ASTE TRUCCATE: LINFA PER LA MAFIA.
Una
Interrogazione Parlamentare alza il velo dell’ipocrisia a Taranto.
L’Omertà
istituzionale, come sempre, ne coprirà la vergogna.
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha pubblicato un saggio denuncia:
“Usuropoli. Usura e Fallimenti Truccati”. Il libro contiene un dossier completo
anche sulle aste truccate e le inchieste che nel tempo hanno coinvolto gli
uffici giudiziari di tutta Italia.
Il dr Antonio Giangrande nella sua inchiesta elenca
una serie di casi eclatanti.
Esemplare è il fallimento della Federconsorzi.
Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni
immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per
ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe
costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La
singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande
stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne
disponeva l’insabbiamento.
Altro tassello anomalo è la costituzione di società ad
hoc per la gestione dei fallimenti. Le principali banche hanno infatti
costituto apposite società denominate "Asteimmobili", nei principali
Tribunali (Roma, Milano, Genova, ecc.), con la finalità di chiudere il cerchio
quando i tartassati e maltrattati utenti non hanno la possibilità di adempiere
alle obbligazioni, specie su mutui e prestiti. ABI e banche si sono quindi
ritrovate ben presto, con personale impiegato nella società costituita
“Asteimmobili” a fare lavoro di cancelleria come altri pubblici ufficiali (con
la non piccola differenza di non essere entrati per concorso e di non aver
dovuto "prestare giuramento di fedeltà" allo Stato) in gangli
alquanto delicati come le esecuzioni immobiliari, le procedure fallimentari,
gli uffici dei giudici di pace, le corti d'appello sia civili che penali, le
stesse procure.
Non si può, comunque, dimenticare che il percorso dei
giudici del Tribunale di Milano è stato particolarmente difficile, soprattutto
nei confronti di un problema estremamente rilevante quale quello legato alla
turbativa d'asta, vero e proprio tallone d' Achille per il sistema delle
esecuzioni. E' proprio su questo punto che i giudici sono intervenuti in
maniera decisa denunciando alla Procura il fenomeno. I giornali allora
parlarono di un "cartello" di speculatori per le “aste truccate”. Una
specie di organizzazione in grado di condizione le gare per l'acquisto degli
immobili pignorati. Come dire, nessuno poteva partecipare ad un'asta
giudiziaria senza pagare una "commissione" che andava dal 10 al 15
percento del valore dell'immobile che intendeva acquistare. In caso contrario
il "cartello" soprannominato allora "La compagnia della
morte" avrebbe fatto lievitare al prezzo. In passato, a partire
dall’esperienza pilota del Tribunale di Milano, stampa ed istituzioni hanno
dato grande risalto alla pretesa "innovazione" del sistema delle
vendite giudiziarie, dedicando intere pagine, anche di pubblicità a
pagamento, sui quotidiani nazionali, facendoci credere che con gli
otto arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d. "compagnia della
morte", si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di
condizionare le gare d’asta per l'acquisto degli immobili pignorati. Ci hanno
spiegato e confermato che per svariati anni una banda di "professionisti"
ha potuto agire impunita, scoraggiando la partecipazione alle aste del
pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento
di un "pizzo" pari al 10-15% del valore
dell'immobile pignorato e pilotando l'assegnazione su società immobiliari
vicine o su professionisti, soggetti privati e prestanome, i cui interessi
spesso sono risultati riferibili agli stessi magistrati giudicanti, come nei
tanti casi da noi vanamente denunciati. Lo stesso dicasi per quanto attiene
l'ambito delle procedure fallimentari, controllate da un vero e proprio racket
di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli
uffici giudiziari del Tribunale di Milano, da cui sono stati sottratti
in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di
euro, mietendo oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale
capacità di delinquere interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere
ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti
per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto
sarebbe avvenuto all'insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di
Milano e degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia,
Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure
edotti di tutto, dagli anni ‘80, hanno sistematicamente insabbiato anche
le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi,
occultando solo negli ultimi anni svariate decine di migliaia di esposti a
carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono
rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione
dell’obbligo di registrazione delle denunce nell’apposito Registro delle
notizie di reato, tassativamente previsto dall’art. 335 c. 1° c.p.p. (26.000
procedimenti insabbiati e occultati in soffitta dalla sola Procura di Brescia).
Quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione
dai pubblici uffici. Da “La Repubblica”. È la condanna emessa dal tribunale di
Perugia nei confronti di Pierluigi Baccarini, giudice della sezione
Fallimentare del tribunale della capitale accusato di aver "pilotato"
diversi procedimenti fallimentari trai quali quello della società che
amministrava il tesoro immobiliare della Democrazia Cristiana. L' inchiesta era
scattata a Roma dalle indagini dei pm Giuseppe Cascini e Stefano Pesci che nel
2005 avevano scoperto una sorta di "comitato d' affari" che gestiva
l'attività fallimentari degli uffici di viale Giulio Cesare.
Dalle cronache dei giornali si apprende che una
ispezione amministrativa a Lecce «negli uffici interessati dalle esecuzioni
giudiziarie», in particolare a proposito dell’espletamento delle aste
giudiziarie, è stata annunciata dal sottosegretario all’Interno Alfredo
Mantovano in conseguenza di quanto emerso dopo l’uccisione di un salentino,
Giorgio Romano, che avrebbe fatto affari frequentando appunto le aste
giudiziarie. Mantovano lo ha spiegato, parlando a Lecce con i giornalisti.
Romano è stato ucciso – a quanto è stato accertato poche ore dopo l’omicidio –
da un uomo che, per gravi difficoltà economiche, aveva perso la sua casa e la
sua macelleria e sperava di rientrarne in possesso tramite un accordo proprio
con Romano, abituale frequentatore di aste giudiziarie. “Un procedimento
disciplinare per tutti gli avvocati coinvolti nella vicenda delle aste
giudiziarie sottoposte all’indagine della Procura”. È quanto ha annunciato il
presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce Luigi Rella.
Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2011
Giovanni Longo racconta la Fallimentopoli barese. C’è voluto un camion per
trasportare tutte le carte da Bari a Lecce. E quando i faldoni sono giunti a
destinazione, pare che nella stanza del procuratore di Lecce Cataldo Motta non ci
fosse spazio sufficiente. L’inchiesta della Procura di Bari sulle procedure
fallimentari si allarga e trasloca: oltre a curatori, consulenti,
professionisti, bancari e cancellieri, nel mirino del nucleo di polizia
tributaria della Guardia di finanza sono finiti anche magistrati in servizio
presso il Tribunale del capoluogo pugliese. E dunque il Pm ha passato la mano.
E che dire del caso Cirio. Ci furono accertamenti su
presunte irregolarità avvenute nella sezione fallimentare del Tribunale di
Roma, che hanno visto coinvolti giudici accusati di aver “pilotato” alcuni
fallimenti e che vede una procedura di trasferimento d’ ufficio per
incompatibilità, avviata nei confronti di un giudice arrestato per corruzione
in atti giudiziari.
E che dire delle aste truccate in Lombardia. Al
Tribunale di Milano i magistrati hanno denunciato una loro collega: tentata
concussione e abuso d'ufficio nelle nomine dei consulenti, al fine di
suddividerne i compensi. A Brescia si è archiviato un procedimento penale per
usura, pur essendo stato accertato dal perito della Procura un tasso applicato
del 446% annuo.
E che dire dell’intrigo che lega il Piemonte e la
Toscana. Un Giudice condannato per tangenti per il fallimento Aiazzone e legato
con un esponente della P2 in altri processi in Toscana. All’indomani di una
udienza a Prato contro di questo, il suo difensore, noto avvocato e professore
milanese, fu trovato morto a causa di uno strano suicidio. Nell’ambito di quei
processi si denunciano casi di violazione del diritto di difesa. Sempre in
Toscana, si chiede il processo ad un giudice: al magistrato vengono contestati
corruzione, concussione, peculato, falso, abuso di ufficio e concorso in
bancarotta.
Anche in Emilia Romagna si denunciano casi di lesione
del diritto di difesa e del contraddittorio a danno dei falliti.
Nelle Marche l'inchiesta sul crack delle aziende
dell'imprenditore sambenedettese ha coinvolto ben 18 personaggi. Fra essi
numerosi magistrati, avvocati, curatori fallimentari e dirigenti di banca.
In Abruzzo, l’ex gip teramano, poi giudice a
Giulianova e oggi magistrato di Corte d’Appello a L’Aquila e l’attuale
presidente del Tribunale di Teramo sono stati coinvolti in un’inchiesta sulle
vendite giudiziarie immobiliari partita da un esposto presentato da un
cancelliere.
A Lecce, per la prima volta in Europa, è stato
dichiarato il fallimento del creditore su richiesta del debitore.
L’imprenditore è stato sbattuto fuori di casa, nonostante sia stato assolto dai
reati di truffa e falso denunciati dal direttore generale di un noto istituto
di credito spacciatosi per suo creditore, mentre era, in realtà debitore
dell’imprenditore di cui ha provocato il fallimento. Una vittima spara e uccide
il suo aguzzino: solo allora danno il via alle indagini, rimaste da tempo
insabbiate.
Ciliegina sulla torta è il caso Palermo e Catania. A
Palermo per il fallimento con il trucco, tre giudici rischiano il processo. A
denunciare le illegalità un comitato antiracket ed antiusura. La competenza è
passata alla Procura di Reggio Calabria. Nei suoi uffici è scoppiato lo
scandalo “cimici”. A Catania, con atto ispettivo al Ministro della Giustizia n.
4-29179, l'interrogante On. Angela Napoli, ha denunziato la triplice
reciprocità d'indagine tra le procure di Messina, Reggio Calabria e Catania con
chiari e vicendevoli condizionamenti su una denuncia di un imprenditore
dichiarato, ingiustamente, fallito.
Veniamo a Taranto.
Legislatura 17. Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06370
Pubblicato il 21 settembre 2016, nella seduta n. 683.
Buccarella, Airola, Taverna, Donno, Bertorotta,
Puglia, Cappelletti, Serra, Giarrusso, Paglini, Santangelo, Bottici -
Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
si apprende da un articolo apparso su
"TarantoBuonaSera", del 13 luglio 2016, che a Taranto ci sarebbero
quasi 750 case all'asta, con altrettante famiglie destinate a perdere la
propria casa, che nella maggior parte dei casi è proprio quella di abitazione;
la crisi che ha colpito il Paese sta incrementando il
fenomeno delle aste immobiliari, soprattutto conseguenti all'impossibilità, da
parte dei cittadini, di onorare i mutui contratti (senza sottacere delle tante
abusive concessioni di finanziamento, da parte degli istituti bancari, che
vanno ad aggravare situazioni fortemente compromesse dalla recessione);
purtroppo, non mancano anche conseguenze estreme, come
i suicidi ed anche gli omicidi-suicidi di interi nuclei familiari, ad opera di
persone ritenute perbene e tranquille, ma che, nella morsa della crisi, non
ravvisando vie di soluzione (nemmeno in conseguenza di azioni giudiziarie, che
spesso non risultano loro favorevoli), compiono tali deprecabili atti, e i
numeri depongono per un vero olocausto di italiani;
dall'Osservatorio suicidi per la crisi economica, gli
interroganti hanno rilevato che negli ultimi 4 anni, ovvero tra il 2012 e il
2015, si sono verificati 628 suicidi, in media uno ogni 2 giorni. Ecco alcuni
casi, verificatisi solo negli ultimi 12 mesi, balzati agli onori delle
cronache: l'omicidio-suicidio di Boretto: agosto 2016, Albina Vecchi, 71 anni,
uccide il marito Massimo Pecchini, 77 anni, e poi si uccide perché la loro casa
è andata all'asta; 30 maggio 2016, Stefano, pescatore genovese di 55 anni tenta
il suicidio perché senza lavoro da mesi, da quando gli era stata sequestrata
l'imbarcazione con la quale usciva in mare, e, sfrattato dalla sua abitazione,
era costretto ad occupare abusivamente un alloggio del Comune; marzo 2016,
Sisinnio Machis, imprenditore di 58 anni, si è suicidato a Villacidro dopo il
pignoramento della propria casa; gennaio 2016, Maurizio Palmerini, cinquantenne
di Vaiano, frazione di Castiglione del Lago (Perugia), ha ucciso i suoi figli,
Hubert di 13 e Giulia di 8 anni, a coltellate e ferito la moglie, poi si è
tolto la vita; gennaio 2016, dopo il suicidio del signor Guarascio per aver
subito lo sfratto, i deputati dell'Assemblea regionale sciliana del Movimento 5
Stelle comprano la casa andata all'asta e la restituiscono alla sua famiglia;
dicembre 2015, un imprenditore si impicca a Lodi perché la sua casa viene messa
all'asta;
risulta, inoltre, agli interroganti che presso il
tribunale di Taranto, al quarto piano dedicato alle aste immobiliari, si
sarebbero imposte prassi non del tutto conformi alla legge (come quella di
vendere i beni pignorati anche al "prezzo vile", favorendo gli
"avvoltoi" di turno e, verosimilmente, la stessa criminalità) a cui
si aggiunge la tendenza a prestare maggiore attenzione alla prosecuzione delle
esecuzioni immobiliari, piuttosto che alla tutela ed alle garanzie dei soggetti
esecutati o falliti;
sempre presso il tribunale di Taranto, sarebbero
diversi i cittadini ad aver lamentato abusi e violazioni di legge da parte dei
magistrati chiamati a decidere le loro controversie, con grave nocumento dei
loro diritti;
di recente a quanto risulta agli interroganti, la
signora Maria Giovanna Benedetta Montemurro, presso il tribunale di Taranto, ha
incardinato una procedura di opposizione avverso l'esecuzione immobiliare n.
168/1986 R.G.E., tentando di far valere molteplici ragioni a sua tutela. Nel
ricorso, tra i tanti motivi di opposizione, invocando il "decreto
Banche" (rectiusdecreto-legge n. 59 del 2016, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 119 del 2016), la signora Montemurro ha anche
dedotto che il giudice non poteva procedere all'aggiudicazione atteso che,
nella fattispecie, il prezzo di vendita era inferiore al limite della metà e
che erano stati esperiti tentativi di vendita oltre il numero consentito dal
citato decreto-legge. Effettivamente il recente decreto-legge n. 59, andando a
completare il quadro normativo disciplinante la materia, non ha trascurato
proprio i profili di tutela delle parti, creditrice e debitrice, soprattutto al
fine di evitare che la vendita avvenga oltre determinati limiti e per un tempo
indefinito;
la vendita al "prezzo vile", ovvero al
prezzo lontano da quello di mercato, danneggia sia il debitore che lo stesso
ceppo creditorio (con il rischio concreto di vendere le case e non soddisfare
nemmeno le ragioni dei creditori) e pare anche certo che, indipendentemente dalle
modalità di vendita (con incanto o senza), dal sistema delle norme che
presidiano le esecuzioni immobiliari può ricavarsi che la vendita non possa
avvenire ad un prezzo inferiore al limite della metà del valore del bene
espropriando, così come stabilito dal tribunale ai sensi dell'art. 568 del
codice di procedura civile;
tuttavia, nonostante l'apparente e verosimile
fondatezza del ricorso proposto dalla signora Montemurro, il giudice
dell'esecuzione ha rigettato le sue ragioni, peraltro in circostanze di tempo
così rapide da destare, a parere degli interroganti, non poca inquietudine: il
ricorso è stato presentato alle ore 12.30 del 24 maggio 2016; il magistrato ha
ricevuto il fascicolo il 25 maggio (perché lo ha "ereditato" da altro
magistrato che ha inteso astenersi); nella medesima data del 25 maggio il
magistrato ha rigettato la tutela cautelare chiesta dalla Montemurro; solo il
giorno successivo, ovvero il 26 maggio, ha provveduto all'aggiudicazione, a
giudizio degli interroganti in maniera se non illegittima quanto meno in modo
poco prudente, in considerazione del fatto che si trattava di espropriare un
immobile adibito ad abitazione;
considerato che a quanto risulta agli interroganti:
la signora Montemurro, ritenendo di non avere ricevuto
alcuna tutela in sede civile, con atto del 24 giugno 2016, ha adito il giudice
penale ed ha denunciato non solo il giudice dell'esecuzione, ma anche il
"sistema" aste presso l'organo di giustizia. Nel suo esposto, tra
l'altro, ha lamentato che presso il tribunale jonico: vi è l'orientamento di
vendere all'asta, con poca o nessuna tutela per le parti; vi è poca turnazione
dei magistrati, che gestiscono le aste ed anche degli ausiliari di questi
ultimi; vi sarebbe prassi di vendere anche al limite di 20.000 euro, indipendentemente
da quello che è il valore del bene espropriando, con la conseguenza che, a suo
dire, alla fine, risulterebbero "pagati" solo i costi delle
procedure;
la signora Montemurro non è l'unica ad aver lamentato
condotte discutibili e inclini alle banche (solitamente creditrici procedenti)
ed alle espropriazioni in genere da parte dei magistrati del tribunale
tarantino, di volta in volta chiamati ad intervenire in questioni relative alle
opposizioni alle aste immobiliari, in sede sia di cautela che di merito;
consta agli interroganti che anche il signor
Vitantonio Bello abbia lamentato una tenace chiusura della magistratura jonica
rispetto all'asta immobiliare in suo danno (n. 593/2011 R.G.E. del tribunale di
Taranto), non ottenendo tutela nonostante le molteplici procedure incardinate e
nonostante, in qualche provvedimento giurisdizionale, il magistrato estensore
abbia riconosciuto la fondatezza della doglianza da lui sollevata. Nel caso di
Bello l'asta immobiliare ha ad oggetto la casa ove vive con moglie e due figli
minori (di anni 5 ed uno), a tal punto il signor Bello avrebbe anche
interessato della sua vicenda la Presidenza della Repubblica e quest'ultima, di
rimando, la Prefettura di Taranto;
sempre nella vicenda del signor Bello, la magistratura
di Taranto, non accordandogli tutela e non sospendendo l'esecuzione, in un
provvedimento giurisdizionale, ha sostanzialmente anche asserito che non vi
sarebbe alcun vizio nel rapporto tra il medesimo e la banca, se pure l'istituto
di credito, concedendogli più prestiti a distanza di poco tempo, era a
conoscenza che lo stesso cliente non sarebbe stato in condizione di restituire
il denaro (e ciò in considerazione di quella che era la sua valutata capacità
di rimborso). A parere degli interroganti, nella stessa statuizione, vi sarebbe
anche un'abnorme legittimazione della concessione abusiva di credito;
altra vicenda molto sintomatica della pervicace
chiusura dei giudici di Taranto rispetto alla tutela da accordare agli
esecutati e falliti è quella della signora Maria Spera (procedura esecutiva n.
590/1994 R.G.E del tribunale di Taranto). Vicenda che, nonostante non si sia
ancora conclusa, ha registrato non poche forzature, con grave danno economico,
psicologico e morale dell'esecutata. Addirittura la signora Spera ha lamentato
un'illegittima duplicazione di titoli esecutivi, con cui l'intero suo
patrimonio risulta ancora bloccato: 1) la procedura n. 590/1994 R.G.E., che si
basa sul titolo esecutivo "mutuo fondiario" e che vede quale bene pignorato
un terreno di 24 ettari (terreno a cui sarebbe interessato un facoltoso
imprenditore locale, già socio di Emma Marcegaglia); 2) un decreto ingiuntivo,
che si basa sullo stesso e medesimo debito, decreto con il quale è stato
ipotecato l'intero restante patrimonio immobiliare della signora Spera. La
vicenda, a giudizio degli interroganti, è tanto più inquietante se si pensa che
il debito originario contratto dalla signora nel 1990 era a pari a 500 milioni
di lire (corrispondenti a circa 258.000 euro) e la signora, alla data del 2007,
ne aveva già restituiti 400.000 euro (corrispondenti a circa 800 milioni di
lire);
ad oggi la signora Spera, nonostante il pignoramento
del terreno, sottostimato dal tribunale di Taranto in poco più di 400.000 euro
(somma che sarebbe più che capiente rispetto all'eventuale debito residuo, ove
ne residuasse, visto che circa 400.000 euro sono stati già resi dalla signora
alla Banca nazionale del lavoro), ha l'intero suo patrimonio ipotecato, in
virtù dell'altro titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo), emesso per lo stesso
ed unico debito (che così è consacrato in 2 distinti titoli esecutivi).
Pertanto, se la signora volesse vendere qualcosa per pagare eventuali residui
debiti, non potrebbe farlo (e nemmeno è in condizione di onorare le esose tasse
sulla proprietà, se non con gli aiuti dei figli);
la signora Spera ha riferito agli interroganti che,
decorsi 10 anni dall'iscrizione dell'ipoteca sul suo patrimonio, in virtù del
decreto ingiuntivo, nell'assenza di atti esecutivi (perché nel frattempo la
procedura è andata avanti per la vendita del terreno pignorato sulla base del
titolo esecutivo "mutuo fondiario"), ha chiesto la cancellazione
dell'ipoteca, anche ritenendo la perenzione del decreto ingiuntivo, ma in risposta
ha ottenuto dal tribunale tarantino il rigetto della sua legittima istanza
(procedura n. 3291/2014 R.G. del tribunale). La questione pende in appello
(causa n. 536/2014 R.G. della Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto),
ma la signora Maria Spera ritiene che incontrerà ancora l'illogico ed illegale
ostacolo;
considerato, inoltre, che:
la signora Maria Spera ha riferito agli interroganti
di aver presentato, presso il tribunale di Potenza (competente a valutare gli
esposti nei confronti dei magistrati di Taranto), denuncia penale nei confronti
dei magistrati ed ausiliari che, a suo parere, avrebbero male esercitato la
funzione giurisdizionale, causandole danni; ma anche a Potenza ha dovuto
prendere atto che, anziché ottenere tutela, ha solo registrato l'astio del
pubblico ministero e la pessima sua azione. Allo stato la signora Spera,
esecutata dal 1994, non ha ottenuto, né dai giudici di Taranto né da quelli di
Potenza, la tutela che le leggi le garantirebbero ma che la magistratura
(chiamata ad applicarle) le ha negato;
la vicenda è già balzata agli onori della stampa (sul
settimanale tarantino "Wemag" del 12 novembre 2010) ed è stata anche
oggetto di un'altra interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei
deputati nel 2010 (4-07339 a firma dell'on. Zazzera dell'IdV, Legislatura XVI);
ad avviso degli interroganti, circostanza molto
inquietante è quella per cui, sempre in danno della signora Spera, né la
magistratura jonica (sia in sede civile che penale) né quella potentina (in
sede penale) hanno inteso accertare l'usura che la signora stessa ha lamentato
esserle stata applicata. Usura che è poi emersa nell'ambito di una causa civile
sempre dinanzi al tribunale tarantino, in occasione di una consulenza di
ufficio redatta (causa n. 7929/2009 R.G. del tribunale di Taranto);
considerato infine che:
i fatti lamentati, per quanto gravi, non sono isolati.
Gli interroganti hanno preso atto anche di un'intervista fatta dalla
televisione locale "Studio 100" a varie persone esecutate, che
avrebbero descritto il quadro inquietante e ricorrente al quarto piano del
tribunale di Taranto, destinato appunto alle esecuzioni e ai fallimenti: si
racconterebbe di prassi illegali che, pur denunciate, non vengono sanzionate,
di "avvoltoi" che si avvicinano agli esecutati, estorcendo denaro per
rinunciare all'acquisto, per poi acquistare all'udienza di vendita successiva,
con ulteriore ribasso del prezzo e aggravio di danno per le povere vittime;
a giudizio degli interroganti la delicatezza
dell'argomento, sia per le gravose conseguenze sulle persone, che per i dubbi
di opinabile esercizio della funzione giurisdizionale, impone interventi
urgenti e forti,
si chiede di sapere:
se non ricorrano le circostanze per intraprendere le
opportune iniziative ispettive, sia presso il tribunale di Taranto, che presso
quello di Potenza, onde verificare se quanto lamentato dai soggetti coinvolti
corrisponda al vero e, in caso di verifica positiva, se non ricorrano le
condizioni di adozione dei necessari provvedimenti correttivi a tutela delle parti
e del corretto esercizio della funzione giurisdizionale;
se, nell'ambito delle attività ispettive, il Ministro
in indirizzo non ritenga di dover verificare: la sussistenza delle condotte
descritte, con particolare riguardo ai rapporti con le banche e le società di
recupero crediti, ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti sanzionatori
da parte delle autorità competenti; se corrisponda al vero che, presso il
tribunale di Taranto, si celebrano aggiudicazioni di immobili anche al di sotto
della metà del loro valore, e comunque in violazione delle norme di legge;
se esista un obbligo di turnazione dei magistrati
nelle sezioni di esecuzione immobiliare e fallimentare e, in caso positivo, se
lo stesso venga rispettato presso il tribunale di Taranto e se il medesimo
obbligo sussista rispetto ai consulenti e ausiliari vari.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico,
giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie.
099.9708396 – 328.9163996
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