Xylella: responsabilità di Stato.
L’inettitudine e l’imperizia dei governanti, la
demagogia, l’ignoranza e la falsità di un certo mondo ambientalista e gli
appetiti di coloro che ne vogliano fare un business sono più dannosi della
malattia. Si vuol desertificare il Salento sterminando tutte le piante in loco.
Come dire: c’è una persona malata, si annientano tutti i conviventi e tutti i
suoi compaesani. E' l'Isis europea che si abbatte sul patrimonio ambientale salentino.
Il grido
d’aiuto lanciato dagli alberi salentini che possono avere una
vita millenaria comincia ad espandersi e diffondersi, purché non si affronti la
questione con un allarmismo
che non solo sarebbe inutile, ma rischia di essere dannoso. Certo, nemmeno il complottismo può funzionare quasi
che i salentini siano stati vittime di chissà quale trama ordita da chi lo vuol
vedere piegato agli interessi extralocali.
All’inizio il progressivo ammalarsi delle piante venne
riferito ad una molteplicità di fattori tra i quali figurava anche un
batterio parassita, la Xylella fastidiosa. Con il corollario della
prospettazione di un pericolosissimo
rischio di contagio. Quasi che il Salento fosse diventato una
bomba pronta ad esplodere contaminando il resto del Paese e persino l’Europa.
Ed ecco allora che si cerca di capire chi è il
responsabile.
Parlare di responsabilità dello Stato italiano: di
questo sì che si può parlare.
Il dr Antonio Giangrande, scrittore e presidente della
“Associazione Contro Tutte le Mafie”, autore del libro Agrofrodopolitania”,
imputa al Governo la responsabilità della diffusione della malattia degli ulivi
salentini e ne spiega analiticamente i motivi.
La Procura di Lecce apre un’inchiesta - al momento a
carico di ignoti - per diffusione colposa della malattia degli ulivi nel
Salento? I responsabili ci sono e non sono ignoti: è il Governo centrale e
tutti quelli ambientalisti da strapazzo che si sciacquano la bocca con il
termine “tutela dell’ambiente e della natura”, ma che in realtà sono più
dannosi dei germi patogeni della Xylella. Non è una tesi campata in aria o di
stampo complottistico. Ma la consapevolezza che i responsabili tanto ignoti non
sono. Di sicuro vi è che il patrimonio
olivicolo del Salento ha registrato un attacco grave ad opera
di un processo chiamato CoDiRo (Complesso del disseccamento rapido degli
ulivi).
Precisiamo che gli ulivi del Salento hanno centinaia
di anni. Molti di loro erano centenari già all’epoca di Dante. Queste creature
tante ne hanno viste e tanto ne avrebbero da raccontare sugli umani. «I
miei ulivi stanno bene - precisa a Leccenews24 l'anziano agricoltore
con gli occhi lucidi che lasciano trapelare una certa preoccupazione - ma
ci sono campagne vicino alla mia dove è arrivata "quella
cosa"». «Io non ci credo che non ci sia una cura, è
impossibile. Guardi quest'albero, è storto, piegato su se stesso, sembra sul
punto di spezzarsi da un momento all'altro. Eppure sono settant'anni che lo
trovo sempre lì. Così mio padre. E mio nonno, non è bello?». Per un attimo
stentiamo a capire come si fa a definire un albero "bello" poi basta
guardarlo con un occhio diverso per rendersi conto che non esiste altro termine
per descrivere quel tronco massiccio e contorto, che affonda le sue radici nel
terreno puntellato di pietre e che si dirama verso il cielo con le sue chiome
argentee e rigogliose. Queste lo sono ancora. Non una foglia marrone, non un
ramo secco. Niente. A pensarci bene persino un genio della pittura come Renoir se n'era
accorto, in una lettera datata 1889 scriveva testualmente «L'olivo,
che brutta bestia! Non potete sapere quanti problemi mi ha causato. Un
albero pieno di colori, neanche tanto grosso, e le sue foglioline, sapeste come
mi hanno fatto penare! Un soffio di vento, e tutta la pianta cambia tonalità
perché il colore non è nelle foglie ma nello spazio tra loro. Un artista non può essere davvero bravo se non
capisce il paesaggio». L'anziano che abbiamo incontrato non
sarà il maestro dell'impressionismo, ma il messaggio è più o meno lo stesso: la
terra è un patrimonio naturalistico di
inestimabile valore che deve essere tutelato, protetto. E i
primi che dovrebbero farlo sono i contadini. Eppure sembrano essere diventati
l’ultima ruota del carro, semplici spettatori di un dramma diventato ormai inarrestabile.
«Le malattie ci sono da sempre, perché questa sarebbe diversa? Possibile
che si possa combattere solo con l'eradicazione? Ma quando mai? - prosegue
il contadino convinto che una soluzione ci sia e che basta solo trovarla –
prima di prendere qualunque decisione bisogna fare molta attenzione perché i
nostri ulivi, millenari e non, sono stati ottenuti mediante l’innesto della
varietà (Cellina di Nardò e Ogliarola) su ceppo di selvatico resistente a ogni
tipo di malattia. Non a caso i nostri uliveti sono soprannominati “uliveti reali” (così come
classificate nelle carte geografiche dell’IGM) per la bellezza delle piante e
la bontà delle olive e degli oli prodotti». «Non bisogna dimenticare poi che
questa tipologia di alberi è riuscita anche a resistere all’incuria grazie al
suo legame con la terra da cui estrae la linfa vitale per sopravvivere».
«L’unico torto di questi alberi ultra secolari e alcuni addirittura millenari
che sono gli unici testimoni viventi della storia dell’uomo è che non hanno mai chiesto niente a nessuno,
nemmeno alle istituzioni che investono fior di milioni per un edificio storico,
dove per edificio storico si intende anche un fabbricato con meno di cento
anni, e delle piante non si sono mai interessati. Adesso devono pensare pure
agli ulivi, che sono veri e propri monumenti. Glielo dobbiamo». «Queste
cose succedono da quando abbiamo smesso di rispettare la terra – ci
dice – gli ulivi sono stati dimenticati in primis dall’uomo, sono
stati bistrattati,
sono stati relegati in uno
stato di assoluto abbandono, che solo l’inversione di
rotta degli ultimi anni, forse salverà…». «Lei è favorevole all’eradicazione?» chiediamo al 70enne
pur conoscendo la risposta e, infatti, perentorio, pronuncia un secco NO «al
massimo si più tagliare tanto dalla radice. Usciranno dei polloni che nel giro
di pochi anni possono diventare nuovi alberi di pregio, mantenendo così facendo
la varietà autoctona nel nostro territorio». E poi usa un termine che
strappa quasi un sorriso “scattunare”,
questo bisogna fare. Prima di salutarci ci dice una frase che
ci lascia un po’ l’amaro in bocca «dai
batteri dobbiamo difenderci, ma se dobbiamo difenderci anche dagli uomini,
siamo davvero spacciati». Quando si dice vecchia saggezza
contadina.
Attenzione!!! Lo Stato Italiano, genuflesso al potere
degli altri Stati europei, Francia in primis, gli ulivi li vuole eradicare,
cioè sdradicare. Basterebbe tagliare il tronco in modo che germoglino nuove
piante su quelle radici e in pochi anni tutto ritornerebbe allo status quo. Ma
ciò non si può fare. Sarebbe troppo semplice e nessuno speculerebbe sulla disgrazia.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa un caso internazionale con l'inerzia del Governo italiano che non
difende il suo territorio. Nel
Consiglio dei 28 ministri dell’agricoltura Ue del 16 marzo 2015, la sentenza
per la Puglia: “Abbattere tutti gli alberi infettati dal batterio Xylella
fastidiosa”. La richiesta è stata comunicata dal Commissario alla Salute
Vytenis Andriukaitis,
al Ministro italiano dell'Agricoltura, Maurizio Martina. L'eradicazione degli
ulivi resta al centro della strategia Ue per contrastare la Xylella fastidiosa,
il batterio killer che sta distruggendo gli ulivi del Salento. I paesi europei
che si sentono più vulnerabili all'espansione del batterio Xylella, in
particolare Francia, Grecia e Spagna, chiedono di abbattere almeno un decimo
dei circa 9 milioni di alberi dell'area del Salento, mentre l'Italia ritiene
sufficiente il piano del commissario Giuseppe Silletti, che prevede interventi
più contenuti. In Italia, invece, lo scontro si è già spostato sul piano
legale, dopo che la sezione di Lecce del Tar di Puglia ha accolto il ricorso di
due avvocati proprietari di un uliveto a Oria, la località da cui dovrebbero
partire le misure di emergenza. L’Europa ce lo chiede: “Prima di tutto dobbiamo
essere molto chiari, tutti gli alberi colpiti dal batterio Xylella fastidiosa devono essere rimossi e questa è la prima
cosa”. Colpi di accetta e motoseghe, dunque, su migliaia di ulivi e non solo. Anche su lecci,
mandorli, ciliegi, albicocchi e tutte le altre piante, appartenenti ad almeno 150 specie, che risulteranno
attaccate dal patogeno
da quarantena arrivato dalle Americhe. Una raccomandazione che avrà come
contraltare, in caso di mancato adempimento, l’avvio di una procedura di infrazione comunitaria.
Non ha usato mezze misure il commissario europeo alla Salute e sicurezza
alimentare, Vytenis Andriukaitis,
al termine del Consiglio dei 28 ministri dell’agricoltura. Per Bruxelles, il contagio va contenuto
dentro i confini della Puglia meridionale,
a costo di applicare la soluzione più “dolorosa”. Come dire: gli abbattimenti
dovranno essere ovunque, pure nei diecimila ettari intorno a Gallipoli,
epicentro del contagio originario, e non solo mirati nei dodici focolai
individuati e nella “fascia di eradicazione”. È questa striscia la prima
sorvegliata speciale, lunga 50 chilometri e profonda 15, una sorta di fossato
immaginario a cavallo tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto. Le ruspe
entreranno in azione innanzitutto lì, a tutela di una “fascia cuscinetto” al
momento indenne. Tutta la penisola salentina, invece, è dichiarata “zona
infetta”, sebbene sia interessata dal fenomeno solo in parte, in quaranta
comuni. Spetterà agli stessi proprietari l’obbligo di tagliare le piante
colpite, concetto al limite della discrezionalità, visto che sono ritenute tali
quelle identificate “sia con analisi di laboratorio che con riscontro dei
sintomi ascrivibili all’infezione di Xylella fastidiosa”, ma anche quelle
“individuate come probabilmente contagiate”. Per chi si opporrà? Sanzioni
amministrative e interventi in sostituzione da parte dell’agenzia regionale
Arif. Così anche per chi non effettuerà le arature entro aprile e per chi si
rifiuterà da maggio di usare insetticidi chimici.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
ha delle chiare responsabilità dello Stato italiano che ha legiferato sotto la
spinta di un pseudo ambientalismo da strapazzo senza sentire i contadini. Ma andiamo per ordine. Oggi, il tanto decantato
prodotto biologico profuso dagli ambientalisti ha portato i proprietari dei
terreni a non trattare con prodotti naturali o chimici terreni e piante. Questa
neo cultura impedisce di lavorare i terreni o le piante, con arature e
concimazioni. Dietro lo spirito ambientalista, spesso, però, si nasconde la
grave crisi dell’agricoltura. Non si curano i terreni e le piante per mancanza
di liquidità e, perciò, si abbandonano. L’abbandono provoca l’essiccamento
delle piante. Per quanto riguarda la potatura delle piante e la produzione
delle stoppie i nostri antenati bruciavano in loco quanto si era potato. Ciò
produceva concime e, di fatto, impediva che si propagasse l’infezione da parte
di qualche pianta malata. Ma i nostri governanti, spinti dai soliti
ambientalisti, ha ribaltato secolari sistemi di coltivazioni. Ricordiamo che
l’art. 13 del D.Lgs. 205/2010, modificando l’art. 185 del D.Lgs. 152/2006,
stabiliva che “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o
forestale naturale non pericolosi...", se non utilizzati in agricoltura, nella
selvicoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non
danneggiano l'ambiente o mettono in pericolo la salute umana devono essere
considerati rifiuti e come tali devono essere trattati. Accendere falò in
campagna per bruciare questi residui è quindi contro la legge poiché
integrerebbe il reato, non solo amministrativo ma anche penale, di illecito
smaltimento dei rifiuti. Sono già accaduti casi di verbali molto importanti a
carico di agricoltori, sanzionati ai sensi dell' art. 256 del D.Lgs 152/2006
che prevede: “la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o l'ammenda da
duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non
pericolosi” come sono considerate stoppie e ramaglie.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa un caso legislativo. Con il
decreto legge del 24 giugno 2014 n. 91, in vigore dal 25 giugno, si risolve il
problema della bruciatura delle stoppie e dei residui vegetali che ha creato
tanti problemi negli ultimi anni in quanto considerati rifiuti speciali. Il
comma 8 dell’art. 14 del decreto legge modifica l’articolo 256 – bis del
decreto legislativo 152/2006 ( “Codice Ambientale”) relativo alla
combustione illecita di rifiuti, prevedendo che tali disposizioni “non si
applicano al materiale agricolo e forestale derivante da sfalci, potatura
o ripuliture in loco nel caso di combustione in loco delle stesse. Di tale
materiale è consentita la combustione in piccoli cumuli e in quantità
giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro nelle aree, periodi e
orari individuati con apposita ordinanza del Sindaco competente per territorio.
Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle
regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre
vietata.”. Ergo: Il Parlamento riconosce di aver emanato una legge sbagliata.
Dalla nuova norma si capisce che il legislatore aveva fatto una gran boiata
nell’alterare il naturale smaltimento dei residui di potatura. Si riconosce,
inoltre, che lo spostamento di quei residui in altre aree di smaltimento ha
prodotto il propagarsi del contagio.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa un caso giudiziario. La
procura di Lecce indaga sull’origine del batterio Xylella fastidiosa che sta
decimando gli alberi di ulivo salentini. L’inchiesta, secondo quanto
riferiscono alcuni quotidiani, starebbe seguendo due possibili strade. La prima
è che il batterio sia arrivato in Puglia in occasione di un convegno
scientifico che fu organizzato nel settembre 2010 dall’Istituto agronomico
mediterraneo. Con una particolarità. Uno dei possibili indiziati, l’Istituto agronomico mediterraneo
di Valenzano (Bari), “gode per legge di immunità assoluta”, spiega il pm di
Lecce, titolare dell’inchiesta Elsa
Valeria Mignone in un’intervista a Famiglia
Cristiana. “L’autorità giudiziaria italiana non può violare il domicilio
dell’istituto, non può effettuare sequestri, perquisizioni o confische”,
spiega il magistrato. La seconda pista ipotizza che il batterio killer sia
stato introdotto con le piante ornamentali importate dall’Olanda e provenienti dal Costa Rica. Ergo: Mancato controllo
dello Stato o di Organi pubblici sull’introduzione di organismi dannosi nel
territorio nazionale.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa un caso finanziario. Tredici
milioni di euro a disposizione del commissario straordinario per
l’emergenza-ulivi. Lo ha annunciato il direttore dell’area Politiche per lo
sviluppo rurale della Regione, Gabriele Papa Pagliardini. Le attività
riguarderanno prevalentemente la lotta ai vettori del batterio, attraverso
arature, sfalciature, potature e utilizzo di principi attivi che dovranno
impedire ai cicadellidi di diffondere Xylella. Ovviamente si dovrà investire
anche sulla ricerca, per sconfiggere il batterio là dove ha già attecchito (si
parla di circa 40mila ettari infetti su un totale di 95mila coltivati a
uliveto). Ma sulla ricerca di somme di denaro non si è parlato. Ergo: lo Stato
finanzia l’estirpazione delle piante, ma non finanzia la ricerca per debellare
la causa. Eppure basta poco. Basta dar credibilità a chi di piante se ne
intende ed aiutarli finanziariamente a praticarne la cura.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa un caso mediatico. L’idea è
nata sul web, per iniziativa dello scrittore Pino Aprile, scrive Flavia Serr.
Su La Gazzetta del Mezzogiorno. E dopo una valanga di «post», «tweet» e
«ri-tweet», ecco che la grande mobilitazione promette di portare in piazza
migliaia di persone (11mila le adesioni raccolte sulla rete). Tutti uniti sotto
lo slogan «Difendiamo gli ulivi». Lo stesso grido di battaglia che è diventato
un hashtag e ha inondato i social network (Facebook, Twitter e Instagram), fino
a coinvolgere decine di artisti e volti noti dello spettacolo, salentini e
pugliesi di nascita o «de core», mobilitati da Nandu Popu dei Sud Sound System,
agguerritissima «sentinella» degli ulivi. Fra gli altri, sono scesi in campo (e
ci hanno messo la faccia) Federico Zampaglione dei Tiromancino, Claudia Gerini,
Emma Marrone, Samuele Bersani, Marco Mater azzi, Elio degli Elio e le Storie
Tese, Fabio Volo, Raffaele Casarano, Après la classe, solo per citarne alcuni.
E nelle scorse ore, anche Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, direttamente da New
York dove sta ultimando il nuovo disco del gruppo, ha pubblicato su Fb una sua
foto con il cartello in mano «#Difendiamo gli ulivi». Allo scatto, ha aggiunto
anche un messaggio: «Queste straordinarie creature che stanno per essere
eradicate, questi alberi secolari, chiamati “ulivi”, rappresentano centinaia,
per non dire migliaia, di anni della storia e della vita di un popolo, come il
nostro. So poco di agricoltura o di botanica. Ma so per certo una cosa: loro
(le straordinarie creature) meriterebbero una riflessione ampia e consapevole e
tutti noi abbiamo diritto di conoscere, di sapere se e perchè “nostri simili”
stanno per lasciare la vita terrena. Abbiamo diritto alla verità». Sangiorgi in
piazza ci sarebbe venuto oggi, e col pensiero c’è. Ed è vicino a quel movimento
che chiede maggiore chiarezza sulle cause del disseccamento rapido degli ulivi
e su tutte le possibili cure per affrontarlo. Insieme a Sangiorgi, il resto
della «famiglia » Negramaro sposa la battaglia, con il batterista Danilo Tasco
e il chitarrista «Lele» Spedicat o. Già nei giorni scorsi, un fiume di altre
«star» pugliesi si sono dette pronte a mobilitarsi in difesa degli ulivi: dal
regista Edoardo Winspeare allo stilista Ennio Capasa, passando per i comici
Nuzzo e Di Biase, i fotografi Flavio&Fr ank, fino ad arrivare al rapper
Caparezza che su Twitter ha scritto: «Arruolatemi tra le sentinelle degli ulivi.
Urge chiarezza sulla xylella». Così, Le
Iene il 2 aprile 2015 hanno mandato in onda un servizio con Nadia Toffa sull'argomento. Fabio
Ingrosso e Nadia Toffa
si sono recati nel Salento
dove moltissime coltivazioni di ulivi sono state infettate da un batterio molto pericoloso originario
della California, di cui in Europa in precedenza non si era riscontrata alcuna
traccia. Il parassita si chiama "xylella" e rischia di decimare
migliaia di ulivi secolari. La UE ha chiesto misure drastiche di intervento che
prevedono l'eradicazione degli alberi malati seguendo una precisa mappatura. Ma
l'eradicazione, per la quale sono stati stanziati diversi milioni di euro, è
davvero l'unica soluzione? La Iena lo chiede ad un gruppo di ricercatori
e, in seguito, ad alcuni contadini del posto che hanno adottato delle
cure naturali per provare a salvare gli ulivi. Testimonial del servizio Caparezza a Albano Carrisi, due musicisti che,
come molti altri artisti si stanno schierando contro l'eradicazione degli ulivi. Toffa ha
spiegato con parole molto semplici qual è la situazione, dal punto di vista
geografico (cioè per quali zone si sta prevedendo l'eradicazione), ma anche dal
punto di vista storico: «Fino a oggi la Xylella non aveva mai colpito gli
ulivi, e non è detto che sia la Xylella a far ammalare gli ulivi» sono state le
sue parole, che contribuiscono a sollevare molti dubbi su quello che sta
accadendo. Sono meno di 300, ha detto Toffa, gli ulivi malati: e allora perché
l'eradicazione si preannuncia tanto massiva? Il servizio de Le Iene suggerisce
un metodo per risanare gli ulivi dalle parole di un agricoltore, che ha curato
le sue piante malate, oggi in salute, in alcuni mesi, irrorandole con una
mistura di calce e solfato di rame, un rimedio della nonna che a quanto pare,
nel caso dell'agricoltore intervistato, ha sortito il suo effetto. La parola
degli ulivicoltori è al momento molto importante nel Salento: un'eradicazione
massiva li getterebbe sul lastrico.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa una denuncia per la mancanza di volontà di trovare un rimedio curativo naturale
per le piante. Quelli del movimento 5
Stelle di Tuglie hanno intervistato un agricoltore.
Domanda: Poltiglia bordolese, suggestione o via
percorribile?
Risposta. Noi non interveniamo sul batterio,
rafforziamo le autodifese della pianta con rimedi naturali. Non è affatto una
suggestione, io curo ancora molte patologie dell’apparato respiratorio con i
rimedi della nonna a base di erbe. Abbiamo solo utilizzato vecchie pratiche agronomiche,
il solfato di rame è un antibatterico e un antifungino, l’idrossido di calcio
(calce) è un disinfettante naturale usato da secoli. La vecchia poltiglia
bordolese autoprodotta non porta ricchezza alle casse delle multinazionali
dell’agrochimica. Successivamente siamo intervenuti alla radice, con un
prodotto naturale a base di aglio, che alcuni ricercatori spagnoli venuti fin
qui ci hanno gratuitamente consegnato per la nostra sperimentazione empirica.
Ci siamo accertati che fosse un prodotto naturale e registrato e lo abbiamo
usato alla base della pianta, intervenendo sulle radici.
D. Quali i sintomi della malattia?
R. La sintomatologia si nota dall’alto della chioma
per poi diffondersi su tutta la branca, sino al basso della pianta. Proprio
come una verticillosi.
D. Che fare appena si sospetta che l’uliveto potrebbe
essere stato contaminato?
R. Noi non ci sostituiamo agli organi preposti, di
certo non ci atterremo a quelle norme scellerate previste dalla quarantena che
prevedono l’uso massiccio di diserbanti e insetticidi per uccidere i
fantomatici insetti “vettori”.
D. E in termini di prevenzione?
R. Curare la terra e gli olivi. Una buona potatura
aiuta la pianta a rivegetare, ossigenare il terreno con un leggero coltivo,
ritornare alle buone pratiche dell’innerbimento e del “sovescio”: così facendo
si restituisce alla pianta sostanza organica a costo zero. Disinfettare la
pianta con la solita poltiglia bordolese autoprodotta (grassello di calce e
solfato di rame). All’occorrenza, disinfettare e nutrire i tronchi con solfato
di ferro e calce alle dosi consigliate.
D. Come si trasmette il batterio?
R. Non capisco il perché alcuni soggetti si
accaniscono sul batterio e non sulla moltitudine di funghi tracheomicosi
presenti sulla pianta e sulla radice. Credo che si stia facendo cattiva
informazione: abbiamo perso il contatto con la realtà, e quindi dobbiamo
tornare a essere più umili, prima con noi stessi e poi con madre Terra. Con la
rivoluzione “verde” dettata dall’agrochimica sponsorizzata da alcune Università,
abbiamo contribuito a distruggere la biodiversità e rotto quell’equilibrio
biologico perfetto, frutto del creato. Io non uccido nessun essere vivente!
D. La falda inquinata, magari da rifiuti tossici, da
percolato, può essere una spiegazione alla xylella?
R. Una cosa è certa: la nostra Terra è martoriata.
D. L’uso scriteriato della chimica e la smania di far
produrre ogni anno le piante può aver influito sulla diffusione del batterio?
R. L’altro giorno leggevo la retro etichetta di una
nota multinazionale dei diserbanti, recita così: “Buona Pratica Agricola nel
controllo delle malerbe, l’applicazione degli agrofarmaci non è corretta se
viene realizzata con attrezzature inadeguate”. Come possiamo ben notare, le
stesse multinazionali dell’agrochimica, che prima ci avvelenano e poi ci
“curano”, stravolgono il senso delle parole.
Domenica 5 Ottobre 2014 a Trani abbiamo concluso la 3
giorni del 2° meeting “Terra e Salute”, tra i relatori spiccavano alcuni nomi
noti del mondo accademico, il prof. Cristos Xiloyannis e il prof. Pietro
Perrino, ed erano entrambi a conoscenza della drammatica situazione in cui
versano i nostri olivi, ne abbiamo parlato a lungo, sono concordi con le nostre
analisi e con i nostri metodi naturali di intervento. La flora batterica è
completamente assente, le sostanze nutritive di origine organica sono granelli
di sabbia, la chimica non aiuta certo la pianta, anzi, contribuisce ad
abbassare le autodifese.
D. L’eradicazione di cui si parla può fermare il
batterio?
R. Che facciamo, applichiamo l’eutanasia agli olivi
viventi? Di olivi completamente morti non ce ne sono e l’eradicazione non è una
via percorribile e non risolve il problema batterio. Con i batteri e altri
patogeni dobbiamo convivere, Dio non ha creato animali per essere uccisi,
dobbiamo cercare il giusto equilibrio. Gli olivi sono la bellezza del nostro
paesaggio agro-culturale. I nostri olivi non si toccano!
D. Posto che si eradichi, il pollione che nascerà
crescerà sano?
R. Nelle zone più interessate all’essiccamento, Li Sauli,
Castellana, ecc., possiamo notare che l’arbusto olivo reagisce, ma non ha la
forza per mantenere tutto il peso della chioma, perché mancano le sostanze
nutrienti naturali. Quindi, è la pianta che lascia morire parte di se stessa.
Quando viene potata e quindi alleggerita dal suo carico, l’olivo reagisce,
perché concentra le proprie energie nutritive sui pochi rami rimasti.
D. Cosa pensa dell’ipotesi che la xylella sia stata
portata per boicottare l’olio di Terra d’Otranto?
R. Se sia stata importata o no, non sta a noi
verificarlo, avevamo dei dubbi e per questo presentammo un esposto in Procura.
Una cosa è certa: questa nostra martoriata Terra è sotto attacco, e gli
avvoltoi sono troppi, la nostra Terra fa gola a molti speculatori, fa gola pure
alle mafie del cemento.
D. Che interessi si giocano sul nostro olio?
R. La nostra Regione era la terra più vitata d’Italia,
poi ci convinsero a estirpare circa il 30-40% deiDSC_1301 nostri vitigni, con
punte del 50% nel Salento in cambio di 10-12 milioni delle vecchie lire per ha,
quote cedute alle Regioni del Nord. Non vorrei che si praticasse lo stesso
parassitismo per i nostri olivi: il Sud ha già dato troppo al Nord.
D. La raccolta 2014 è iniziata, la produzione calerà.
Dall’estero arrivano disdette di ordini: può rassicurare il consumatore che
nonostante il batterio l’olio prodotto è di ottima qualità?
R. L’attuale annata è scarsa in tutto il Bacino del Mediterraneo, e non a causa del batterio. La nostra preoccupazione è per le prossime annate, fin quando i nostri olivi non si riprenderanno. Quest’anno la produzione non sarà sufficiente a soddisfare tutte le richieste, e l’essiccamento non incide minimamente sulla qualità del prodotto. Siamo preoccupati dell’invasione di olio proveniente dagli impianti ultra-intensivi dell’Australia.
R. L’attuale annata è scarsa in tutto il Bacino del Mediterraneo, e non a causa del batterio. La nostra preoccupazione è per le prossime annate, fin quando i nostri olivi non si riprenderanno. Quest’anno la produzione non sarà sufficiente a soddisfare tutte le richieste, e l’essiccamento non incide minimamente sulla qualità del prodotto. Siamo preoccupati dell’invasione di olio proveniente dagli impianti ultra-intensivi dell’Australia.
Eppure la strage degli ulivi in Salento
diventa una denuncia sugli aspetti speculativi dell’ambiente. Scrive Antonio Bruno. La speculazione della Green
Economy Industriale, la stessa che sta devastando impunemente il nostro Paese con
pannelli e pale eoliche nelle campagne! La stessa lobby
politico-imprenditoriale trasversale che ha devastato la campagna di Puglia con
mega torri eoliche e che falcidia uccelli e stupra paesaggio, e con deserti
sconfinati di pannelli fotovoltaici. Non un solo albero è stato piantato contro
il “climate change” in Salento, contro la desertificazione, ma i suoli sono
stati strappati all’agricoltura e alla vita, e desertificati artificialmente al
fotovoltaico. E’ quello della Green Economy Industriale un mercato drogato da
iperincentivazione pubblica e di rapina! A partire dalla costituzione della
Banca Mondiale a Washington (accordi di Bretton Wood), uno dei primi obiettivi
fissati fu quello di riportare ricchezza nel Salento a beneficio dei salentini,
attraverso proprio l’ampio progetto di riforestazione del Salento, mediante la
piantumazione massiccia di piante autoctone, ma non fu mai portato a termine!
Il paradosso è che se ogni giorno sul Financial Times o sul The Guardian si
parla di riforestazione inglese per combattere il “climate change”, non si
riesce a capire come sia possibile che Governo, Regione e province ignorino del
tutto questa necessità per il Salento, terra d’Italia con il minor numero di
boschi, a causa di artificiali disboscamenti selvaggi. Mentre un tempo non
lontano era tra le più verdi e pittoresche regioni d’Italia, ed era anche più
ricca d’acqua in superficie, proprio grazie alla presenza del fitto manto
boschivo! Una foga economica degenerante, sviluppatasi purtroppo a partire dal
Protocollo di Kyoto, trasformato ingiustamente in cavallo di Troia della frode.
Ora, con la scusa dei fuochi accesi stupidamente nei campi dai contadini per
smaltire le ramaglie, si son giustificati inceneritori di biomasse-ramaglie, ed
in realtà anche rifiuti, a fini termoelettrici, di potenze fino ad 1MW,
realizzabili attraverso la incostituzionale L.R. 31/2008 della Puglia, con una
semplice DIA Dichiarazione di Inizio Attività presentata al comune interessato!
Un intero nocivo e pericoloso opificio industriale realizzato con una DIA!
Tutto questo quando invece bastava un’ordinanza dei sindaci per vietare quei
fuochi inutili fumosi ed indiscriminati nei campi, ed invitare i contadini a
triturare le ramaglie e altri scarti in loco, al fine di farne compost. Non a
caso nel mercato vi sono biotrituratori che triturano e spargono sminuzzati
scarti vegetali e organici in generale sui suoli, che in piccolissime pezzature
vanno incontro a rapidissimi processi di compostaggio naturale al suolo.
Serviva alimentare queste centrali a biomasse solide con scarti locali, secondo
la filiera corta, quale allora migliore trovata delle ramaglie e degli scarti
di potatura dei prossimi uliveti e vigneti per giustificarne l’autorizzazione,
spiegando che si sarebbe eliminato il problema dei fuochi nei campi! Problema
risolto portando tutta la biomassa in uno stesso luogo, magari alle porte di
una città, e accendendo lì nelle fornaci di quell’industria elettrica un fuoco
perenne, 24 ore su 24! Questa l’hanno chiamata soluzione ecocompatibile! Ma
allora non era meglio lasciar accendere quei fuochi sparsi nei campi, con un
effetto di diluizione dei fumi anziché concentrarli tutti a danno di una
comunità? E poi c'è il business del Pellet. Perché questo combustibile -
definito eco - è ormai un business da diversi zero, vista l'enorme richiesta di
questo combustibile. Mentre le analisi sui Pellet provenienti dalla Lituania
della NaturKraft continuano ad essere eseguite nei laboratori dei reperti
speciali dei Vigili del Fuoco di Roma, alcuni organi di stampa hanno riportato
la notizia di altre anomalie riscontrate in Pellet prodotti da una decina di
aziende italiane. Ricordiamo che i pellet devono essere prodotti con lo scarto
della lavorazione di legno vergine. Ossia, è vietato il riutilizzo di legno già
impiegato per altri scopi o altri prodotti. Quindi, per dirla in altre parole,
deve trattarsi di materiale di scarto proveniente dalle industrie che producono
e trasformano il legno vergine. Nel caso riportato da organi di stampa nazionale,
sembrerebbe che questo non stia succedendo. Anzi, nei pellet si troverebbero
tracce di legno utilizzate da mobilio vario, tra cui anche bare funerarie. Non
solo. Il Nucleo operativo ecologico (Noe) di Treviso ha denunciato 14 persone
di 10 aziende delle province di Treviso e Vicenza per la produzione di pellet
da residui di lavorazione del legno di provenienza illegale. Gli investigatori
hanno precisato che l’indagine non ha attinenze con i controlli sull’esistenza
di presunto materiale radioattivo nei pellet in atto da alcuni giorni. La
Procura di Treviso ha posto sotto sequestro un’azienda di San Michele di Piave
(ritenuta la maggiore produttrice di pellet in Italia) assieme a oltre 20 mila
tonnellate di legno trattato che sarebbe stato trasformato in combustibile per
stufe e bruciatori. Insomma, in questi pellet si troverebbero residui di
lavorazione di mobili, cornici, bare e altri prodotti trattati con vernici e
colle. Perché questo? Perché gli scarti di legno trattato costano all’incirca
la metà del legno vergine. Contaminato.
Ecco dimostrato. Responsabile di tutto è lo Stato e un
certo ambientalismo speculativo.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
Nessun commento:
Posta un commento