VENERDI’ 27
FEBBRAIO 2015. QUINTA UDIENZA DI APPELLO. FINALMENTE PARLA COSIMA SERRANO, MA
CHI LE CREDE?
Sarah Scazzi ed il
dibattimento a Taranto. Il processo maledetto nel foro dell’ingiustizia.
Il resoconto della
giornata da parte dello scrittore Antonio Giangrande, che sulla vicenda ha
scritto dei libri.
Chi segue le
vicende giudiziarie sul delitto di Sarah Scazzi deve tener ben presente di
quale foro si parli. Di quest’aspetto nessuno ha il coraggio di parlarne e per
dovere di informazione prendo su di me questo greve fardello, prendendo spunto
da quanto già è stato pubblicato dagli organi di stampa.
Ad oggi tutto
stride con la osanna mediatica sinistroide dell’infallibilità dei magistrati,
ma come emerge dalla relazione fatta per l’inaugurazione dell’anno giudiziario
2014 dal presidente vicario della Corte d’Appello di Lecce, Mario Fiorella, il
numero di processi proprio a carico di magistrati, anche tarantini, sono ben
113. Il dato ufficiale si riferisce ai procedimenti aperti nel 2013 ed il
Distretto di Corte d'Appello comprende i Tribunali di Taranto, Brindisi e
Lecce. Come riporta Chiara Spagnolo su “la Repubblica”, sono stati infatti
quelli i numeri degli iscritti nel registro degli indagati, inchieste poi
trasferite per competenza a Potenza, mentre 92 sono i magistrati che risultano
parti offese. A ben vedere si scoprirà, certamente, che le accuse agli imputati
magistrati si tramuteranno in archiviazioni tacite, mentre le accuse in cui i
magistrati sono parti offese si trasformeranno in condanne certe e roboanti:
perché così va il mondo. Magistrati giudicandi, ma ingiudicati! Ma non per
tutti è stato così.
Mio malgrado ho
trattato il caso dell’ex Sostituto Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Taranto, Matteo Di Giorgio, così come altri casi della città di
Taranto. Il seguito è fatto noto: per Matteo Di Giorgio quindici anni di
reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici
chiesti dal pubblico ministero. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la
trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi
testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono l’ex
procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di
Taranto Pietro Argentino. Eppure Pietro Argentino è il numero due della procura
di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri
colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50
imputati. Pietro Argentino è il pubblico Ministero che con Mariano Buccoliero
ha tenuto il collegio accusatorio nei confronti degli imputati del delitto di
Sarah Scazzi ad Avetrana.
E poi
ancora…andando indietro nel tempo. Corruzione al
Palazzo di Giustizia di Taranto, interessi privati e intrecci poco chiari tra
ambienti della magistratura, della questura e dell'imprenditoria locale. Sono
stati rinviati a giudizio l'ex procuratore capo della Repubblica di Taranto,
Giuseppe Raffaelli, 72 anni, sua moglie Giacoma Bianca De Filippis, 58 anni, e
l'ex sindaco di Massafra (Taranto), il democristiano Orazio Bianco, 55 anni,
tutti e tre accusati di concorso in interesse privato. Di corruzione dovranno
invece rispondere l'ex sostituto procuratore Giuseppe Lamanna, 60 anni, e il
presidente degli industriali di Taranto, Donato Carelli, 49 anni. Un altro
magistrato di Taranto, l'ex sostituto procuratore Giuseppe Lezza, 47 anni, ha
evitato il rinvio a giudizio perché il reato di corruzione contestatogli, fra
gli altri, si è estinto per prescrizione.
Tra le
vittime illustri delle campagne scandalistiche giudiziarie, si conta perfino
l'ex procuratore capo della Repubblica di Taranto, Nicola Cacciapaglia, messo
alle strette da alcune rivelazioni televisive che ricordano il "caso
Thomas", il giudice americano di colore imputato di molestie sessuali.
Anche qui il magistrato è finito sotto processo per abuso di poteri: l'accusa,
secondo il rinvio a giudizio, è di "aver palpato la spalla e il seno"
di una signora contro la sua volontà, "sbottonato i pantaloni, estratto il
membro e facendo forza sulla testa" costretto la donna "a portare la
bocca all'altezza del membro". Ingloriosa fine carriera di un alto
magistrato, scriveva il 4 febbraio 1993 “Il Corriere della Sera”. Il Tribunale
di Potenza ha condannato a venti mesi di reclusione (pena sospesa) e al
pagamento di una provvisionale di cinque milioni di lire Nicola Cacciapaglia,
69 anni, procuratore della Repubblica di Taranto dall'87 al '90. I giudici lo
hanno riconosciuto colpevole del reato di atti di libidine nei confronti di
Anna De Pasquale, cinquantacinque anni, casalinga, di Taranto. I fatti
risalgono al 1989, quando la donna chiese al magistrato di aiutarla a
recuperare una figlia tossicodipendente che rischiava la prigione. Nell'ufficio
del Procuratore, Anna De Pasquale visse momenti allucinanti: il magistrato non
si fermò alle avance, ma le mise le mani addosso e per poco non la violentò.
La stampa spesso e
volentieri, come si vede, ha fatto trapelare qualche nefanda notizia, di cui si
fa scarno riferimento in questa sede, per non dimenticare, le cui vicende, però,
sono analiticamente approfondite nel libro che parla di Taranto e di quello che
non si osa dire.
Corruzione
a Palazzo di Giustizia. Sono stati sorpresi mentre si scambiavano una mazzetta
di quattromila euro. Così sono stati presi, in flagranza di reato, il giudice
Pietro Vella e l'avvocato Fabrizio Scarcella. I due sono stati arrestati il 13
marzo 2012 su ordine di cattura firmato dal gip del Tribunale di Potenza su
richiesta della locale procura della Repubblica che è competente per i
procedimenti a carico dei magistrati di Taranto.
"Toghe
sporche sullo Jonio. Se si trattava degli amici, la giustizia a Taranto poteva
diventare strabica. E all'occorrenza anche cieca", titolava "La
Repubblica". Da questa accusa si sono difesi due alti magistrati, il
Procuratore Capo Aldo Petrucci ed il Gip Giuseppe Tommasino sospettati di aver
pilotato alcuni procedimenti, approfittando del loro ruolo. Si trascina dietro
una carica dirompente l'indagine condotta dai giudici di Potenza sul conto di
toghe sino a poco tempo fa adagiate su poltrone strategiche del palazzo di
giustizia ionico. Entrambi sono stati assolti.
Spesso
però dei magistrati di Taranto si parla del loro operato nel segno del loro
dovere, per alcuni considerato sbagliato.
Come si fa a
salvare l’Ilva senza la collaborazione della procura di Taranto? Si chiede
Luigi Amicone su “Tempi”. Siamo stati facili profeti quando abbiamo
ricostruito le pazzesche vicende di questo tipico caso di “catastrofe italiana”
indotta per via giudiziaria. Eppure una via di uscita che non sia il fallimento
o la statalizzazione si può ancora trovare. Due numeri a fotografare lo
spartiacque tra cos’era prima della “cura” a cui è stata sottoposta dalla
procura di Taranto e cos’è oggi, dopo tre anni di inchieste, arresti,
sequestri, blitz della polizia giudiziaria, la più grande acciaieria d’Europa:
da una media di utili annua che sfiorava i 100 milioni, Ilva è passata a
perdite secche di 1 miliardo l’anno. Siamo stati facili profeti quando
ricostruimmo le pazzesche vicende di questo tipico caso di “catastrofe italiana”
indotta per via giudiziaria.
Per il caso Sebai,
poi, è calata una coltre di omertà. I condannanti per i delitti di 13
vecchiette, anche loro menati (secondo le testimonianze) per rendere una
confessione estorta, sono ancora dentro, meno uno che si è suicidato. Questi
non risultano come vittime di errori giudiziari, nonostante il vero assassino,
poi suicidatosi, ha confessato con prove a sostegno la sua responsabilità. Lo
stesso fa Michele Misseri, non creduto, mentre moglie e figlia marciscono in carcere.
Siamo a Taranto, il Foro dell’ingiustizia.
Ma ormai il “killer
delle vecchiette” è morto. E se dalla stampa era venuto questo appellativo di
killer qualche omicidio doveva pur averlo commesso, sì, ma per i magistrati di
Taranto era colpevole solo per quell’unico delitto per il quale non erano stati
capaci di accusare qualcuno. E' morto il 15 dicembre 2012 nel reparto di
rianimazione dell’ospedale di Padova il detenuto tunisino 49enne Ben Mohamed
Ezzedine Sebai, conosciuto come il serial killer delle vecchiette, trovato
impiccato il giorno prima nella sua cella del carcere di Padova. Il legale di
Sebai, l’avvocato veneziano Luciano Faraon, ha anche sollevato dubbi sul fatto
che il suo assistito si sia effettivamente suicidato. Condannato a cinque ergastoli
per altrettanti omicidi di donne, Ezzedine Sebai aveva confessato di essere
l’autore di 14 omicidi di anziane, avvenuti in Puglia tra il 1995 e il 1997.
Altra vergogna,
altro precedente. 15 aprile 2007. Carmela volava via, dal settimo piano di un
palazzo a Taranto, dopo aver subito violenze ed abusi, ma soprattutto dopo
essere stata tradita proprio da quelle istituzioni a cui si era rivolta per
denunciare e chiedere aiuto. «Una ragazzina di 13 anni - scrive Alfonso, il
padre di Carmela - che il 15 aprile del 2007 è deceduta volando via da un
settimo piano della periferia di Taranto, dopo aver subito violenze sessuali da
un branco di viscidi esseri, ma poi anche le incompetenze e la malafede di
quelle Istituzioni che sono state coinvolte con l’obiettivo di tutelarla»,
perché «invece di rinchiudere i carnefici di mia figlia hanno pensato bene di
rinchiudere lei in un istituto (convincendoci con l’inganno) ed imbottendola di
psicofarmaci a nostra insaputa». Carmela aveva denunciato di essere stata violentata;
e nessuno, né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto
o l’avevano presa sul serio. Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio.
Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità compromesse» e,
quindi, poco credibile.
Altro precedente. È
il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero
dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente
per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte
di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai
commesso. Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con
una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero
dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso
vissuto dall’uomo che oggi può tentare di rifarsi una vita. Così, per il
tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il
ministero e la Corte d’Appello di Lecce ha registrato come un notaio il
«contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di
carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti
manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza
aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di
droga per uno sfortunato scambio di auto. Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la
mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le
forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre
di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo
condannarono. Le persone che lo scagionavano furono anche loro condannate per
falsa testimonianza. Così funziona a Taranto. Vai contro la tesi accusatoria;
tutti condannati per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la
vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano
osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri
dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le
sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui -
adesso è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito
le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un
procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di
condanna della corte d’Assise d’Appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da
una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato
e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i
magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti.
Il Pm era lo stesso
per tutti questi procedimenti: Vincenzo Petrocelli.
Altro precedente:
non erano colpevoli, ora chiedono 12 mln di euro. Giovanni Pedone, Massimiliano
Caforio, Francesco Aiello e Cosimo Bello, condannati per la cosiddetta «strage
della barberia» di Taranto, sono tornati in libertà dopo 7 anni di detenzione e
vogliono un risarcimento. Pedone, meccanico di 51 anni, da innocente ha
trascorso quasi otto anni in cella prima di intravedere bagliori di giustizia.
Ma gli elementi che hanno portato all’affermazione della sua innocenza e di
altri tre imputati erano già parzialmente emersi nel corso del processo madre.
«E’ certo - ha detto l’avvocato Petrone - che qualcuno sapeva di quanto
avvenuto durante le indagini». Ora per gli innocenti si apre un lungo iter
processuale per ottenere il risarcimento per ingiusta detenzione. Carlo Petrone
è l’avvocatoPer la Procura, che sostiene la
tesi della colpevolezza di Sabrina e della madre Cosima per il delitto e la
responsabilità di Michele Misseri solo per la soppressione del cadavere di
Sarah, la ritrattazione della psicologa sono manna dal cielo, un supporto alle
proprie tesi. Da tenere presente una cosa: trattare come veritiere le
dichiarazioni di Dora Chiloiro rese nell’udienza preliminare e nella precedente
testimonianza in Corte d’Assise o considerare quest’ultima trattazione come la
vera verità? Certo che a rettificare la dichiarazione nello stesso
procedimento, porta la Chiloiro a liberasi del fardello del procedimento penale
per falsa testimonianza, non incorrendo così nelle conseguenze di carattere
professionale. Questa cosa dà da pensare. Scegliere la propria carriera ed i
propri interessi o salvare delle vite umane dal carcere? Una scelta di
carattere pratico o una strategia difensiva, oppure cedere al rimorso della
coscienza? Questa è solo una considerazione di carattere logico, non una
diffamazione nei confronti di chiunque. Anche perché a Taranto ogni logica,
anche giuridica viene disattesa. Taranto dove i magistrati si sentono anche
legislatori.
E poi c’è signor
Scialpi ed il 13 maledetto. Cerca di riscuotere la vincita dal 1981.
Come si fa a
sfuggire dai magistrati di Taranto? Non si può!
Mazzotta parla
davanti alla prima sezione penale della Cassazione dove si sta discutendo la
richiesta di rimessione del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi: i
difensori di Sabrina Misseri, Franco Coppi e Nicola Marseglia, chiedono di
spostare tutto a Potenza perché il clima che si respira sull'asse
Avetrana-Taranto «pregiudica la libera determinazione delle persone che
partecipano al processo». Ed a sorpresa il sostituto pg che rappresenta la
pubblica accusa sostiene le ragioni della difesa e chiede lui stesso che il
caso venga trasferito a Potenza per legittima suspicione. A Taranto, in
sostanza, non c'è la tranquillità necessaria per giudicare le indagate. Per
spiegare in che cosa consiste la «grave situazione locale» che «turberebbe lo
svolgimento del processo», Mazzotta si dilunga sull'arresto di Cosima (la madre
di Sabrina) avvenuto praticamente in diretta tivù dopo la fuga di notizie che
l'aveva preannunciato («Fu un tentativo di linciaggio» dice il professor
Coppi), parla di testimoni presenti a raduni di piazza che contestavano Cosima,
ricorda le pietre e le intimidazioni contro Michele Misseri, il marito di
Cosima e padre di Sabrina che fece ritrovare il cadavere di Sarah e confessò di
averla uccisa dopodiché cambiò versione più volte, accusò sua figlia
dell'omicidio e tornò di nuovo al primo racconto («Ho fatto tutto da solo,
Sabrina e Cosima sono innocenti»). Per riassumerla con le parole di Coppi:
«L'abbiamo sempre detto, in questo procedimento sono avvenuti fatti di una
gravità oggettiva e se non c'è serenità è giusto trasferirlo».
Ma il processo
resta a Taranto ed è qui che, nel proseguo in appello, parlerà Cosima Serrano.
L’avv. di Cosima
Serrano, Franco De Jaco, parla ai microfoni di un tv locale e sottolinea
l’innocenza delle due donne condannate all’ergastolo in primo grado per
l’omicidio della quindicenne di Avetrana. «Penso che voglia confutare,
sostanzialmente, tutto ciò che è emerso sino ad oggi - dice l’avv. Franco De
Jaco – Poi sarà creduta o non sarà creduta, questo per lei è relativo. Vuole
liberarsi, sostanzialmente, del fatto che la gente pensi che lei non voglia
rispondere alle cose. Vuole rispondere, però, chiaramente ci sono delle scelte
tecniche che abbiamo fatto noi e che fino adesso le hanno impedito di assolvere
a questo suo desiderio. Adesso lo vorrà affrontare e lo affronterà. Tanto,
voglio dire, alla fine conosce benissimo lo spirito di questo processo e quindi…»
Continua De Jaco. «Be’ vedremo in una sede terza come si svolgeranno i fatti.
Ma assolutamente. Andremo in cassazione tranquillamente. Tanto l’ho sempre
detto: questo è un processo che si risolve in Cassazione, visto che c’è una
pressione mediatica tale che non c’è serenità in nessuno. Oggi è un’udienza di
transizione. E’ stato nominato il perito. Per cui sarà affidato quest’incarico,
poi noi valuteremo. Penso sempre che ci sia una giustizia, però se questo è lo
spirito, purtroppo dobbiamo affrontarlo. Mi dispiace che due innocenti stanno
in carcere.»
Anche Lillino
Marseglia, l’avvocato di Sabrina Misseri, dice la sua ad un tv locale sull’intenzione
di Cosima Serrano di rendere dichiarazioni in aula. «Ho avuto la netta
impressione che volesse rendere delle…non solo delle sommarie dichiarazioni per
rivendicare genericamente la sua estraneità ai fatti o proclamare la sua
innocenza. Credo che voglia fare un racconto completo di tutta questa vicenda
perché non è mai stata sentita. Solo ora. Ne parlavamo con il collega. Spesso e
volentieri gli imputati sono anche prigionieri delle strategie processuali. Ci
sono tanti motivi. Spesso il silenzio non coincide con la reticenza. Spesso
viene imposto per ragioni diverse. Parlerà. Sicuramente parlerà. E come dicevo
prima, non si limiterà a fare un racconto proprio di maniera, di stile “sono
innocente, sono detenuta senza motivo”. Credo che voglia raccontare i fatti in
maniera articolata e poi dovrebbe essere, comunque, una cosa di sicuro
interesse processuale, perché Cosima Serrano non ha mai parlato».
Il professor Coppi
vuole arrivare presto in Cassazione per dimostrare l’innocenza di
Sabrina. «Questo ergastolo è il più grande cruccio della mia carriera», ha
spiegato in un’intervista alla giornalista Ilaria Cavo. «Ci sto consumando la
mia vita, perché sapere che una ragazza di 23 anni – per me innocente – sta
marcendo in carcere con una condanna all’ergastolo, mi toglie il sonno».
«Sabrina è innocente» continua a sostenere Coppi in tutte le sedi, anche quando
si occupa di vicende complesse e complicate come quelle dell’ex premier Silvio
Berlusconi oppure, restando in ambito tarantino, dell’Ilva, visto che difende
delle società della famiglia Riva (fatto che lo porterà a rinnovare il duello
con gli stessi pm e probabilmente con gli stessi giudici togati della corte
d’assise).
«Insomma chiunque
abbia riferito fatti e ricordi favorevoli alle tesi difensive adesso rischia di
trovarsi sotto processo» commenta Franco De Jaco, difensore di Cosima. Su
Avetrana una cappa di dubbi, dolore e rabbia. Mentre a via Deledda, la strada
della villetta Misseri, continua il via vai di telecamere e curiosi.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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