LE SCHIAVE
RUMENE, LA MAGISTRATURA ORBA, LA DEMAGOGIA DI SINISTRA ED IL SOLITO RAZZISMO
DEL NORD PER UN PROBLEMA COMUNE.
La
verità raccontata da un’altra prospettiva contro i maestrini dell’informazione,
spesso di sinistra ed ammanicati con i magistrati. Ed i leghisti ci sguazzano
nella verità artefatta.
E’ da venti anni che studio il sistema
Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono
scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia
del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono
valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed
alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com, CreateSapce.com e Google Libri.
Sul tema ho scritto “Uguaglianziopoli. L’Italia
delle disuguaglianze”.
C’era
una volta l’assistenzialismo, scrive Lanfranco Caminiti su “Il
Garantista”. Rovesciati come un calzino ci siamo ritrovati contro un
federalismo secessionista della Lega Nord che per più di vent’anni ci ha
sbomballato le palle rubandoci l’unica cosa in cui eravamo maestri, il
vittimismo. Siamo stati vittimisti per più di un secolo, dall’unità d’Italia in
poi, e a un certo punto ci siamo fatti rubare la scena da quelli del Nord – e i
trasferimenti di risorse, e le pensioni, e l’assistenzialismo e la pressione
fiscale e le camorre degli appalti pubblici – e l’unica difesa che abbiamo
frapposto è stata lo Stato. Siamo paradossalmente diventati i grandi difensori
dell’unità nazionale contro il leghismo. Noi, i meridionali, quelli che il
federalismo e il secessionismo l’avevano inventato e provato. Noi, che dello
Stato ce ne siamo sempre bellamente strafottuti. Li abbiamo votati. Partiti
nazionali, destra e sinistra, sindaci cacicchi e governatori, li abbiamo
votati. Ci garantivano le “risorse pubbliche”. Dicevano. Ci promettevano il
rinascimento, il risorgimento, la resistenza. Intanto però pagate. Come quelli
del Nord. Facciamogli vedere. Anzi, di più. La crisi economica del 2007 ha solo
aggravato una situazione già deteriorata. E ormai alla deriva. È stata la
classe media meridionale “democratica” l’artefice di questo disastro, con la
sua ideologia statalista. Spesso, loro che possono, ora che le tasse sono
diventate insopportabili, ora che il Sud è sfregiato, senza più coscienza di
sé, ora se ne vanno. O mandano i loro figli lontano. Chi non può, emigra. Di
nuovo, come sempre.
Non
solo i cittadini meridionali sono tartassati, ma sono anche soggetti a dei
disservizi estenuanti. E con ciò accusati di essere evasori fiscali. Eppure la
verità che non si racconta è un’altra.
Economia
Sommersa: Il Nord onesto e diligente evade più del Sud, scrive Emanuela
Mastrocinque su “Vesuviolive”. Sono queste le notizie che non dovrebbero mai
sfuggire all’attenzione di un buon cittadino del Sud. Per anni ci hanno
raccontato una storia che, a furia di leggerla e studiarla, è finita con il
diventare la nostra storia, l’unica che abbiamo conosciuto. Storia di miseria e
povertà superata dai meridionali grazie all’illegalità o all’emigrazione, le
due uniche alternative rimaste a “quel popolo di straccioni” (come ci definì
quella “simpatica” giornalista in un articolo pubblicato su “Il Tempo” qualche
anno fa). Eppure negli ultimi anni il revisionismo del risorgimento ci sta
aiutando a comprendere quanto lo stereotipo e il pregiudizio sia stato utile e
funzionale ai vincitori di quella sanguinosa guerra da cui è nata l‘Italia.
Serviva (e serve tutt‘ora) spaccare l’Italia. Da che mondo e mondo le società
hanno avuto bisogno di creare l’antagonista da assurgere a cattivo esempio,
così noi siamo diventati fratellastri, figli di un sentimento settentrionale
razzista e intollerante. Basta però avere l’occhio un po’ più attento per
scoprire che spesso la verità, non è come ce la raccontano. Se vi chiedessimo
adesso, ad esempio, in quale zona d’Italia si concentra il tasso più alto di
evasione fiscale, voi che rispondereste? Il Sud ovviamente. E invece non è
così.
Ma quale
Sud, è il Nord che ha la palma dell’evasione, scrive Vittorio Daniele su “Il
Garantista”. Al Sud si evade di più che al Nord. Questo è quanto comunemente si
pensa. Non è così, invece, secondo i dati della Guardia di Finanza, analizzati
da Paolo di Caro e Giuseppe Nicotra, dell’Università di Catania, in uno studio
di cui si è occupata anche la stampa (Corriere Economia, del 13 ottobre 2014).
I risultati degli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza mostrano
come, nelle regioni meridionali, la quota di reddito evaso, rispetto a quello
dichiarato, sia inferiore che al Nord. E ciò nonostante il numero di
contribuenti meridionali controllati sia stato, in proporzione, maggiore.
La seconda
considerazione è che il luogo comune di un’Italia divisa in due, con un Nord
virtuoso e un Sud di evasori, non corrisponde al vero. L’Italia è un paese
unito dall’evasione fiscale. Il fatto che in alcune regioni del Nord si sia
evaso di più che al Sud non ha nulla a che vedere né con l’etica, né con
l’antropologia. Dipende, più realisticamente, da ragioni economiche. L’evasione
difficilmente può riguardare i salari, più facilmente i profitti e i redditi
d’impresa. E dove è più sviluppata l’attività d’impresa? Come scrivevano gli
economisti Franca Moro e Federico Pica, in un saggio pubblicato qualche anno fa
della Svimez: «Al Sud ci sono tanti evasori per piccoli importi. Al Nord c’è
un’evasione più organizzata e per somme gigantesche». Quando si parla del Sud,
pregiudizi e stereotipi abbondano. Si pensa, così, che la propensione a
evadere, a violare le norme, se non a delinquere, sia, per così dire, un tratto
antropologico caratteristico dei meridionali. Ma quando si guardano i dati, e
si osserva la realtà senza la lente deformante del pregiudizio, luoghi comuni e
stereotipi quasi mai reggono. Di fronte agli stereotipi e alle accuse – e
quella di essere evasori non è certo la più infamante – che da decenni, ogni
giorno e da più parti, si rovesciano contro i meridionali, non sarebbe certo
troppo se si cominciasse a pretendere una rappresentazione veritiera della realtà.
E poi sul
caporalato al sud è una vera bufala.
Le
schiave e la magistratura orba. Il caso delle schiave rumene è l’esempio
eclatante di come la magistratura si muova solo dietro alle telecamere. Come
mai le istituzioni nel palese nulla vedevano? Come mai le denunce presentate
sono state insabbiate? A volte si pende dalle labbra di chi ha verità scontate,
ma anche interessate.
"Se
tua moglie non sta con me non vi pago". Romene nel ragusano tra ricatti e
soprusi. Dopo la nostra inchiesta sulle violenze sessuali nelle campagne
ragusane, il territorio si mobilita. Padre Beniamino: “Mi accusano di rovinare
il paese, ma non posso tacere”. Le aziende si difendono. Troppi sapevano e
hanno taciuto. Ci sono denunce di donne che risalgono a quattro anni fa. Cadute
nel vuoto, scrive Antonello Mangano su “L’Espresso”. Risale a quattro
anni fa la denuncia di una coppia rumena al commissariato di Vittoria. «Finché
tua moglie non fa un giorno d’amore con me, non vi pago gli arretrati». Il
ricatto finisce nel verbale. Nulla di segreto, la testimonianza si trova anche
nel video “Solidal”, prodotto dalla Cgil e reperibile in rete. Ma la denuncia
cade nel vuoto, la coppia rimane senza lavoro e va a vivere in un tugurio in
campagna. Anche la Chiesa non fa mancare il suo impegno. «Abbiamo accolto
alcune donne rumene in stato di gravidanza in parrocchia», racconta Padre
Beniamino Sacco, il primo a denunciare i “festini agricoli”. «Dicono che c’è il
consenso della donna? In stato di disagio economico non hai diritto a dire no.
Si tratta di violenza. La dignità di queste donne è offesa dall’atteggiamento
di “padronanza”. C’è chi pensa di poter usufruire della vita degli altri come
vuole e quando vuole».«Da 22 mesi aspettiamo un’ispezione in quell’azienda»
conclude Bellassai. «Registriamo troppa lentezza nella burocrazia», dice a
l’Espresso Emanuele Bellassai della cooperativa Proxima.
Tutti
a stracciarsi le vesti per una risaputa verità di parte. Però analizziamo le
frasi è tra queste rileviamo la verità oggettiva.
Si
evidenzia che, se fosse tutto vero, eventualmente tutti sapevano. Per la gente
comune passi, ma è inaccettabile che le istituzioni non si muovano. Giustappunto
sono pagate per effettuare le ispezioni e per indagare sulle denunce
presentate.
Di
loro nessuno ne parla. Invece i media pronti a cavalcare l’ovvio.
“Se
vuoi i soldi dammi tua moglie”. Ricatti come questo sono all’ordine del giorno
nel silenzio dei campi a Vittoria, in provincia di Ragusa, scrive “Blitz
Quotidiano”.
Schiave
romene: La situazione è gravissima, adolescenti violentate e costrette ad
abortire. Prosegue la nostra inchiesta nell'inferno delle campagne vicino a
Ragusa. "Mia moglie ha subito continue molestie dal padrone" racconta
un uomo alle nostre telecamere. Gli operatori delle Onlus sono stati
minacciati. E le interruzioni di gravidanza sono in aumento: "In ospedale
arrivano delle bambine, quindicenni che dopo il parto abbandonano i
figli", scrive Duccio Giordano su “L’Espresso”.
Sicilia,
sulle schiave romene si muove il Parlamento. Dopo l’inchiesta dell’Espresso,
due interrogazioni parlamentari sul caso delle immigrate dalla Romania
violentate e seviziate. Avviato in prefettura a Ragusa l’iter per un protocollo
d’intesa che coinvolgerà anche gli agricoltori. E la stampa della Romania si
interessa al caso, scrive Antonello Mangano su “L’Espresso”.
I
festini agricoli e gli aborti delle mille
schiave romene, scrive Dario Di Vico su “Il Corriere della Sera”.
Nell’epoca di Facebook, del tutto-in-Rete e dei conflitti gridati, esistono
ancora i drammi sordi. Quelli che si consumano nel silenzio, nello scorrere
uguale di giorno/notte e trasformano gli scandali in abitudini. Dopo le accuse
di don Beniamino Sacco e della Cgil sullo sfruttamento delle romene nelle
campagne di Vittoria, capitale del pomodoro ciliegino e datterino, ci si
comincia a chiedere cosa succeda veramente nella zona che va da Scoglitti ad
Acate, su su fino a Ragusa.
Braccianti
e schiave sessuali a Ragusa. Il Parlamento indaga sui festini agricoli, scrive
Luisa Pronzato su “Il Corriere della Sera”. Difficile farle denunciare. Le
operaie agricole rumene che lavorano nella “fascia trasformata” del ragusano
sono sfruttate, segregate, abusate. E ricattate dai loro padroni. Violenza
economica e sessuale oscurate da omertà, impossibilità di scelta, isolamento,
pregiudizio.
Su
questa falsa riga di rappresentare l’imprenditore agricolo del sud Italia come
l’orco che schiavizza gli immigrati e non solo, Alessandro
Leogrande, ormai famoso giornalista e scrittore impegnato, gira le scuole per parlare
con gli studenti del suo ultimo libro, “Uomini e caporali. Viaggio tra i
nuovi schiavi nelle campagne del Sud”, edito dalla Mondadori.
Eppure ad approfondire bene la materia si trova un’altra verità.
Tutta l’Italia è paese e i caporali sono gli stessi immigrati.
Sfruttamento nei campi: succede anche al nord, scrive Luigi Riccio su “Corriere
Immigrazione” Franciacorta, Chianti,
Castelnuovo Scrivia: anche qui migranti vessati e ricattati. Rosarno non è poi
così lontana. Lavoro nero, caporalato e sfruttamento dei
migranti rappresentano un elemento per così dire strutturale nell’agricoltura
del mezzogiorno d’Italia. E’ un fatto risaputo e documentato nel tempo da molti
articoli e da studi e ricerche. Una delle più recenti è quella coordinata da
Enrico Pugliese (Diritti violati, coop Dedalus). Ciò che è decisamente meno noto è che anche al Nord, in
regioni e contesti insospettabili, questo costume si è ormai radicato e
migranti sottopagati, costretti a orari impossibili e sforzi abnormi fanno
sempre più spesso da sfondo al paesaggio agricolo. Succede, per esempio,
in Franciacorta, sulle colline tra Brescia e il lago d’Iseo, dove si
concentrano aziende vitivinicole tra le più celebri d’Italia e si producono
bollicine di elevata qualità, in grado di competere con quelle francesi.
Caporalato
e mafie: “700mila schiavi nell’agricoltura italiana”. Il Flai-Cgil presenta il
primo rapporto su un fenomeno che non tocca solo le regioni del Sud. Dietro il
cibo che arriva sulle nostre tavole ci sono stagionali stranieri pagati 4 euro
l'ora in condizioni fuori da ogni regola. E spesso sotto il controllo mafioso,
scrive Elena Ciccarello su “Il Fatto Quotidiano”. Diversamente da quel che si
può credere però lo sfruttamento non riguarda solo il mezzogiorno, ma anche le
zone più floride del nord, come Piemonte, Lombardia,
provincia di Bolzano,
Emilia-Romagna
e Toscana (guarda la mappa completa).
In tutti questi territori, come in Campania, Basilicata,
Puglia,
Calabria
e Sicilia,
i ricercatori della Flai Cgil hanno scovato datori di lavoro e imprenditori che
truffano o ingannano i lavoratori stranieri, non corrispondendo loro i salari
maturati, o facendoli lavorare in nero, accompagnando il trattamento con
minacce più o meno velate e forme di violenza psico-fisica (manifeste o
paventate). In Italia il mondo del caporalato si è evoluto, lo racconta nel rapporto
Yvan Sagnet,
portavoce dei braccianti che hanno organizzato lo sciopero di Nardò (Lecce)
nell’estate del 2011 e oggi impegnato nella Flai-Cgil in Puglia: “Ci sono i
caporali e ci sono i sotto-caporali. Perché i caporali non possono gestire
tutto. Il caporale può avere quattro o cinque campi di raccolta e manda i suoi
assistenti a gestire i lavoratori. Ha una squadra, ha gli autisti, degli assistenti,
ha i cuochi. A Nardò c’era il capo de capi, era un tunisino.
Ma
è inutile tergiversare su un problema irrisolvibile. Gira gira la colpa però è
sempre del sistema.
Dall’entrata
in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le persone
denunciate o arrestate sono solo 42. La metà degli arresti al centro-nord.
“Parliamoci chiaramente, per gli imprenditori il costo del lavoro italiano è altissimo.
Ciò non giustifica l’assunzione di personale in nero, ma è indubbio che questo
fenomeno esiste proprio per sfuggire alle maglie di questo meccanismo,
soprattutto in questa grave crisi”. Il Procuratore di Foggia, Vincenzo Russo,
non usa mezzi termini. “È come l’evasione fiscale. Quanto più alta è la
tassazione, tanto più i soggetti sono invogliati ad evadere. Questo è indubbio.
Quindi, se il costo del lavoro diminuisse, probabilmente diminuirebbero anche
questi fenomeni”.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
PUOI
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