Cane non mangia cane. E questo a
Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo
il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che
ha scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei
magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica. Chi è amico
degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo la
riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo
nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, avendo indagato sulle loro
malefatte: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo divenni e non
per colpa mia.
Dei
magistrati già sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una
condanna penale o civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una
sanzione disciplinare.
Canzio:
caro Csm, quanto sei indulgente coi magistrati…, scrive Giovanni M. Jacobazzi il
19 gennaio 2017 su "Il Dubbio". Per il vertice della Suprema Corte
questo appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di
valutazione “non funziona”. La dichiarazione che non ti aspetti. Soprattutto
per il prestigio dell’autore e del luogo in cui è stata pronunciata. «Il 99%
dei magistrati italiani ha una valutazione positiva. Questa percentuale non ha
riscontro in nessuna organizzazione istituzionale complessa». A dirlo è il
primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio che, intervenuto
ieri mattina in Plenum a Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare questa
“anomalia” che contraddistingue le toghe rispetto alle altre categorie
professionali dello Stato. La valutazione di professionalità di un magistrato
che era stato in precedenza oggetto di un procedimento disciplinare ha offerto
lo spunto per approfondire il tema, particolarmente scottante, delle “note
caratteristiche” delle toghe. «È un dato clamoroso – ha aggiunto il presidente
Canzio che i magistrati abbiano tutti un giudizio positivo». Questo
appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di valutazione
“non funziona” e che necessita di essere “rivisto” quanto prima. Anche perché
fornisce l’immagine di una categoria particolarmente indulgente con se stessa.
In effetti, leggendo i pareri delle toghe che pervengono al Consiglio superiore
della magistratura, ad esempio nel momento dell’avanzamento di carriera o
quando si tratta di dover scegliere un presidente di tribunale o un
procuratore, si scopre che quasi tutti, il 99% appunto, sono caratterizzati da
giudizi estremamente lusinghieri. Ciò stride con le cronache che
quotidianamente, invece, descrivono episodi di mala giustizia. In un sistema
“sulla carta” composto da personale estremamente qualificato, imparziale e
scrupoloso non dovrebbero, di norma, verificarsi errori giudiziari se non in
numeri fisiologici. La realtà, come è noto, è ben diversa. Qualche mese fa,
parlando proprio delle vittime di errori giudiziari e degli indennizzi che ogni
anno vengono liquidati, l’allora vice ministro della Giustizia Enrico Costa,
parlò di «numeri che non possono essere considerati fisiologici ma patologici».
Ma il problema è anche un altro. Nel caso, appunto, della scelta di un
direttivo, è estremamente arduo effettuare una valutazione fra magistrati che
presentato le medesime, ampiamente positive, valutazioni di professionalità. Si
finisce per lasciare inevitabilmente spazio alla discrezionalità. Sul punto
anche il vice presidente del Csm Giovanni Legnini è d’accordo, in particolar
modo quando un magistrato è stato oggetto di una condanna disciplinare.
«Propongo al Comitato di presidenza di aprire una pratica per approfondire i
rapporti fra la sanzione disciplinare e il conferimento dell’incarico direttivo
o la conferma dell’incarico». Alcuni consiglieri hanno, però, sottolineato che
l’1% di giudizi negativi sono comunque tanti. Si tratta di 90 magistrati su
9000, tante sono le toghe, che annualmente incappano in disavventure
disciplinari. Considerato, poi, che l’attuale sistema disciplinare è in vigore
da dieci anni, teoricamente sarebbero 900 le toghe ad oggi finite dietro la
lavagna. Un numero, in proporzione elevato, ma che merita una riflessione
attenta. Il Csm è severo con i giudici che depositano in ritardo una sentenza
ma è di “manica larga” con il pm si dimentica un fascicolo nell’armadio
facendolo prescrivere.
Solo un rimbrotto per il pm che "scorda" l'imputato in galera, scrive Rocco Vazzana il 30 novembre 2016 su "Il
Dubbio". Il Csm ha condannato 121 magistrati in due anni. Ma si
tratta di sanzioni molto leggere. Centoventuno condanne in più di due anni. È
il numero di sanzioni che la Sezione Disciplinare del Csm ha irrogato nei
confronti di altrettanti magistrati. Il dato è contenuto in un file che in
queste ore gira tra gli iscritti alla mailing list di Area, la corrente che
racchiude Md e Movimenti. Su 346 procedimenti definiti - dal 25 settembre 2014
al 30 novembre 2016 - 121 si sono risolti con una condanna (quasi sempre di
lieve entità), 113 sono le assoluzioni, 15 le «sentenze di non doversi
procedere» e 124 le «ordinanze di non luogo a procedere». L'illecito
disciplinare riguarda «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga, in
ufficio o fuori, una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e
della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio
dell'ordine giudiziario». Le eventuali condanne hanno una gradazione articolata
in base alla gravità del fatto contestato. La più lieve è l'ammonimento, un
semplice «richiamo all'osservanza dei doveri del magistrato», seguito dalla
censura, una formale dichiarazione di biasimo. Poi le sanzioni si fanno più
severe: «perdita dell'anzianità» professionale, che non può essere superiore ai
due anni; «incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o
semidirettivo»; «sospensione dalle funzioni», che consiste nell'allontanamento
con congelamento dello stipendio e con il collocamento fuori organico; fino
arrivare alla «rimozione» dal servizio. C'è poi una sanzione accessoria che
riguarda il trasferimento d'ufficio. Per questo, la sezione Disciplinare può
essere considerata il cuore dell'autogoverno. Perché se il Csm può promuovere
può anche bloccare una carriera: ai fini interni non serve ricorrere alle pene
estreme, basta decidere un trasferimento. E a scorrere il file con le
statistiche sui procedimenti disciplinari salta immediatamente all'occhio un
dato: su 121 condanne, la maggior parte (90) comminano una sanzione non grave
(la censura) e 11 casi si tratta di semplice ammonimento. Le toghe non si
accaniscono sulle toghe. La perdita d'anzianità, infatti, è stata inflitta solo
a dieci magistrati (due sono stati anche trasferiti d'ufficio), mentre sette
sono stati rimossi. Uno solo è stato trasferito d'ufficio senza ulteriori
sanzioni, un altro è stato sospeso dalle funzioni con blocco dello stipendio,
un altro ancora è stato sospeso dalle funzioni e messo fuori organico. Ma il
dato più interessante riguarda le tipologie di illecito contestate. La maggior
parte dei magistrati viene sanzionato per uno dei problemi tipici della
macchina giudiziaria: il ritardo nel deposito delle sentenze, quasi il 40 per
cento dei "condannati" è accusato di negligenze reiterate, gravi e
ingiustificate. Alcuni, però, non si limitano al ritardo: il 4 per cento degli
illeciti, infatti, riguarda «provvedimenti privi di motivazione», come se si
trattasse di un disinteresse totale nei confronti degli attori interessati. Il
23 per cento delle condanne, invece, riguarda una questione che tocca
direttamente la vita dei cittadini: la ritardata scarcerazione. E in un Paese
in cui si ricorre facilmente allo strumento delle misure cautelari, questo tipo
di comportamento determina spesso anche il peggioramento delle condizioni
detentive. Quasi il 10 per cento dei giudici e dei pm è stato sanzionato poi
per «illeciti conseguenti a reato». Solo il 6,6 per cento delle condanne,
infine, è motivato da «comportamenti scorretti nei confronti delle parti,
difensori, magistrati, ecc.. ».
Truccati
anche i loro concorsi. I magistrati si autoriformino, scrive Sergio Luciano su “Italia
Oggi”. Numero 196 pag. 2 del 19/08/2016. Il Fatto Quotidiano ha
coraggiosamente documentato, in un'ampia inchiesta ferragostana, le gravissime
anomalie di alcuni concorsi pubblici, tra cui quello in magistratura. Fogli
segnati con simboli concordati per rendere identificabile il lavoro dai
correttori compiacenti pronti a inquinare il verdetto per assecondare le
raccomandazioni: ecco il (frequente) peccato mortale. Ma, più in generale,
nell'impostazione delle prove risalta in molti casi – non solo agli occhi degli
esperti – la lacunosità dell'impostazione qualitativa, meramente nozionistica,
che soprattutto in alcune professioni socialmente delicatissime come quella
giudiziaria, può al massimo – quando va bene – accertare la preparazione
dottrinale dei candidati ma neanche si propone di misurarne l'attitudine e
l'approccio mentale a un lavoro di tanta responsabilità. Questo genere di
evidenze dovrebbe far riflettere. E dovrebbe essere incrociato con l'altra, e
ancor più grave, evidenza della sostanziale impunità che la casta giudiziaria
si attribuisce attraverso l'autogoverno benevolo e autoassolutorio che pratica
(si legga, al riguardo, il definitivo I magistrati, l'ultracasta, di Stefano
Livadiotti).
Ora
parliamo degli avvocati. C’è il caso per il quale l’informazione abbonda, ma
manca la sanzione.
Un "fiore" da 20mila euro al giudice e il
processo si aggiusta. La proposta
shock di un curatore fallimentare a un imprenditore. Che succede nei tribunali
di Taranto e Potenza? Scrivono di Giusi Cavallo e Michele Finizio, Venerdì
04/11/2016 su “Basilicata 24". L’audio che pubblichiamo, racconta in
emblematica sintesi, le dinamiche, di quello che, da anni, sembrerebbe un
“sistema” illegale di gestione delle procedure delle aste fallimentari. I
fatti riguardano, in questo caso, il tribunale di Taranto. I protagonisti della
conversazione nell’audio sono un imprenditore, Tonino Scarciglia, inciampato
nei meccanismi del “sistema”, il suo avvocato e il curatore fallimentare
nominato dal Giudice.
Aste e tangenti, studio legale De Laurentiis di
Manduria nell’occhio del ciclone,
scrive Nazareno Dinoi il 9 e 10 novembre 2016 su “La Voce di Manduria”. C’è il
nome di un noto avvocato manduriano nell’inchiesta aperta dalla Procura della
Repubblica di Taranto sulle aste giudiziarie truccate. Il professionista (che
non risulta indagato), nominato dal tribunale come curatore fallimentare di un
azienda in dissesto, avrebbe chiesto “un fiore” (una mazzetta) da
ventimila euro ad un imprenditore di Oria interessato all’acquisto di un lotto
che, secondo l’acquirente, sarebbero serviti al giudice titolare della
pratica fallimentare. Questo imprenditore che è di Oria, rintracciato e
intervistato ieri da Telenorba, ha registrato il dialogo avvenuto nello studio
legale di Manduria in cui l’avvocato-curatore avrebbe avanzato
la richiesta “del fiore” da 20mila euro. Tutto il materiale, compresi i
servizi mandati in onda dal TgNorba, sono stati acquisiti ieri dalla Guardia di
Finanza e dai carabinieri di Taranto.
I presunti brogli nella gestione dei
fallimenti. «Infangata la giustizia per scopi elettorali». Il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vincenzo Di Maggio, attacca il
M5S: preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i problemi, scrive
il 15 novembre 2016 Enzo Ferrari Direttore Responsabile di "Taranto Buona
Sera". «Ma quale difesa di casta, noi come avvocati abbiamo soltanto
voluto dire che il Tribunale non è un luogo dove si ammazza la Giustizia».
Vincenzo Di Maggio, presidente dell’Ordine degli Avvocati, torna sulla polemica
che ha infiammato gli operatori della giustizia negli ultimi giorni:
l’interpellanza di un nutrito gruppo di senatori Cinquestelle su presunte
nebulosità nella gestione delle procedure fallimentari ed esecutive al
Tribunale di Taranto.
«Fallimenti
ed esecuzioni, le procedure sono corrette». Documento delle Camere delle Procedure Esecutive e delle Procedure
Concorsuali, scrive "Taranto Buona Sera” il 10 novembre 2016. Prima
l’interrogazione parlamentare del M5S su presunte anomalie nella gestione delle
procedure fallimentari, a scapito di chi è incappato nelle procedure come
debitore; poi il video della registrazione di un incontro che sarebbe avvenuto
tra un imprenditore, il suo avvocato e un curatore fallimentare. Un video dagli
aspetti controversi e dai contenuti comunque tutti da verificare. Un’accoppiata
di situazioni che ha destato clamore e che oggi fa registrare la netta presa di
posizione della Camera delle Procedure Esecutive Immobiliari e della Camera
delle Procedure Concorsuali. In un documento congiunto, i rispettivi
presidenti, gli avvocati Fedele Moretti e Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a
tutela della onorabilità dei professionisti impegnati come curatori e custodi
giudiziari ed esprimendo piena fiducia nell’operato dei magistrati.
Taranto,
rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro
spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza
su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione
della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A
rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da
Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili
riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno
2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio
nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore
Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine
degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per
appropriazione indebita, ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa
parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). Di questo se ne è
parlato agli inizi, perché l’esposto era dello stesso Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Taranto, ma poi nulla si è più saputo: caduto nell’oblio. Il
silenzio sarà rotto, forse, dalla inevitabile prescrizione, che rinverdirà
l’illibatezza dei presunti responsabili.
E
poi c’è il caso, segnalato da un mio lettore, di una eccezionale sanzione emessa
dalla magistratura tarantina e taciuta inopinatamente da tutta la stampa.
La
notizia ha tutti i crismi della verità, della continenza e dell’interesse
pubblico e pure non è stata data alla pubblica opinione.
Il
caso di cui trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro
per infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma
facciamo parlare gli atti pubblicabili.
L’11
maggio 2012 viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento di
archiviazione, pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il
Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione
in quanto “non risultano elementi a carico del professionista tali da
configurare alcuna ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto
il 17 novembre 2014, nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola,
Consigliere Segretario. Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin
qui ancora tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’
successo che, con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre
2016 (depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio
dell’avv. Aldo Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui
all’art. 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti
pubblici), perché, in qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme all’originale della delibera datata 3 aprile
2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di non dare luogo ad apertura di
procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Addolorata Renna, con
conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi confronti da Blasi
Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà inesistente e mai
sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di Taranto. In Taranto il
17 novembre 2014.”
Il Giudice per le Indagini Preliminari, con proc.
6503/2016, il 21 novembre 2016 fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre
2016 e poi rinvia per il Rito Abbreviato per il 10 aprile 2017 con
interrogatorio dell’imputato ed audizione del teste, con il seguito.
Il Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo
Carriere, il 16 ottobre 2017 con sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo
Carlo colpevole del reato ascrittogli, e, riconosciute le circostanze
attenuanti generiche, e applicata la diminuente per la scelta del rito
abbreviato, lo condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione,
oltre al pagamento delle spese del procedimento. Pena sospesa per cinque anni,
alle condizioni di legge, e non menzione. Visti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p.,
condanna Feola Aldo Carlo al risarcimento dei danni in favore della costituita
parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle
spese processuali dalla medesima sostenute, che si liquidano in complessivi
euro 3.115,00 (tremilacentoquindici) oltre iva e cap come per legge”.
Da quanto scritto è evidente che ci sia stata da
parte della stampa una certa ritrosia dal dare la notizia. Gli stessi organi di
informazione che sono molto solerti
ad infangare la reputazione dei poveri cristi, sennonchè non ancora dichiarati
colpevoli.
Travaglio:
“I giornali a Taranto non scrivono nulla perchè sono comprati dalla
pubblicità”. “E’ vero, ma non per tutti…” Lettera aperta al direttore de IL
FATTO QUOTIDIANO, dopo il suo intervento-show al Concerto del 1 maggio 2015 a
Taranto, di Antonello de Gennaro del 2 maggio 2015 su "Il Corriere del
Giorno". "Caro Travaglio, come non essere felice
nel vedere Il Fatto Quotidiano, quotidiano libero ed indipendente
da te diretto, occuparsi di Taranto? Lo sono anche io, ma nello stesso tempo,
non sono molto soddisfatto della tua “performance” sul palco del Concerto del
1° maggio di Taranto. Capisco che non è facile leggere il solito
“editoriale”, senza il solito libretto nero che usi in trasmissione da Michele
Santoro, abitudine questa che deve averti indotto a dire delle inesattezze in
mezzo alle tante cose giuste che hai detto e che condivido. Partiamo da quelle
giuste. Hai centrato il problema dicendo: “A Taranto i giornali
non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”. E’ vero e
lo provano le numerose intercettazioni telefoniche contenute all’interno
degli atti del processo “Ambiente Svenduto” e per le quali il Consiglio di
Disciplina dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia tergiversa ancora
oggi nel fare chiarezza sul comportamento dei giornalisti locali
coinvolti, cercando evidentemente di avvicinarsi il più possibile alla
prescrizione amministrativa dei procedimenti disciplinari e salvarli”.
Comunque,
a parte i distinguo di rito dalla massa, di fatto, però, nessuno di questa
sentenza ne ha parlato.
In
conclusione, allora, va detto che si è fatto bene, allora, ad indicare la
notizia della condanna del Consigliere Segretario del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Taranto, come un fatto tra quelli che a Taranto son si osa
dire…
A
cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
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