DIRITTO
D’AUTORE E FINANZIAMENTO PUBBLICO. IL COPYRIGHT DEI CITTADINI.
In questa
Italia, quanto vale il diritto del cittadino, rispetto al diritto della lobby
dell’informazione?
Il cittadino
utente è titolare del diritto d’autore rispetto alle opere intellettuali
prodotte da aziende che si finanziano totalmente o parzialmente con i soldi
pubblici: quindi, opere pagate dallo stesso cittadino contribuente?
Queste sono
le risposte che nessun giornalista darà mai. Sfido la Milena Gabanelli e la
redazione di Report a trattare questo tema delicato. Lei che lavora in Rai ed
al Corriere della Sera.
La tematica
da approfondire è nata sulla diatriba dell’uso libero a fini non commerciali
dei video e specialmente sull’utilizzo dei video soggetti al diritto di cronaca
pubblicati sul web.
Insomma si
parla del divieto persistente di scaricare e pubblicare liberamente su youtube
il video di terzi.
Per quanto
riguarda l’impedimento dello scarico dei suoi video da parte di Mediaset si
potrebbe prospettare una ragione palesata dal suo spot sulle reti del Biscione:
“Qui non
incassiamo finanziamenti pubblici
qui non
siamo colossi americani
qui contiamo
solo sulle nostre forze
e qui ogni
mattina arrivano migliaia di persone
che cercano
di fare il massimo per regalare una televisione moderna, vivace e completa.
Undici reti
gratuite e centinaia di programmi in onda ogni giorno, anche su Internet.
Che non ti
costano niente, niente.
Nemmeno un
bollettino postale.
Così… giusto per ricordarlo.”
Al contrario
la Rai è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo; percepisce, come
finanziamento pubblico, un canone pagato dai cittadini e stabilito per legge;
con denaro pubblico vengono ripianificati i passivi di cui l'azienda è gravata;
è una impresa a carattere pubblico, con finalità non legate al profitto; per le
prerogative suddette deve assicurare una comunicazione (politica, culturale, di
intrattenimento) equa e qualificante.
Secondo le
previsioni della riforma del canone Rai l’importo massimo dovrebbe oscillare
intorno ai 60 euro, il minimo intorno ai 35 euro. L’introito stimato per
finanziare il servizio pubblico sarà intorno ai 2 miliardi, rispetto al
miliardo e 700 milioni attuale, anche grazie a parte dei proventi che lo Stato
ricava da tutti i Giochi, compresa la Lotteria Italia.
Ergo la Rai
è servizio pubblico e quindi risponde al cittadino contribuente utente.
Eppure su
“Il Corriere della Sera” on line del 6 giugno 2014 si legge “Quaranta video. E’
quanto rimane degli oltre 40 mila video storici del canale YouTube della Rai.
Nei giorni scorsi, come raccontato anche dal Corriere della Sera, era stato
annunciato: i filmati verranno rimossi tutti i 40.000 mila video verranno
progressivamente smantellati da YouTube e trasportati sulla piattaforma Rai.tv.
E lo stesso accadrà anche per la grande quantità di materiale collocato su
YouTube da singoli utenti che hanno ripreso, anche artigianalmente, intere
trasmissioni o singole parti: video che comunque appartengono alla Rai. Morale,
tutti i video - anche quelli storici - spariscono dal canale. Il rapporto tra
la piattaforma video e viale Mazzini si è chiuso senza incidenti. E la
motivazione è di tipo prettamente economico. Il ritorno economico di 700 mila
euro all’anno è stato considerato insoddisfacente dalla Rai. Da qui la
decisione di rimuovere i contenuti dalla piattaforma di Mountain View e di
trasferirli su un portale Rai. Morale, per il momento, su YouTube rimangono
solo 40 clip. La più vista? «Non ci resta che...», con un’intervista a Massimo
Troisi, scomparso 20 anni fa. Poi il link al portale RaiTv per vedere
l’intervista integrale.”
Andiamo ai
giornali. Se infatti è vero che grandi testate come Il Corriere della Sera,
Repubblica, Il Sole 24Ore, non ricevono sussidi diretti, è
altrettanto vero che beneficiano ogni anno, come tutti gli altri giornali, dei
cosiddetti contributi indiretti: un mare magnum all'interno del quale è
difficile orientarsi e che è quasi impossibile censire, visto che le varie
agevolazioni fanno riferimento a diversi ministeri e organi di competenza,
scrive Gabriella Colarusso su “Lettera 43”. Il grosso dei contributi indiretti
ai giornali viene dalle riduzioni fiscali e dalle «forfetizzazioni dell'Iva
sulle rese». I quotidiani cartacei infatti pagano l'Iva al 4%, agevolazione che
non è concessa anche alle testate giornalistiche online perché la direttiva
europea sul commercio elettronico non riconosce loro questo beneficio. Non
solo, i giornali di carta hanno anche la possibilità di forfetizzare l'Iva
sulle rese (art. 74, dpr 633): l'imposta cioè non viene pagata sulle copie
effettivamente restituite, non vendute, ma calcolata a forfait. Si tratta non
di soldi dati direttamente ai quotidiani o ai periodici ma di mancate entrate
per lo Stato, il cui importo è quasi impossibile conoscere visto che non
risulta agli atti del bilancio della presidenza del Consiglio. È
l'«Agenzia delle Entrate che ha questi dati», dice una fonte ministeriale a Lettera43.it,
«ma finora non li ha resi noti».
Dice il Dr
Antonio Giangrande: di questo come di tante altre manchevolezze dei media
petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura
ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema
Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono
scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia
del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono
valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati,
all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su
Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di
lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu .
Parlando con un giornalista di un noto quotidiano nazionale - continua il
dr Antonio Giangrande, sociologo storico - dopo averne tessuto le lodi per un suo coraggioso video
servizio, scaricato da me tal quale da un canale youtube e divulgato sui miei
canali web senza profitto, e di cui mi segnalava la mancanza del logo de “Il
Corriere della Sera” detentore dei diritti, ho avuto contezza del problema che
ha dato spunto a questa inchiesta.
Giornalista
A.C.: “Gentile dott. Giangrande, mi hanno appena linkato il canale youtube
dell’Associazione contro tutte le mafie, di cui lei è presidente, con la
raccolta delle mie inchieste sulle carceri. La ringrazio per l’attenzione ma la
pregherei di inserire la fonte da dove ha preso quei video, ossia il sito del
Corriere della Sera, nonché di inserire i link originali delle
videoinchieste . La precisazione è doverosa poiché il Corriere della Sera
detiene i diritti d’autore delle mie opere (quindi non basta citare l’autore)
ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la pubblicazione, tanto più che
dai video caricati su YouTube risulta tagliato il logo CorriereTv in alto a
destra che ne indica la proprietà. Sicuro di un suo sollecito riscontro,
le porgo cordiali saluti”.
Giangrande:
“Le porgo le mie scuse, oltre che annunciarle la mia ammirazione. In 20 anni,
su 70 libri scritti e pubblicati e centinaia di video montati e pubblicati,
nell’indifferenza generale dei media, è la prima volta che qualcuno sollecita
una modifica al mio lavoro. Faccio ammenda ed ho già provveduto alla sua
sollecitazione, visibile sulla presentazione del video in oggetto,
annunciandole che la modifica è possibile sulla presentazione, ma non nel
video, in quanto gli spezzoni originali usati e tratti da altre fonti erano già
di per sé sguarniti del logo. Salutandola cordialmente le indico che questa è
la modifica inserita in presentazione. Ove non bastasse, mi si solleciti la
cancellazione totale del video ed io lo farò, tenendo presente comunque che
attraverso il mio canale decine di migliaia di utenti usufruiscono della
visione. - Inchiesta video del bravo e coraggioso giornalista A.C.,
pubblicata su you tube in vari video e su varie fonti, che ne hanno consentito
la copia ed il montaggio. Da queste fonti è omessa l’indicazione del logo del
detentore dei diritti di pubblicazione. Mancanza non riconducibile al curatore
di questo video, ossia il dr Antonio Giangrande, che immediatamente provvede a
precisare su sollecitazione dell’autore. La precisazione è doverosa poiché il
Corriere della Sera detiene i diritti d’autore delle opere dell’autore (quindi
non basta citare l’autore) ed è l’unico soggetto legittimato a disporne la
pubblicazione, tanto più che dai video caricati su YouTube risulta tagliato il
logo CorriereTv in alto a destra che ne indica la proprietà. Di seguito si
indica la fonte ….. Il video serve a sollecitare l’interesse dell’opinione
pubblica ed a far conoscere la problematica e l’autore che se ne è interessato,
attraverso i canali di una associazione nazionale antimafia riconosciuta dal
ministero dell’interno. Uso del video non a fini commerciali. E’ interesse
del detentore dei diritti sollecitare l’immediata cancellazione del video, nel
caso in cui non aderisse all’iniziativa benefica. Si dà il caso che, invece,
sul libro anche a lettura libera “Giustiziopoli. Ingiustizia contro i singoli”,
saggio esclusivo d’inchiesta sulla giustizia italiana, ogni articolo di stampa
riporta autore e testata di riferimento con il link che riporta all’articolo
originale…..Si cerca di fare servizio pubblico, disinteressato e con ritorsioni
impunite e taciute, nel rispetto della legalità. Per questo si ringraziano i
detentori del copy right dei pezzi di cui non si è chiesta la cancellazione”.
Giornalista
A.C.: “La ringrazio per le parole di stima. I suggerimenti che le davo erano
per evitare che si attivi l’ufficio legale del Corriere. Ho visto che nel testo
ha inserito le precisazioni ma il video risulta ancora senza logo CorriereTv.
Se guarda il link che le ho inviato può vedere che il logo c’è e c’è sempre
stato. Pertanto le suggerirei di prendere le videoinchieste nella loro
interezza come da pubblicazione.”
Giangrande:
“Dr A.C. il video in oggetto ha avuto 27.613 visioni e non sono pochi,
tenuto conto dell’argomento che tira poco, rispetto alla visione di tette e
culi che vanno per la maggiore. Questo è anche merito del canale divulgativo
con i canali ad esso associati. Canali che non ricevono emolumenti da You Tube
per la pubblicità, nonostante le 50 mila visioni settimanali dei suoi video.
Con questo
mio video ho voluto dare onore a lei, e solo a lei, per il lavoro svolto,
rimarcando il nome dell’autore. Del fatto che il Corriere ne detenesse i
diritti non ne ero a conoscenza, fino a quando non mi è arrivata la notizia da
lei, tanto è vero che i video li ho tratti da….. Video pubblici e liberamente
scaricabili. Youtube mi ha comunicato la semplice violazione di brani, che
colpiscono il video sin dall’origine e che ne vietano la visione in Germania…..Una
cosa le voglio precisare: Il Corriere della Sera, a differenze di La Repubblica
o altri giornali con TV web, non permette assolutamente lo scarico dei suoi
video, o così risulta a me. I video di La Repubblica ed altri si possono
scaricare per pubblico interesse, attinenza e verità. Essi sono già con il logo
incorporato ed il nome dell’autore. E’ scandaloso non poter scaricare i video,
se il Corriere percepisse il finanziamento pubblico per l’editoria. In tal caso
il diritto d’autore dovrebbe essere condiviso col pubblico, come dovrebbe
essere per la Rai. Anche in questo caso ci troviamo a non poter scaricare i
video, nonostante da pagatori del canone siamo piccoli azionisti della RAI.
Visionarli e sciropparci preventivamente la pubblicità, invece sì, ci è
permesso. Comunque, per gli effetti dell’impedimento, anche se volessi, non
potrei riprogrammare il video. A questo punto, non potendomi permettere una
lite con il Corriere, né con chicchessia; Avendo già ampie ritorsioni per
quello che io faccio, e che nessuno fa, contro i poteri forti: specialmente i
magistrati, che in galera ci mandano, spesso, gli innocenti. Non avendo amici a
cui chiedere aiuto, né sovvenzionamenti, non essendo di sinistra, e non essendo
Libera; Essendo già vittima predestinata di ritorsioni impunite; Tenendo alla
mia onorabilità ed alla mia missione improntata alla difesa della legalità, in
estrema gratuità, non mi rimane che eliminare il video dal mio canale, così la
forma è fatta salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri
video trattanti il tema. In questo modo tutti saremo contenti, meno la libertà
dell’informazione: la verità esiste solo se conosciuta e certamente non va
remunerata. Ogni forma divulgativa va sfruttata. Mi spiace per lei, il cui nome
non sarà più accomunato ad una giusta battaglia. Ed è quello che fino ad oggi
ho voluto fare. Con ossequi, rimanendo intatta la mia stima per lei.”
Giornalista
A.C: “Non sto qui a discutere la sua personale interpretazione del diritto
d’autore (lei vuole scaricare gratis ciò che altri hanno pagato senza neanche
chiedere il permesso). I video che segnala non sono pubblici e nemmeno
liberamente scaricabili, presto o tardi verranno bloccati da chi ne detiene i
diritti, avendoli pagati. Stia tranquillo che la libertà di informazione su
questo tema non sarà intaccata. Tutte le videoinchieste sulle carceri sono
liberamente visionabili con una semplice ricerca su google, sono stabilmente in
home page sul sito del Corriere (home- inchieste - Le nostre prigioni) e non
hanno bisogno di pubblicità avendo superato le migliaia di visualizzazioni.
Inoltre periodicamente sono riprese dai vari network che ne hanno interesse
previo consenso del Corriere. Nessuno le ha imposto di togliere i video ma di
citarli correttamente e mandarli in onda senza alterazioni rispetto
all’originale. Se questo per lei rappresenta una difficoltà allora fa bene ad
eliminarli. Può piacere o meno ma questi sono i doveri e hanno pari dignità dei
diritti. La ringrazio per le intenzioni più felici e nobili, spero di esserle
stato di aiuto in qualche modo.”
Non ho
voluto andare in polemica, sicuro della piega che il seguito avrebbe avuto.
Passare per stravagante ed ignorante va bene, ma avevo ben fatto intendere che
tenendo alla mia onorabilità ed alla mia missione
improntata alla difesa della legalità, in estrema gratuità, non mi rimaneva che
eliminare il video dal mio canale, non potendolo modificare, né lo potevo
scaricare direttamente da “Il Corriere della Sera”. Così la forma è fatta
salva, mentre per la sostanza non mancherò di produrre altri video trattanti il
tema.
Ma la
doverosa precisazione va data a tutti quelli che pensano di detenere lo scettro
della verità e questo potere usato per far poltiglia nell’opinione pubblica.
Per prima
cosa va detto, per chi è digiuno di giurisprudenza, che il Diritto materiale
nasce su volontà di una maggioranza storica in Parlamento, spesso trasversale e
molte volte influenzata da lobbies di potere. Solo per questo la maggioranza in
Parlamento ha sempre ragione, traviando l’interesse della maggioranza dei
cittadini. Comunque dura lex, sed lex.
Per secondo
va precisato che non è degno di vanteria il fatto che qualcuno paghi dei
diritti, arrogandone la proprietà, con i soldi di terzi (i cittadini), a cui
poi se ne nega la paternità.
Queste
convinzioni, essendo tacciate di opinioni, vanno supportate da fatti, iniziando
proprio da quel brocardo “dura lex, sed lex”.
C'è un articolo, nella legge sul diritto d'autore, che rappresenta, mutata
mutandis, quello che in altri paesi del mondo viene chiamato fair use e fair
dealing: è l'art. 70 della Legge 22 aprile 1941 n. 63, che al primo comma
recita: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di
parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati
per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e
purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se
effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali." Questa
norma, massima espressione del concetto di libera utilizzazione, è sempre più
dimenticata ed ignorata, scrive “Movimento Costo Zero”.
Addirittura c'è chi sostiene, come Enzo Mazza, presidente di FIMI (Federazione
Industria Musicale Italiana) che "l'uso di materiale coperto da diritti
senza autorizzazione è sempre illecito, le storie sull'education ecc. sono
bufale che girano in rete". Ad affermazioni di questo genere, fanno eco le
spiegazioni delle denunce che SIAE ha indirizzato verso i gestori di siti
didattici e culturali: ecco che la citazione parziale di un'opera, così come
permessa dall'art. 70, diventa una manipolazione (non gradita: ma la lesione
dell'onore e della reputazione non dovrebbe essere rilevata dagli autori o dai
loro eredi?) dell'opera stessa, che SIAE, non si capisce a che titolo (visto
che il mandato SIAE può avere ad oggetto soltanto i diritti di utilizzazione
economica), avrebbe il dovere di sanzionare.
"Il giornalista è uno che, dopo, sapeva tutto prima". (Karl
Kraus), scrive Dagoreport su “Dagospia”. “Il Salario (confutato)
dell’impostura. "Su un punto la tranquillizzo: i contributi pubblici ai
giornali indipendenti come il nostro sono oggi (per fortuna) inesistenti. I
nostri stipendi ce li pagano lettori e inserzionisti". L'impudica
rispostina di Sergio Rizzo ("contributi inesistenti") appariva sotto
la lettera di un ingenuo deputato, Silvano Moffa, che si lagnava per la
campagna anti parlamentari del Corrierone. Per altro, meritevole. Nonostante le
omissioni. Si tratta presidente della Commissione lavoro della Camera che una
volta ricevuti i pesci in faccia dal Corriere, si troverà nell'aula di
Montecitorio a votare l'ennesima proroga milionaria ai Signori dell'editoria.
Almeno fino al 2014, secondo la promessa di Monti. Una missiva garbata e argomentata in cui il povero Moffa, en passant, ricordava al Gabibbo (impunito) i contributi pubblici versati all'editoria (un miliardo di euro annui) con cui anche i giornalisti arrotondano lo stipendio. Magari turandosi il naso o ignorandone addirittura la puzza (di provenienza). Ma i professionisti dell'Anti casta sono fatti così. Moralisti à la carte. Tant'è che al momento di andare al "mercatino delle pulci" (altrui) non guardano mai cosa si vende (di guasto) sulle proprie bancarelle dove acquistano per mangiare. E fanno finta di non vedere che da molto tempo i grandi giornali (Corriere, Repubblica, Stampa etc) sono in mano ai Poteri marci. E che questi giornaloni, come ha osservato Salvatore Bragantini (autorevole collaboratore del giornale in cui scrive, spesso sbugiardato, Sergio Rizzo), "sotto il profilo della cronaca economica (...) formano una formidabile flotta, che segue per lo più un'aurea massima: Cane non mangia cane". La citazione appare nel volume dal titolo eloquente: "Capitalismo all'italiana, come i furbi comandano con i soldi degli ingenui". Ma nella stampa (in genere), rovesciando una massima di Calderon de La Barca: "Il servo più furbo trova sempre che la valigia del padrone sia più leggera da portare della sua". Già, perché sembra calato dalla luna chi, proprio sul Corrierone dei "padroni del vapore", disquisisce di "giornali indipendenti" e senza prebende pubbliche. O si sente addirittura fortunato, disconoscendo persino che l'editoria non riceva soldi dallo Stato. Stiamo parlando di un miliardo annuo pagato con le tasse dei cittadini attraverso ben sette voci di sussidi: contributi diretti, credito d'imposta per investimenti, fondo mobilità e rimborsi per carta e teletrasmissioni; Iva privilegiata al 4% rispetto a un'imposta ordinaria del 20%. Un regalino da niente, da parte del governo e del parlamento. Per poi sentirsi accusare di dirigismo. E mettere in croce notai, benzinai, tassisti, avvocati, commercianti, medici e chi più ne ha più ne metta. In un recente studio del Reuter Institute for the Study of Journalism dell'Università di Oxford, tra i cinque paesi presi in esame Italia risulta al primo posto quanto a flussi di sovvenzioni pubbliche rispetto al numero effettivo dei lettori. Il campione esaminato riguarda Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nello studio si osserva pure che da questo meccanismo di aiuti (public support) non c'è "nessuna correlazione tra spesa pubblica (sussidi) e penetrazione dei giornali (copie vendute)". Come a dire? Si stratta di soldi dello Stato che finiscono al macero. Come le copie rese dalle edicole. Sergio Rizzo sembra appartenere allora a quella categoria di giornalisti che, per dirla con Francesco Giavazzi (altro editorialista di punta di Flebuccio de Bortoli), "non sanno distinguere tra gli interessi dei loro editori e le regole della trasparenza". E, spesso, neppure si avvedono "che l'essenza della libertà sta anche "nel diritto di opporsi a difendere le proprie convinzioni solo perché sono le nostre convinzioni" (Isaiah Berlin).
Almeno fino al 2014, secondo la promessa di Monti. Una missiva garbata e argomentata in cui il povero Moffa, en passant, ricordava al Gabibbo (impunito) i contributi pubblici versati all'editoria (un miliardo di euro annui) con cui anche i giornalisti arrotondano lo stipendio. Magari turandosi il naso o ignorandone addirittura la puzza (di provenienza). Ma i professionisti dell'Anti casta sono fatti così. Moralisti à la carte. Tant'è che al momento di andare al "mercatino delle pulci" (altrui) non guardano mai cosa si vende (di guasto) sulle proprie bancarelle dove acquistano per mangiare. E fanno finta di non vedere che da molto tempo i grandi giornali (Corriere, Repubblica, Stampa etc) sono in mano ai Poteri marci. E che questi giornaloni, come ha osservato Salvatore Bragantini (autorevole collaboratore del giornale in cui scrive, spesso sbugiardato, Sergio Rizzo), "sotto il profilo della cronaca economica (...) formano una formidabile flotta, che segue per lo più un'aurea massima: Cane non mangia cane". La citazione appare nel volume dal titolo eloquente: "Capitalismo all'italiana, come i furbi comandano con i soldi degli ingenui". Ma nella stampa (in genere), rovesciando una massima di Calderon de La Barca: "Il servo più furbo trova sempre che la valigia del padrone sia più leggera da portare della sua". Già, perché sembra calato dalla luna chi, proprio sul Corrierone dei "padroni del vapore", disquisisce di "giornali indipendenti" e senza prebende pubbliche. O si sente addirittura fortunato, disconoscendo persino che l'editoria non riceva soldi dallo Stato. Stiamo parlando di un miliardo annuo pagato con le tasse dei cittadini attraverso ben sette voci di sussidi: contributi diretti, credito d'imposta per investimenti, fondo mobilità e rimborsi per carta e teletrasmissioni; Iva privilegiata al 4% rispetto a un'imposta ordinaria del 20%. Un regalino da niente, da parte del governo e del parlamento. Per poi sentirsi accusare di dirigismo. E mettere in croce notai, benzinai, tassisti, avvocati, commercianti, medici e chi più ne ha più ne metta. In un recente studio del Reuter Institute for the Study of Journalism dell'Università di Oxford, tra i cinque paesi presi in esame Italia risulta al primo posto quanto a flussi di sovvenzioni pubbliche rispetto al numero effettivo dei lettori. Il campione esaminato riguarda Italia, Francia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. Nello studio si osserva pure che da questo meccanismo di aiuti (public support) non c'è "nessuna correlazione tra spesa pubblica (sussidi) e penetrazione dei giornali (copie vendute)". Come a dire? Si stratta di soldi dello Stato che finiscono al macero. Come le copie rese dalle edicole. Sergio Rizzo sembra appartenere allora a quella categoria di giornalisti che, per dirla con Francesco Giavazzi (altro editorialista di punta di Flebuccio de Bortoli), "non sanno distinguere tra gli interessi dei loro editori e le regole della trasparenza". E, spesso, neppure si avvedono "che l'essenza della libertà sta anche "nel diritto di opporsi a difendere le proprie convinzioni solo perché sono le nostre convinzioni" (Isaiah Berlin).
E la doppia morale del Corriere della Sera? Scrive “Stampa Alternativa”. La “Terza pagina” del Corriere della Sera, sabato scorso
ha deciso di trattare il libro La casta
dei giornali di Beppe Lopez, edito da Stampa
Alternativa e Rai Eri, che in un paio di settimane è stato ristampato quattro
volte e ha venduto 50 mila copie. Un successo, nonostante lo spinoso tema:
“come l’editoria italiana è stata finanziata e assimilata dalla casta
politica”. Passaparola, grande accoglienza dal mondo di Internet e dei blog,
della televisione pubblica e privata, da radio e giornali regionali. I grandi
giornali nazionali, infatti, hanno sinora ignorato o trattato il libro
marginalmente, con reticenza o sotto titoletti incomprensibili. E il motivo è
comprensibile: La casta dei giornali
racconta e documenta il portentoso flusso di danaro pubblico, circa 700 milioni
di euro all’anno, che finisce nelle casse dei grossi gruppi editoriali, rimpolpaldo
di conseguenza anche gli utili degli azionisti. Andando più nel dettaglio, si
parla di 29 milioni a Mondadori, 23 milioni a Rcs, 19 milioni al Sole 24 Ore,
16 milioni a Repubblica Espresso, eccetera. Con ovvia distorsione del mercato e
annientamento dell’editoria regionale e indipendente, e conseguente
manipolazione della circolazione delle idee e della democrazia. Ora, il
“Corriere della Sera” recensisce, meritoriamente controccorrente, l’inchiesta
di Lopez. Ma seguendo un metodo trasversale e liquidando con poche battute il
cuore del libro. Pierluigi Panza che ha scritto il pezzo ha puntato a
delegittimarlo, semplicemente parlando d’altro. Sin dal titolo: “La doppia
morale della Rai”. Si attacca la Rai, che poi è come sparare sulla Croce Rossa.
Panza si dichiara deluso, si sarebbe aspettato di “trovarci svelate le segrete
trame, i legami lobbistici, il sistema delle raccomandazioni diffuso nei
giornali con tanto di nomi e cognomi”. Si sarebbe aspettato cioè tutto un altro
libro. Magari “sul modello della Casta di Stella e Rizzo”, dove si parla
meritoriamente di tutti e di tutto, meno che dei finanziamenti pubblici
all’editoria. Ma la Rai non è quell’editore finanziato con le tasche di tutti i
cittadini? Ma la Rai, almeno, non faccia la morale agli altri, pubblicando con
i soldi dei cittadini un libro contro il finanziamento agli (altri) editori. È
il nocciolo della recensione. Ma sarebbero bastati un paio di minuti a Panza
per verificare che la partnership editoriale della Rai Eri con Stampa Alternativa
per La casta dei giornali non prevede, da
parte sua, l’esborso anche solo di un euro. Anzi, il contratto firmato dalla
due case editrici, prevede che la Rai Eri non solo non ha investito
economicamente sul progetto ma percepirà il 2% sui diritti di vendita. Sarebbe
gradita e corretta, come nella grande tradizione del “Corriere della Sera”,
pubblicare un’errata corrige al riguardo, anche perché sarebbe una beffa non
conforme alla storia di Stampa Alternativa, dopo aver garantito alla Rai Eri il
suo guadagno, passare addirittura per gli ennesimi mungitori di “mamma Rai”.
Alla bisogna
, sempre sul web si trova: Finalmente abolito il
copyright sui contenuti prodotti con fondi pubblici, scrive Simone
Aliprandi sul suo blog. Ci voleva l'intervento dei
cosiddetti "saggi" per fare questo grande passo innovativo... ma
l'importante è che sia stato fatto. Sì, perchè è proprio una mossa saggia
quella di abolire il diritto d'autore su tutto ciò che è stato prodotto da enti
pubblici e con finanziamento prevalentemente pubblico. Una condizione già
presente in altri ordinamenti giuridici e che l'Italia, presa da faccende più
urgenti, non aveva mai preso seriamente in considerazione. Ma ecco che con la
prima riunione dei "saggi" (nominati da Napolitano) tenutasi questa
mattina al Quirinale, il primo passo è stato effettuato. Dunque, testi,
immagini, video, musiche, trasmissioni televisive, contenuti multimediali, siti
web, banche dati e anche software: tutto senza vincoli di diritti d'autore e
diritti connessi a condizione che siano prodotti da un ente pubblico o che
comunque la loro produzione sia stata finanziata con fondi pubblici per più
della metà. Il provvedimento produrrebbe i suoi effetti a partire da 60 giorni
dalla data della sua formale adozione. Dunque entro quest'estate dovremmo già
riuscire ad avvantaggiarci di questa sostanziale innovazione. Negativo
ovviamente il parere del CPPC (Consorzio Produttori Pubblici di opere sotto
Copyright), il quale minaccia di sollevare al più presto una questione di
legittimità costituzionale.
Su queste
basi è nato un movimento di libertà civica “Scarichiamoli”. L'accesso pubblico
al sapere e la libera fruizione delle opere dell'ingegno rappresentano un
minimo comune denominatore per movimenti tra loro diversi, che si occupano di problemi
diversi, ma che trovano una base condivisa nello sviluppo "aperto"
della Società della Conoscenza. In armonia con i principi promossi da questi
movimenti, vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con
soldi pubblici e le opere di pubblico dominio fossero:
pubblicamente
accessibili (facilmente reperibili su Internet);
universalmente
accessibili (accessibili anche per i diversamente abili);
liberamente
fruibili (non occorre pagare per: leggere un testo, vedere un'immagine, ascoltare
una musica);
legalmente
fruibili (l'utente è certo di poter scaricare un file nella piena legalità);
ottimamente
fruibili (qualità digitale idonea a garantire una buona visualizzazione e/o un
buon ascolto).
Inoltre,
vorremmo che le opere dell'ingegno finanziate (a fondo perduto) con soldi
pubblici fossero:
persistentemente
non soggette a tutti o ad alcuni diritti di utilizzazione economica (l'autore
rilascia la propria opera con licenza free/open content persistente o con
licenza libera copyleft: innanzitutto, ciò consente a chiunque di riprodurre
l'opera e di metterla in circolazione);
persistentemente
non soggette a diritti connessi all'esercizio del diritto d'autore (altri
diritti esclusivi che impediscono, innanzitutto, di riprodurre l'opera e di metterla
in circolazione);
persistentemente
non soggette a misure tecnologiche di protezione (l'autore rilascia la propria
opera con licenza, free/open content persistente o libera copyleft, contenente
una clausola anti-TPM o più clausole anti-TPM).
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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