BENI CONFISCATI ALLA MAFIA: FACCIAMO CHIAREZZA! NON E’
COSA LORO!
“Cose nostre: per un uso sociale dei beni confiscati
alla mafia” recita il titolo di un convegno tenuto il 12 febbraio 2015 a
Manduria nel tarantino e promosso dai Verdi e dal movimento Giovani per
Manduria. A relazionare sul tema son venuti da Mesagne, nel brindisino, quelli
di “Libera” ed erano presenti soggetti istituzionali di Manduria e di Mesagne.
“Cose nostre” si affermava nel titolo del convegno,
mutuata dallo spot nazionale di “Libera” come se di una espropriazione
proletaria si trattasse.
La Gazzetta del Mezzogiorno e Manduria Oggi ha dato
ampio risalto all’evento.
Già nel marzo 2010 si leggeva su La voce di Manduria
che "Il comune bandirà una gara per l'affidamento alle associazioni di
tutti i 25 beni (terreni ed immobili) confiscati alle due famiglie mafiose
Stranieri e Cinieri di Manduria. I primi tre lotti riguardano l'ex ristorante
Tutti Frutti ed altre due villette a San Pietro in Bevagna. L'associazione
contro le mafie, Libera, coordinerà i progetti finanziati dalla Regione Puglia.
Già da allora “Libera” voleva mettere le mani sui beni
manduriani, non riuscendoci.
Si legge su Manduria Oggi del 3 dicembre 2014
«Quando la Regione Puglia, nel 2010 varò il progetto “Libera il Bene”, una
iniziativa che promuoveva, con finanziamenti, il recupero e il riuso dei beni
confiscati, nessun ente locale della provincia di Taranto partecipò, perdendo
così una occasione preziosa» ricorda Anna Maria De Tomaso Bonifazi, referente
per la provincia dell’associazione “Libera”. «Più volte “Libera”, fin dal 2004,
ha chiesto di conoscere lo stato degli immobili confiscati sia al Comune di
Taranto che a quello di Manduria, ricevendo risposte evasive. Eppure proprio a
Manduria, in un periodo di commissariamento del Comune, il Prefetto di Taranto
e i referenti nazionali di “Libera” riuscirono finalmente a mettere a bando i
beni confiscati. Ma ci accorgemmo ben presto che si trattò di una vittoria di
Pirro, perché, con l’elezione del nuovo Consiglio Comunale, il sindaco che si
insediò annullò tutto e, di fronte alle rimostranze di “Libera”, non seppe
fornire spiegazione alcuna, se non rifacendosi ad una decisione del segretario
generale del Comune».
Vorrei, se possibile, come presidente nazionale della
“Associazione Contro Tutte le Mafie”, associazione antiracket ed antiusura
riconosciuta dal Ministero dell’Interno, in quanto iscritta presso la
prefettura di Taranto dal 2006, ma non facente parte della sfera di Libera,
contribuire a far chiarezza su un dato, tenuto conto che nei convegni si devono
sentire tutte le campane e fare compendio, specialmente se in quel convegno di
diritto si avrebbe avuto interesse a prendere la parola. Non foss’altro
per spirito territoriale, avente la sede legale a 10 km da Manduria. E
non è per spirito polemico, ma per ragioni di verità, per non far passare
dei principi non esatti ma ritenuti come tali, in virtù dell’ampia visibilità
che a “Libera” si dà. Opinioni secondo scienza e coscienza forte delle mansioni
nazionali che ricopro.
Si spera che la mia precisazione abbia lo stesso
risalto che si è dedicato ai presenti al convegno.
Descrizione del Fenomeno, si legge sul
sito della Commissione Nazionale Antimafia. Uno degli elementi fondamentali per
sconfiggere le mafie è procedere al loro impoverimento confiscando loro tutti i
beni e i patrimoni acquisiti mediante l'impiego di denaro frutto di attività
illecite. Si tratta di un principio fondamentale che Pio La Torre, segretario
regionale del partito comunista in Sicilia e parlamentare della Commissione
antimafia, ucciso a Palermo il 30 aprile 1982, capì in modo molto chiaro.
Infatti, la legge che successivamente introdurrà nel codice penale italiano
l'articolo 416-bis e altre norme, denominate misure patrimoniali, che consentono la
confisca dei capitali mafiosi, porta il suo nome insieme a quello dell'allora
Ministro dell'Interno, Virginio Rognoni. I beni dei quali sia stata accertata
la proprietà da parte di soggetti appartenenti alle organizzazioni mafiose
vengono confiscati, vale a dire sottratti definitivamente a coloro che ne
risultano proprietari. Questi beni sono rappresentati da immobili (case,
terreni, appartamenti, box, ecc.), da beni mobili (denaro contante e titoli) e
da aziende. Secondo quanto previsto dalla legge 7 marzo 1996, n. 109, una legge
di iniziativa popolare sostenuta dalla raccolta di un milione di firme da parte
dell'associazione Libera, i beni immobili possono essere usati per finalità di
carattere sociale. Questo significa che essi possono essere concessi dai
comuni, a titolo gratuito, a comunità, associazioni di volontariato,
cooperative sociali e possono diventare scuole, comunità di recupero per
tossicodipendenti, case per anziani, ecc. Nelle regioni meridionali, ad
esempio, sono sorte delle Cooperative sociali di giovani che coltivano terreni
confiscati alle organizzazioni mafiose producendo pasta, vino e olio. In base
alle previsioni della legge finanziaria 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296,
comma 201-202) i beni confiscati possono essere assegnati anche a Province e Regioni.
I beni immobili non assegnati ai comuni sono acquisiti al patrimonio dello
Stato e vengono utilizzati per finalità di giustizia, ordine pubblico e
protezione civile. I beni mobili vengono trasformati in denaro contante, il
quale viene successivamente depositato in un apposito fondo prefettizio. Le
aziende vengono vendute, date in affitto o messe in liquidazione. Il ricavato
viene versato nel fondo prefettizio. La Cancelleria dell'Ufficio giudiziario
provvede a comunicare il provvedimento definitivo di confisca ai seguenti
soggetti: l'Ufficio del territorio del Ministero delle Finanze, il Prefetto, il
Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno. L'Ufficio del
territorio una volta stimato il valore del bene da assegnare sente il Prefetto,
il Sindaco, l'Amministrazione ed entro novanta giorni formula una proposta
finalizzata all'assegnazione del bene. È il Direttore Centrale del Demanio che
entro trenta giorni emette il provvedimento di assegnazione.
Bene. Su tutti i territori italiani
operano delle associazioni distribuite per competenza provinciale ed iscritte
presso le rispettive Prefetture. Dichiarazione,
relazione e documentazione comprovante l’attualità dei requisiti e delle
condizioni prescritte di cui agli artt. 1 e 3 del regolamento (DM 220 del
24/10/2007) recante norme integrative ai regolamenti per l’iscrizione delle
associazioni e organizzazioni previste dall’art. 13, comma 2, L. 44/99 e
dall’art. 15, comma 4, L. 108/96.
Associazioni antimafia che operano per assistere le
vittime di estorsione ed usura, molte delle quali non fanno capo a Libera, che,
spesso, presso la CGIL fa eleggere domicilio alle delegazioni locali.
Quindi sfatiamo un fatto: i beni confiscati non sono
roba loro, ossia di “Libera”.
Un’altra cosa. I beni già sequestrati in odor di
mafia, si confiscano solo a sentenza di condanna definitiva. In caso contrario
tornano ai legittimi proprietari. Ma di altre questioni nei convegni di cui si
parla ci si dovrebbe occupare: Ossia denunciare pubblicamente quello che la
gente non sa circa gli interessi economici e politici che ruotano intorno ai
beni sequestrati, prima, ed eventualmente confiscati, poi...
Che fine ha fatto la “robba” dei boss? L’ Antimafia al
lavoro sui dossier. «Da più parti riceviamo
denunce che rivelano la persistenza di molte ombre nella gestione dei beni
confiscati alla mafia», ha spiegato Nello Musumeci, presidente della
commissione regionale (siciliana ndr), che sta analizzando l’utilizzo delle
ricchezze sottratte a Cosa nostra, scrive Giuseppe Pipitone su “L’Ora
Quotidiano”. «Dopo avere completato le trascrizioni – annuncia il
presidente dell’Antimafia – provvederemo a trasmettere il documento anche
all’autorità giudiziaria. Abbiamo riferito al prefetto (Postiglione ndr) che in
un anno e mezzo la commissione ha raccolto il grido di allarme di giornalisti,
amministratori, imprenditori e rappresentanti dei lavoratori che denunciano la
persistenza di molte ombre nella gestione dei beni tolti alla mafia». «In
alcuni casi – ha spiegato Musumeci – si tratta di denunce di vere e proprie
incompatibilità, situazioni preoccupanti. In altri casi abbiamo riscontrato la
concentrazione di molti incarichi nelle mani di un unico amministratore e
tentativi di favorire società e studi professionali». Palermo è la capitale
della ”robba” dei boss. Il quaranta per cento di tutti i beni
confiscati a Cosa Nostra, infatti, si trova nel capoluogo siciliano. Ed è
proprio da Palermo che arriverà il primo dossier con le anomalie sulla gestione
degli immobili confiscati alla mafia. Un patrimonio imponente: più di diecimila
immobili, mille e cinquecento aziende, più di tremila beni mobili. Numeri che
fanno dell’Agenzia per i beni
confiscati, creata nel 2009 per gestire “la robba dei boss”, la prima holding
del mattone d’Italia. E probabilmente anche la più ricca: il valore dei beni
confiscati alle mafie, infatti, si aggira intorno ai 25 miliardi di euro. Un
vero tesoro, che però spesso non riesce ad essere restituito alla collettività.
A Palermo, per esempio, sono solo 1.300 i beni assegnati su un totale di 3.478.
“Da più parti riceviamo, in audizione, denunce che rivelano la persistenza di
molte ombre nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Denunce che, dopo le
trascrizioni, trasmetteremo alla magistratura e al ministero dell’Interno per
le necessarie verifiche”, ha spiegato ieri Nello Musumeci, presidente della commissione regionale
Antimafia, che sta lavorando ad un dossier sulla gestione dei beni confiscati.
Proprio ieri la commissione Antimafia ha ascoltato la deposizione del prefetto Umberto Postiglione, che ha
sostituito Giuseppe Caruso
alla guida dell’Agenzia. “Insieme alla commissione Lavoro dell’Assemblea
regionale siciliana – ha continuato Musumeci – stiamo elaborando una proposta
di modifica della legge nazionale vigente ponendo particolare attenzione
due problemi: la tutela dei dipendenti di quelle aziende che spesso chiudono
dopo la confisca; il patrimonio di edilizia abitativa da destinare, a nostro
avviso, alle famiglie indigenti e alle Forze dell’ordine piuttosto che restare
inutilizzato e in completo abbandono”. L’emergenza principale è forse
rappresentata dai dipendenti delle aziende sottratte a Cosa Nostra. La maggior parte delle
società confiscate, infatti, finisce per fallire, e i dipendenti rimangono
senza lavoro. Questo perché il codice antimafia recentemente approvato, che ha
preso il nome del ministro Angelino
Alfano, prevede la liquidazione di tutti i crediti non appena
l’amministratore giudiziario prende possesso della società. “Significa che se
questa norma venisse intesa in senso rigido, il tribunale deve procedere a
liquidare il 70 per cento dell’impresa per pagare tutti i crediti: e quindi non
resterebbe alcuna risorsa per continuare a far vivere l’azienda”, spiega il
procuratore aggiunto di Reggio Calabria
Gaetano Paci. Con il risultato che dopo la confisca gli ex
dipendenti delle aziende di Cosa Nostra rimangono senza lavoro. “Con la mafia
si lavora, con lo Stato no” gridavano negli anni ’80 gli operai delle prime
aziende confiscate a Cosa Nostra. Oggi la situazione non sembra particolarmente
migliorata. Un segnale poco incoraggiante, pericolosissimo in
una terra come la Sicilia che di segnali vive e si alimenta. Questo vale per la
Sicilia, così come vale per tutta l'Italia.
Spero di aver dato un contributo costruttivo al
dibattito.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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