Chi non è raccomandato, scagli la prima pietra.
Editoriale di Antonio
Giangrande che sul tema ha scritto un libro dal titolo “Concorsopoli ed
esamopoli”.
Essere raccomandati in un’azienda
privata è una cosa lecita. Esser raccomandati per vincere un concorso pubblico
o un esame di Stato è reato. Spesso, però, per indulgenza o per collusione, le
cose si confondono.
Se non basta un muro di
parole per vincer la resistenza degli scettici, allora è solo mala fede in loro.
La Costituzione all'art. 3
non cita che siamo tutti uguali o tutti discendenti di eccelsi natali, esplica
solo che tutti siamo uguali, sì, ma di fronte alla legge!!!
Calcio, politica e soldi. Tutti i luoghi comuni
dell'italiano medio. Da "i
ricchi evadono" al "solito inciucio": ormai le litanie dilagano.
E chi le recita si sente un po' più onesto degli altri, scrive Massimiliano
Parente su “Il Giornale”. A cominciare dalla considerazione «Solo in Italia».
Solo in Italia ci sono mille parlamentari. Solo in Italia non trovano i
colpevoli dei delitti. Solo in Italia la giustizia funziona male, ovviamente se
per caso tocca noi, se tocca un altro «dovrebbero metterlo dentro e buttare la
chiave», come fanno all'estero. Tanto nessuno conosce l'estero, per questo ogni
legge elettorale te la propongono alla francese, alla tedesca, all'americana,
per mostrare di conoscere il mondo quando non si sa un cavolo neppure di come
si vota in Italia. Coltivando il mito di paesi nordici come la Scandinavia o la
Norvegia, dove i servizi funzionano a meraviglia, dove lo tasse sono
bassissime, basta che non domandi dove sta la Norvegia perché non saprebbero
neppure indicartela sulla carta geografica. Sebbene abbiano sentito Grillo che
ti spiega come lì si ricicli anche la pupù. Ma perché non cerchi lavoro? Perché
tanto «non c'è lavoro», perché «bisogna andare fuori», e poi tutti sono sempre
qui, mai che muovano il sederino, come all'estero appunto. Tanto «è tutto un
magna magna», e «tutti rubano», sempre a sottintendere che chi lo dice non
appartiene alla categoria, sempre a sottolineare una propria specchiatissima
onestà, perché solo in Italia «i ricchi evadono lo tasse», l'hanno visto da
Santoro e a Report, te lo dice il barista che intanto non ti rilascia lo
scontrino fiscale e il medico o l'idraulico che senza fattura, se vuoi, paghi
meno, e tu ci stai perché tanto mica te la scarichi, come in America. Tanto
«gli italiani so' tutti ignoranti», sbotta quello che non ha mai aperto un
libro e un quotidiano lo sfoglia a scrocco mentre sbocconcella il cornetto,
leggendo solo i titoli, non per altro quanto a lettura di giornali veniamo dopo
la Turchia, e l'editoria è in crisi qui più che altrove, perché se si legge
qualcosa «l'ho letto su internet». Che poi se cerchi lavoro, è noto, «prendono
solo raccomandati», e intanto non è che per caso conosci qualcuno? In un paese
dove «non c'è meritocrazia», e mica se ne lamenta il laureato a Harvard, se ne
lamentano tutti, un popolo di meritevoli, informati, studiosi, sentono che c'è
«la fuga dei cervelli» e si identificano subito col cervello in fuga. Mai
sentito nessuno che ammetta di non essere all'altezza, di aver studiato poco,
di non meritarsi nulla, tutti sanno tutti, in qualsiasi campo, dalla medicina
all'economia. Convintissimi che se i parlamentari si tagliassero lo stipendio
si abbasserebbe il debito pubblico. O almeno potrebbero «dare l'esempio», quasi
che i deputati fossero arrivati in parlamento con un'astronave e non li
avessero votati loro. Perché qui «è tutto un inciucio», e nel frattempo pure a
me scrittore, nel mio piccolo, arrivano in posta sporte di manoscritti mediocri
che vogliono essere letti da gente che non ha mai letto niente, tanto meno me,
ma se glielo fai notare rispondono «Mica sarà peggio di tanti che pubblicano?».
È il diritto alla mediocrità, solo in Italia.
Eguaglianza «aritmetica» o «proporzionale», secondo la
distinzione di Aristotele? Nel punto
d'arrivo o di partenza? Verso l'alto o verso il basso, come vorrebbero le
teorie della decrescita? Se due mansioni identiche ricevono retribuzioni
differenti, dovremmo elevare la peggiore o abbassare la piú alta? Ed è giusto
che una contravvenzione per sosta vietata pesi allo stesso modo per il ricco e
per il povero? Sono giuste le gabbie salariali, il reddito di cittadinanza, le
pari opportunità? E davvero può coltivarsi l'eguaglianza fra rappresentante e
rappresentato, l'idea che «uno vale uno», come sostiene il Movimento 5 Stelle?
In che modo usare gli strumenti della democrazia diretta, del sorteggio e della
rotazione delle cariche per rimuovere i privilegi dei politici? Tra snodi
teorici ed esempi concreti Michele Ainis ci consegna una fotografia delle
disparità di fatto, illuminando la galassia di questioni legate al principio di
eguaglianza. Puntando l'indice sull'antica ostilità della destra, sulla nuova
indifferenza della sinistra verso quel principio. E prospettando infine una
«piccola eguaglianza» fra categorie e blocchi sociali, a vantaggio dei gruppi
piú deboli. Una proposta che può avere effetti dirompenti.
Siamo tutti bravi a sciacquarci la bocca
sull'uguaglianza. Ecco il fenomeno dei populisti.
Il largo uso che i politici e i media fanno del
termine "populismo" ha contribuito a diffonderne un’accezione
fondamentalmente priva di significato: è rilevabile infatti la tendenza a
definire "populisti" attori politici dal linguaggio poco ortodosso e
aggressivo i quali demonizzano le élite ed esaltano "il popolo"; così
come è evidente che la parola viene usata tra avversari per denigrarsi a
vicenda – in questo caso si può dire che "populismo" viene
talvolta considerato dai politici quasi come un sinonimo di "demagogia".
Ritorsioni se dici la verità: sì, ma come si fa a
tacere queste mascalzonate?
Equitalia, milioni di cartelle a rischio: 767
dirigenti nominati senza concorso, scrive Blitz quotidiano.
La Corte Costituzionale abbatte Equitalia. I
dirigenti? Tutti falsi, scrive Angelo Greco su “Legge per Tutti”.
"Università, altro che merito. E' tutto truccato. Vi racconto come funziona nei nostri atenei".
Fondi sperperati, concorsi pilotati, giovani sfruttati. Un ex dottorato spiega
nel dettaglio come si muove il mondo accademico tra raccomandazioni e correnti
di potere. E qualcuno non vuole che il libro in cui riporta tutti gli scandali
venga pubblicato, scrive Maurizio Di Fazio su “L’Espresso”.
Chi non è raccomandato scagli la prima pietra. Più di quattro milioni di italiani sono ricorsi a
una raccomandazione per ottenere un'autorizzazione o accelerare una pratica. E
800mila hanno fatto un "regalino" a dirigenti pubblici per avere
in cambio un favore. Sono alcuni dati emersi da una ricerca realizzata dal
Censis.
Non solo. Il coro di voci, che hanno chiesto le
dimissioni al Ministro Lupi del governo Renzi, è roboante. Tra i vari aspetti
della vicenda Incalza che lo vedono coinvolto, al ministro delle Infrastrutture
non viene perdonata la presunta raccomandazione per il figlio. Ma è davvero
così peccaminoso prodigarsi per il proprio figlio come ogni genitore farebbe,
oltretutto, in un Paese dove la raccomandazione è all'ordine del giorno?
E’ inutile negarlo, la pratica della raccomandazione è
la sola che funziona perfettamente nel nostro Paese, anche perché coinvolge
ognuno di noi in maniera democratica senza distinzione di genere, scrive
“Panorama”. Ci sono gli italiani che raccomandano e gli italiani che si fanno
raccomandare, una sorta di catena di Sant’Antonio che prosegue all’infinito.
Almeno una volta nella vita bisogna provare l’ebbrezza della spintarella, anche
quando si è coscienti che questa non servirà a nulla per raggiungere l’ambita
destinazione, qualsiasi essa sia (il posto di lavoro, la visita medica, l’esame
all’università) e non importa se alla meta arriverà un altro, perché la nostra
osservazione sarà “chissà chi lo ha raccomandato…!” E poi ci sentiamo a
posto con la coscienza per due motivi, il primo perché, comunque, il tentativo
lo abbiamo fatto, il secondo perché la volta successiva non ci faremo trovare
impreparati, anzi ci organizzeremo meglio cercando una spinta più potente.
Forse un giorno potremo anche inserirla nel curriculum vitae.
Il caso esemplare è lo scandalo di Catanzaro: oltre
duemila compiti-fotocopia. Su 2301 prove scritte per l’accesso all’albo degli
avvocati consegnate a metà dicembre del 1997 alla commissione d’esame di
Catanzaro, ben 2295 risultano identiche. Soltanto sei elaborati, cioè lo 0,13
per cento del totale, appare non copiato. Compiti identici, riga per riga,
parola per parola. Le tre prove di diritto civile, diritto penale e atti
giudiziari non mettono in risalto differenze. Sono uguali anche negli errori:
tutti correggono l’avverbio «recisamente» in «precisamente». Una concorrente
rivela che un commissario avrebbe letteralmente dettato lo svolgimento dei temi
ai candidati. Racconta: «Entra un commissario e fa: “scrivete”. E comincia a
dettare il tema, piano piano, per dar modo a tutti di non perdere il
filo». «Che imbecilli quelli che hanno parlato, sono stati loro a
incasinare tutto. Se non avessero piantato un casino sarebbe andato tutto
liscio», dice una candidata, che poi diventerà avvocato e probabilmente
commissario d’esame, che rinnegherà il suo passato e che accuserà di plagio i
nuovi candidati. L’indagine è affidata ai pm Luigi de Magistris e Federica
Baccaglini, che ipotizzano il reato di falso specifico e inviano ben 2295
avvisi di garanzia. Catanzaro non è l’unica mecca delle toghe: le fa
concorrenza anche Reggio Calabria che, tra l’altro, nel 2001 promuove il futuro
ministro dell’Istruzione per il Pdl Mariastella Gelmini in trasferta da
Brescia. Ma Catanzaro è da Guinness dei primati. I candidati arrivano da tutta
Italia, e i veri intoccabili soprattutto dalle sedi del Nord dove gli esami
sono molto selettivi per impedire l’accesso di nuovi avvocati nel mercato
saturo. Gli aspiranti avvocati milanesi o torinesi risultano residenti a
Catanzaro per i sei mesi necessari per il tirocinio, svolto in studi legali del
luogo, i quali certificano il praticantato dei futuri colleghi. Frotte di
giovani si fanno consigliare dove e come chiedere ospitalità. In città esistono
numerose pensioni e alloggi, oltre a cinque alberghi, che periodicamente
accolgono con pacchetti scontati i pellegrini forensi. Tutti sanno come
funziona e nessuno se ne lamenta. L’omertà è totale. I magistrati interrogano
gruppi di candidati dell’esame del dicembre 1997, che rispondono all’unisono:
«Mi portai sovente in bagno per bisogni fisiologici […]. Non so spiegare la
coincidenza tra gli elaborati da me compilati e quelli esibiti. Mi preme
tuttavia evidenziare che qualcuno potrebbe avermi copiato durante la mia
assenza». Mentre il procedimento giudiziario avanza a fatica per la difficoltà
di gestire un numero così grande di indagati, tutti gli aspiranti avvocati
dell’esame del 1997 rifanno le prove nel 1998 nel medesimo posto e sono
promossi. Dopo otto anni di indagini e rinvii, nell’estate 2005 il pm Federico
Sergi, nuovo titolare dell’indagine, chiede e ottiene per ciascuno il «non
luogo a procedere per avvenuta prescrizione». Tutto finito. Questi avvocati
esercitano.
La Calabria è bella perchè c’è sempre il sole, scrive
Antonello Caporale su “La Repubblica”. Milano invece spesso è velata dalla
nebbia. E’ bella la Calabria anche, per esempio, perchè il concorso per
l’abilitazione alla professione di avvocato sembra più a misura d’uomo. Non c’è
il caos di Milano, diciamolo. E in una delle dure prove che la vita ci
pone resiste quel minimo di comprensione, quell’alito di compassione… In
Calabria c’è il sole, e l’abbiamo detto. Ma vuoi mettere il mare? ”Avevo
bisogno di un luogo tranquillo, dove poter concentrarmi senza le distrazioni
della mia città. Studiare e affrontare con serenità l’esame”. Ecco, questo
bisogno ha portato Antonino jr. Giovanni Geronimo La Russa, il figlio di
Ignazio, anch’egli avvocato ma soprattutto ministro della Difesa, a trasferirsi
dalla Lombardia in Calabria. Laureato a pieni voti all’università Carlo
Cattaneo, Geronimo si è abilitato con soddisfazione a Catanzaro a soli ventisei
anni. Due anni ha risieduto a Crotone. Dal 25 luglio 2005, in piazza De
Gasperi, nella casa di Pasquale Senatore, l’ex sindaco missino. E’
rimasto nella città di Pitagora fino al 18 gennaio 2007. E si è rigenerato. Un
po’ come capitò a Mariastella Gelmini, anche lei col bisogno di esercitare al
meglio la professione di avvocato prima di darsi alla politica, e anche lei
scesa in Calabria per affrontare con ottimismo l’esame. La scelta meridionale
si è rivelata azzeccata per lei e per lui. Il piccolo La Russa è tornato in
Lombardia con la forza di un leone. E dopo la pratica nello studio
Libonati-Jager, nemmeno trentenne è divenuto titolare dello studio di famiglia.
Quattordici avvocati a corso di porta Vittoria. Bellissimo. “Ma è tutto merito
mio. Mi scoccia di passare per figlio di papà”.
Ma guarda un po’, sti settentrionali, a vomitar
cattiverie e poi ad agevolarsi del…sole calabro.
Riguardo la magistratura, l’avvocato astigiano
Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il
concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in
base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3
minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e
richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar
gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato
costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da
parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In
quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de
Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso
farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e
tutti abilitati.
Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore
apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi
pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati
bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno
presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con
abuso del pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati,
nel frattempo diventati dei, esercitano.
Quando si dà
la caccia ai figli per colpire i padri,
scrive Lanfranco Caminiti su “Il Garantista”. E poi dicono, i potenti, povero
ministro Lupi. Un figlio laureato con 110 e lode al Politecnico di Milano, e
tutto quello che gli trova è un lavoretto su un cantiere Eni a partita iva da
1300 euro mese. Un precario aggiunto ai milioni di giovani senza posto fisso. E
sì che mica lo poteva infilare in una delle cooperative di Comunione e
liberazione, quelle ormai stanno nell’occhio del ciclone, e poi che fai, vai a
pulire il culo degli ammalati negli ospedali, dai i pasti alla mensa, ti sbatti
coi tossici, ricicli i libri usati, oh, c’ha una laurea al Politecnico. E però,
per i figli si farebbe tutto, certo. Anche mettendoti a rischio. I figli sono
pezzi di cuore, sono quello per cui ti sbatti, sono quello che rimarrà di te,
sono il punto debole. È una costante questa. Sarà che noi italiani c’abbiamo il
familismo amorale, c’abbiamo. Prima di tutto la famiglia, i figli.
Chissà se hanno telefonato per i loro figli in
carriera. Indignazione per Lupi jr,
ma nessuno si chiede se i rampolli dei leader democratici abbiano avuto
l'aiutino. Dagli eredi dei presidenti alle ragazze di Veltroni e D'Alema,
scrive Paolo Bracalini su “Il Giornale”. «Mio figlio è laureato al Politecnico
con 110 e lode, gli faccio sempre questa battuta: purtroppo ha fatto Ingegneria
civile e si è ritrovato un padre ministro delle Infrastrutture» si difende
Maurizio Lupi, accusato di familismo all'italiana. Quella è una sfortuna che capita
spesso ai figli di potenti, quasi sempre dotati di grande talento tanto da
meritare posti prestigiosi, carriere formidabili, magari in settori affini a
quelli di papà o mammà. Così viene il sospetto, malizioso e certamente
infondato, che qualche telefonatina per lanciare i rampolli, una
sponsorizzazione paterna o materna, sia prassi diffusa. Anche a sinistra,
magari a partire da chi si indigna per Lupi jr. Avere parenti potenti non
serve, se si è bravi, però aiuta. Sempre che non li intercettino.
Caso Lupi, Giampiero Mughini su Dago critica Giuliano
Ferrara: "Tutti siamo stati
raccomandati, anche tu", scrive “Libero Quotidiano”. Chi è senza
raccomandazione alzi il ditino da moralista. Giampiero Mughini interviene a piedi uniti nel dibattito sul ministro Maurizio Lupi e la sospetta raccomandazione che avrebbe fatto al
figlio ingegnere per farlo lavorare. A far saltare la mosca al naso di Mughini
è un pezzo di Giuliano Ferrara sul Foglio che in un passaggio scrive:
"Non mi hanno ristrutturato case a buon prezzo, assunzioni di parenti no e
poi no, non li conosco. Le cricche mi sono lontane". Apri cielo: Mughini
in una lettera a Dagospia prima ricostruisce il suo ingresso nel mondo
del lavoro, ricordando la lettera di raccomandazione scrittagli da Gian Carlo
Pajetta per lavorare a Paese Sera. Poi passa proprio all'Elefantino, sulla cui
vita ha anche scritto un libro in passato: "Era stato Alberto Ronchey,
negli anni Cinquanta moscoviti collega di papà Maurizio Ferrara, a intercedere
presso il Corriere della Sera perché Giuliano potesse iniziarvi una
sua collaborazione". Con il ministro di Ncd, Mughini dice di non avere
legami, quindi nessuna difesa di ufficio. Se poi venisse confermata la
telefonata con la quale Lupi avrebbe chiesto un lavoro per il figlio: "Io
- scrive Mughini - altissimamente me ne strafotto. E tutti quelli che si stanno
alzando con il ditino puntato - continua - hanno a che vedere con la faziosità
politica".
"La credibilità dello Stato oggi è ampiamente
compromessa e il primo atto, lo dico non per ragioni giudiziarie, ma per
ragioni politiche, dovrebbe essere una bonifica radicale del ministero delle
Infrastrutture, e anche le dovute dimissioni del ministro competente". Lo
ha detto il leader di Sel e presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola,
parlando il 17 marzo 2015 oggi a Bari con i giornalisti in merito alla maxi
operazione dei Cc del Ros sulla gestione illecita degli appalti delle
cosiddette Grandi opere. Certo che non vi è vergogna nei nostri politici. Si
parla delle dimissioni di Lupi che non è indagato. Mentre chi le chiede, e gli
esponenti del suo partito, nel processo a Taranto "Ambiente
Svenduto", per loro la Procura ha chiesto al giudice per l'udienza
preliminare Wilma Gilli il rinvio a giudizio. Chiesto dalla Procura il rinvio a
giudizio per il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, per il sindaco
di Taranto, Ezio Stefàno, per gli attuali assessori regionali all'Ambiente,
Lorenzo Nicastro, e alla Sanità, Donato Pentassuglia, quest'ultimo all'epoca
dei fatti presidente della commissione regionale Ambiente, nonché per l'allora
assessore regionale Nicola Fratoianni, oggi deputato di Sel.
Vittorio Feltri: “Se Santoro è giornalista la colpa è
mia che l’ho promosso all’esame. Si dà infatti il caso che Santoro sia
diventato giornalista professionista con il mio contributo, giacché facevo
parte della commissione all'esame di Stato che lo promosse e gli consentì
l'iscrizione all'Ordine nazionale dei giornalisti. Era il 1982. Me lo ricordo
perché erano in corso i Mondiali di calcio in Spagna, quelli vinti dall'Italia
con Sandro Pertini in tribuna d'onore. La vita del commissario esaminatore
aveva qualche risvolto piacevole. Feci comunella con Giuseppe Pistilli,
vicedirettore del Corriere dello Sport, il quale sedeva con me nel sinedrio. La
sera andavamo a cena insieme. Il ponentino e il Frascati ci aiutavano a
dimenticare le miserie cui avevamo assistito durante la giornata nel valutare i
candidati. Ancora non avevo maturato la convinzione che l'Ordine dei
giornalisti fosse un ente inutile, anzi peggio: dannoso. Pistilli contribuì a
instillarmi qualche sospetto, illustrandomi come funzionava la commissione
d'esame. Esempio: un aspirante scriba ti era stato raccomandato o ti stava a cuore?
Bene, si trattava di farsi dare da lui le prime righe dell'articolo che aveva
steso durante la prova scritta. Nessuno comincia un pezzo nella stessa maniera
del compagno di banco, chiaro no? Perciò, non appena s'iniziava la lettura ad
alta voce e in forma anonima degli elaborati, all'udire l'attacco familiare il
commissario dava un calcetto sotto il tavolo a chi gli stava accanto. Costui a
sua volta sferrava un calcetto al commissario più vicino, e avanti così. Con
sei calcetti, il candidato era promosso. Dopodiché ricevevi a tua volta altri
colpi negli stinchi e dovevi restituire il favore ricevuto. In questo modo
passavano l'esame (e lo passano tuttora) asini sesquipedali.”
Il tribunale del popolo guidato da Di Pietro, scrive Tiziana Maiolo su "Il Garantista".
Maurizio Lupi non è un indagato. È un condannato dal Tribunale del Popolo
composto di giornalisti invidiosi, magistrati esibizionisti e una folla di
tricoteuses opportunamente istigata dai Paladini della Virtù che passeggiano
per i talkshow spargendo il proprio verbo, la propria “moralità”. Il 17 marzo
2015 mattina si è svegliato presto Antonio Di Pietro, si è collegato subito con
Radio24, poi è corso in Rai per farsi intervistare ad Agorà sgusciando poi via
velocemente per planare su La7. Una fatica per chi ha tante lezioni di
moralità da elargire al ministro Maurizio Lupi. Che non è indagato, ma
condannato perché “forse” si è lasciato regalare un vestito da un imprenditore
suo amico di famiglia, il quale avrebbe anche donato un orologio costoso a suo
figlio in occasione di una laurea particolarmente brillante al Politecnico di
Milano. Tra le imputazioni di stampo moralistico c’è anche un posto di lavoro
temporaneo al neo-ingegnere in un cantiere. Giusto quindi che intervenga subito
il Pm più famoso d’Italia. Un plauso a tutti i conduttori che hanno pensato di
invitare proprio Di Pietro a commentare i comportamenti di Lupi. È uno che se
ne intende.
Da quale pulpito vien la predica?
Si riportano vari articoli di stampa, a scanso di
persecuzione personale.
L’incipit della confidenza di Elio Belcastro,
parlamentare dell’Mpa di Raffaele Lombardo, pubblicata su “Il Giornale”.
Belcastro ci fa subito capire, scandendo bene le parole, che Tonino non era
nemmeno riuscito a prenderlo quel voto, minimo. «Tempo fa l’ex procuratore capo
di Roma, Felice Filocamo, che di quella commissione d’esami era il segretario,
mi ha raccontato che quando Carnevale si accorse che i vari componenti avevano
bocciato Di Pietro, lo chiamò e si arrabbiò molto. Filocamo fu costretto a
tornare in ufficio, a strappare il compito del futuro paladino di Mani pulite e
a far sì che, non saprei dire come, ottenesse il passaggio agli orali, seppur
con il minimo dei voti». Bocciato e ripescato? Magistrato per un falso?
Possibile? Non è l’unico caso. Era già stato giudicato non idoneo, ma in una
seconda fase sarebbero saltati fuori degli strani fogli aggiuntivi che prima
non c’erano. Ecco come sarebbe sorto il sospetto che qualcuno li avesse
inseriti per “salvare” il candidato già bocciato, in modo da giustificare una
valutazione diversa oppure da consentire un successivo ricorso al TAR. I
maggiori quotidiani nazionali e molti locali, ed anche tanti periodici, si sono
occupati di tale gravissimo fatto, e che è stato individuato con nome e cognome
il magistrato (una donna) in servizio a Napoli quale autore del broglio
accertato. Per tale episodio il CSM ha deciso di sospendere tale magistrato
dalle funzioni e dallo stipendio. In quella sessione a fronte di 350 candidati
ammessi alle prove orali pare che oltre 120 siano napoletani, i quali sembrano
avere particolari attitudini naturali verso le scienze giuridiche e che
sembrano essere particolarmente facilitati nel loro cammino anche dalla
numerosa presenza nella commissione di esami di magistrati e professori
napoletani.
Si riportano vari articoli di stampa, a scanso di
persecuzione personale.
Corrado Carnevale: "Quell’aiutino a Di Pietro per
diventare magistrato...", scrive “Libero Quotidiano”. Corrado Carnevale:
"Al concorso in magistratura, Di Pietro ha avuto due aiutini". L'ex
giudice Corrado Carnevale: "Era stato in seminario ed era di famiglia
povera. Fu così che chiusi un occhio", scrive Rachele Nenzi su “Il
Giornale”.
Quell’aiutino a Di Pietro per diventare magistrato. L’ex giudice Carnevale sull’esame di Tonino
a pm: «Era povero, mi commossi. E due 5 diventarono 6», scrive Valeria Di Corrado
su “Il Tempo”.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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