cd.
"legge Pinto" (legge n. 89/2001). Tuttavia, con impeto chiaramente
burocratico, teso a creare un percorso ad ostacoli, si prescrive che "nel
caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o
della documentazione di cui ai commi precedenti, l’ordine di pagamento non può
essere emesso". L'amministrazione provvede al pagamento nel termine di sei
mesi. In questo periodo "... i creditori non possono procedere
all’esecuzione forzata, alla notifica dell’atto di precetto, né proporre
ricorso per l’ottemperanza del provvedimento".
SANZIONI
Sanzioni per
la Cedu: nessuna, se non la pronuncia di rigetto della domanda.
Sanzioni per
lo Stato Italiano: qualora infatti la domanda sia, agli occhi del giudicante,
inammissibile o manifestamente infondata, il ricorrente potrà essere condannato
al pagamento di una somma non inferiore a 1000 euro e non superiore a 10.000
euro in favore della Cassa delle Ammende! Tutto “merito” del legislatore
italiano, che – con un decreto legge! - è riuscito a trasformare un diritto
tutelato dalla Corte europea dei Diritti dell’uomo in un nuovo eventuale
introito per le Casse dello Stato!!
Dr Antonio Giangrande
099.9708396 – 328.9163996
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