Le speculazioni della Rai su Sarah Scazzi.
Un processo pubblico che diventa cosa privata.
La Rai impedisce l’uso pubblico delle immagini del
processo di primo grado per il delitto di Sarah Scazzi.
Un aspetto che i giornalisti stanno bene attenti a non
approfondire.
La Rai si è aggiudicata l’esclusiva televisiva del processo
più mediatico della storia: a quale costo?
A chi sono andati i diritti tv per le riprese
esclusive del processo a Taranto? Al solo privilegio della tv di Stato in
dispregio della libera concorrenza, o qualcuno ci ha guadagnato, perlomeno in
visibilità?
I difensori di Sabrina e Cosima si sono duramente
opposti alla riprese televisive del
processo e, in particolare, delle loro assistite. La Procura si è dimostrata
favorevole alle riprese, così come la famiglia di Sarah. Cesarina Trunfio,
presidente della Corte d’Assise di primo grado, ha stabilito il divieto di ripresa
per tutte le telecamere, tranne per quelle della trasmissione "Un giorno
in Pretura", in onda su Rai3.
Il programma poi si impegnerà ad inoltrare le riprese
alle altre trasmissioni. Per quanto riguarda la trasmissione integrale del
dibattimento, sarà consentita a definizione del processo, e quindi dopo la
sentenza di primo grado.
Perché questa discriminazione mediatica? Perché questo
uso monopolistico del diritto di cronaca?
La Rai ha cessato ogni rapporto con youtube, dove i
suoi video erano visibili nel suo canale predisposto e da cui si potevano
estrapolare o inserire nelle pagine di terzi, previo rispetto dell’indicazione
di autore e testata. Poca remunerazione dissero. Oggi chi vuol visionare i
video Rai deve purgarsi con 30 secondi di pubblicità e comunque l’utente non può
scaricare il filmato con le immagini del processo, alla faccia dell’impegno dell’inoltro
alle altre trasmissioni. A prescindere dall’obbligo posto dalla magistratura
tarantina, c’è
un articolo, nella legge sul diritto d’autore, che rappresenta, mutata
mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair
dealing: è l’art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma
recita: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di
opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di
critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non
costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati
a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre
avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” Questa norma è
la massima espressione del concetto di libera utilizzazione.
Eppure
la Rai contesta ogni video riprodotto da terzi su Youtube senza scopo di lucro
ed a fini di critica, cronaca, divulgazione scientifica, a costo di far
chiudere i suoi canali, reclamando la violazione del Copyright: “Dopo aver esaminato
la contestazione, Rai ha deciso che il reclamo per violazione del copyright è
ancora valido”. Così avvisa Youtube dopo la segnalazione della contestazione.
La
Rai è un’azienda pubblica e di pubblico dominio sono le sue opere. Anche perchè
gli utenti, in qualità di contribuenti fiscali e pagatori del canone,
finanziano la Rai e sono di diritto soci e quindi proprietari delle opere prodotte
dall’emittente di Stato.
Perché
speculare su un delitto, impedendo da divulgazione delle fasi del processo, fregarsene
delle norme sul diritto d’autore, disobbedire agli ordini del giudice di
Taranto e far finta di niente?
Le
fasi del processo sul delitto di Avetrana non devono cadere nell’oblio, ma devono
essere visionate e ben conosciute per poter trarre giusto giudizio senza
mediazione opinabile.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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