FALLIMENTI TRUCCATI. IL MARCIO DOVE NON TE LO ASPETTI:
NEI TRIBUNALI E NELLO SPORT.
Beni confiscati alla mafia in modo strumentale e
fallimenti truccati.
Chi controlla i controllori? Dal caso Cavallotti ai
casi di Danilo Filippini e di Sergio Briganti.
Venerdì 24 ottobre 2014 si tiene a
Taranto la conferenza prefettizia tra il Prefetto, Umberto Guidato, il
dirigente dell’Ufficio Ordine e Sicurezza Pubblica, sostituito dal capo di
Gabinetto, Michele Lastella e le associazioni antimafia operanti sul territorio
della provincia di Taranto. In quell’occasione è intervenuto il dr Antonio
Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”, oltre che
scrittore e sociologo storico, che da venti anni studia il sistema Italia, a carattere locale come a
livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi,
raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che
siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei
media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla
politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com.
CreateSapce.com e Google Libri.
Il dr Antonio Giangrande ebbe ad affermare che nuovi
fenomeni si affacciavano nel mondo dell’illegalità: l’usura di Stato con
Equitalia, l’usura bancaria e, per la crisi imperante, l’usura pretestuosa,
ossia la denuncia di usura per non pagare i fornitori.
Il prefetto ed il suo vice, in qualità di
rappresentanti burocratici del sistema statale prontamente hanno contestato
l’esistenza dell’illegalità para statale e para bancaria, mettendo in dubbio
l’esistenza di indagini giudiziarie che hanno svelato il fenomeno.
Eppure La
corruzione passa per il tribunale. Tra mazzette, favori e regali. Nei palazzi
di giustizia cresce un nuovo fenomeno criminale. Che vede protagonisti
magistrati e avvocati. C'è chi aggiusta sentenze in cambio di denaro, chi vende
informazioni segrete e chi rallenta le udienze. Il Pm di Roma: Un fenomeno
odioso, scrive Emiliano Fittipaldi su
“L’Espresso”. A Napoli,
dove il caos è dannazione di molti e opportunità per gli scaltri, il tariffario
lo conoscevano tutti: se un imputato voleva comprarsi il rinvio della sua
udienza doveva sganciare non meno di 1.500 euro. Per “un ritardo” nella
trasmissione di atti importanti, invece, i cancellieri e gli avvocati loro complici
ne chiedevano molti di più, circa 15mila. «Prezzi trattabili, dottò...»,
rabbonivano i clienti al telefono. Soldi, mazzette, trattative: a leggere le
intercettazioni dell’inchiesta sul “mercato delle prescrizioni” su cui ha
lavorato la procura di Napoli, il Tribunale e la Corte d’Appello partenopea
sembrano un suk, con pregiudicati e funzionari impegnati a mercanteggiare
sconti che nemmeno al discount. Quello campano non è un caso isolato. Se
a Bari un
sorvegliato speciale per riavere la patente poteva pagare un magistrato con
aragoste e champagne, oggi in Calabria
sono tre i giudici antimafia accusati di corruzione per legami
con le ’ndrine più feroci. Alla Fallimentare di Roma un gruppo formato da giudici e commercialisti ha
preferito arricchirsi facendo da parassita sulle aziende in difficoltà. Gli
imprenditori disposti a pagare tangenti hanno scampato il crac grazie a
sentenze pilotate; gli altri, che fallissero pure. Ma negli ultimi tempi
magistrati compiacenti e avvocati senza scrupoli sono stati beccati anche nei
Tar, dove in stanze anonime si decidono controversie milionarie, o tra i
giudici di pace. I casi di cronaca sono centinaia, in aumento esponenziale,
tanto che gli esperti cominciano a parlare di un nuovo settore illegale in
forte espansione: la criminalità del giudiziario. «Ciò che può costituire reato
per i magistrati non è la corruzione per denaro: di casi in cinquant’anni di
esperienza ne ho visti tanti che si contano sulle dita di una sola mano. Il
vero pericolo è un lento esaurimento interno delle coscienze, una crescente
pigrizia morale», scriveva nel 1935 il giurista Piero Calamandrei nel suo
“Elogio dei giudici scritto da un avvocato”. A ottant’anni dalla pubblicazione
del pamphlet, però, la situazione sembra assai peggiorata. La diffusione della
corruzione nella pubblica amministrazione ha contagiato anche le aule di
giustizia che, da luoghi deputati alla ricerca della verità e alla lotta contro
il crimine sono diventati anche occasione per business illegali. Nello Rossi,
procuratore aggiunto a Roma, prova a definire caratteristiche e contorni al
fenomeno: «La criminalità del giudiziario è un segmento particolare della
criminalità dei colletti bianchi. Una realtà tanto più odiosa perché giudici,
cancellieri, funzionari e agenti di polizia giudiziaria mercificano il potere
che gli dà la legge». Se la corruzione è uno dei reati più diffusi e la figura
del giudice comprato è quella che desta più scandalo nell’opinione pubblica, il
pm che ha indagato sulla bancarotta Alitalia e sullo Ior ricorda come tutti
possono cadere in tentazione, e che nel gran bazar della giurisdizione si può
vendere non solo una sentenza, ma molti altri articoli di enorme valore. «Come
un’informazione segreta che può trasformare l’iter di un procedimento, un ritardo
che avvicina la prescrizione, uno stop a un passaggio procedurale, fino alla
sparizione di carte compromettenti». Numeri ufficiali sul fenomeno non
esistono. Per quanto riguarda i magistrati, le statistiche della Sezione
disciplinare del Csm non fotografano i procedimenti penali ma la più ampia
sfera degli illeciti disciplinari. Nell’ultimo decennio, comunque, non sembra
che lo spirito di casta sia prevalso come un tempo: se nel 2004 le assoluzioni
erano quasi doppie rispetto alle condanne (46 a 24) ora il trend si è
invertito, e nei primi dieci mesi del 2012 i giudici condannati sono stati ben
36, gli assolti 27. «Inoltre, se si confrontano queste statistiche con quelle
degli altri Paesi europei redatte dalla Cepej - la Commissione europea per
l’efficacia della giustizia - sulla base dei dati del 2010», ragiona in un
saggio Ernesto Lupo, fino al 2013 primo presidente della Cassazione, «si scopre
che a fronte di una media statistica europea di 0,4 condanne ogni cento
giudici, il dato italiano è di 0,6». Su trentasei Paesi analizzati dalla
Commissione, rispetto all’Italia solo in cinque nazioni si contano più
procedimenti contro i magistrati. Chi vuole arricchirsi illegalmente sfruttando
il settore giudiziario ha mille modi per farlo. Il metodo classico è quello di
aggiustare sentenze (come insegnano i casi scuola delle “Toghe Sporche” di
Imi-Sir e quello del giudice Vittorio Metta, corrotto da Cesare Previti
affinché girasse al gruppo Berlusconi la Mondadori), ma spulciando le carte
delle ultime indagini è la fantasia a farla da padrona. L’anno scorso la
Procura di Roma ha fatto arrestare un gruppo, capeggiato da due avvocati, che
ha realizzato una frode all’Inps da 22 milioni di euro: usando nomi di
centinaia di ignari pensionati (qualcuno era morto da un pezzo) hanno
mitragliato di cause l’istituto per ottenere l’adeguamento delle pensioni. Dopo
aver preso i soldi la frode continuava agli sportelli del ministero della
Giustizia, dove gli avvocati chiedevano, novelli Totò e Peppino, il rimborso
causato delle «lungaggini» dei finti processi. Un avvocato e un giudice di
Taranto, presidente di sezione del tribunale civile della città dei Due Mari,
sono stati invece arrestati per aver chiesto a un benzinaio una tangente di
8mila euro per combinare un processo che il titolare della pompa aveva con una
compagnia petrolifera. Se a Imperia un magistrato ha aiutato un pregiudicato a
evitare la “sorveglianza speciale” dietro lauto compenso, due mesi fa un
giudice di pace di Udine, Pietro Volpe, è stato messo ai domiciliari perché
(insieme a un ex sottufficiale della Finanza e un avvocato) firmava falsi
decreti di dissequestro in favore di furgoni con targa ucraina bloccati dalla
polizia mentre trasportavano merce illegale sulla Venezia-Trieste. Il giro
d’affari dei viaggi abusivi protetti dal giudice era di oltre 10 milioni di
euro al mese. Raffaele Cantone, da pochi giorni nominato da Matteo Renzi
presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenzia come l’aumento dei
crimini nei palazzi della legge può essere spiegato, in primis, «dall’enorme
numero di processi che si fanno in Italia: una giustizia dei grandi numeri
comporta, inevitabilmente, meno trasparenza, più opacità e maggiore difficoltà
di controllo». I dati snocciolati tre mesi fa dal presidente della Cassazione
Giorgio Santacroce mostrano che le liti penali giacenti sono ancora 3,2
milioni, mentre le cause civili arretrate (calate del 4 per cento rispetto a un
anno fa) superano la cifra-monstre di 5,2 milioni. «Anche la farraginosità
delle procedure può incoraggiare i malintenzionati» aggiunge Rossi. «Per non
parlare del senso di impunità dovuto a leggi che - sulla corruzione come
sull’evasione fiscale - sono meno severe rispetto a Paesi come Germania,
Inghilterra e Stati Uniti: difficile che, alla fine dei processi, giudici e
avvocati condannati scontino la pena in carcere». Tutto si muove attorno ai
soldi. E di denaro, nei tribunali italiani, ne gira sempre di più. «Noi giudici
della sezione Grandi Cause siamo un piccolo, solitario, malfermo scoglio sul quale
piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose, vere schiumose montagne.
E cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, uomini tremendi... insomma
forze veramente selvagge il cui urto, poveri noi meschini, è qualcosa di
selvaggio, di affascinante, di feroce. Io vorrei vedere il signor ministro al
nostro posto!», si difendeva Glauco Mauri mentre impersonava uno dei giudici
protagonisti di “Corruzione a palazzo di giustizia”, pièce teatrale scritta dal
magistrato Ugo Betti settant’anni fa. Da allora l’importanza delle toghe nella
nostra vita è cresciuta a dismisura. «Tutto, oggi, rischia di avere strascichi
giudiziari: un appalto, un concorso, una concessione, sono milioni ogni anno i
contenziosi che finiscono davanti a un giudice», ragiona Rossi. I mafiosi nelle
maglie larghe ne approfittano appena possono, e in qualche caso sono riusciti a
comprare - pagando persino in prostitute - giudici compiacenti. In Calabria il
gip di Palmi Giancarlo Giusti è stato arrestato dalla Dda di Milano per corruzione
aggravata dalle finalità mafiose («Io dovevo fare il mafioso, non il giudice!»,
dice ironico Giusti al boss Giulio Lampada senza sapere di essere
intercettato), mentre accuse simili hanno distrutto le carriere del pm Vincenzo
Giglio e del finanziere Luigi Mongelli. A gennaio la procura di Catanzaro ha
indagato un simbolo calabrese dell’antimafia, l’ex sostituto procuratore di
Reggio Calabria Francesco Mollace, che avrebbe “aiutato” la potente ’ndrina dei
Lo Giudice attraverso presunte omissioni nelle sue indagini. Sorprende che in
quasi tutte le grandi istruttorie degli ultimi anni insieme a politici e
faccendieri siano spesso spuntati nomi di funzionari di giustizia e poliziotti.
Nell’inchiesta sulla cricca del G8 finirono triturati consiglieri della Corte
dei Conti, presidenti di Tar e pm di fama (il procuratore romano Achille Toro
ha patteggiato otto mesi), mentre nell’inchiesta P3 si scoprì che erano molti i
togati in contatto con l’organizzazione creata da Pasquale Lombardi e Flavio
Carboni per aggiustare processi. Anche il lobbista Luigi Bisignani, insieme al
magistrato Alfonso Papa, aveva intuito gli enormi vantaggi che potevano venire
dal commercio di informazioni segrete: la P4, oltre che di nomine nella
pubblica amministrazione, secondo il pubblico ministero Henry Woodcock aveva la
sua ragion d’essere proprio nell’«illecita acquisizione di notizie e di
informazioni» di processi penali in corso. Secondo Cantone «nel settore
giudiziario, e in particolare nei Tar e nella Fallimentare, si determinano
vicende che dal punto di vista economico sono rilevantissime: che ci siano
episodi di corruzione, davanti a una massa così ingente di denaro, è quasi
fisiologico». I casi, in proporzione, sono ancora pochi, ma l’allarme c’è. Se i
Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali di ogni tipo (al Tar Lazio
è finito nei guai il giudice Franco Maria Bernardi; nelle Marche il presidente
Luigi Passanisi è stato condannato in primo grado per aver accettato la
promessa di ricevere 200 mila euro per favorire l’imprenditore Amedeo Matacena,
mentre a Torino è stato aperto un procedimento per corruzione contro l’ex
presidente del Tar Piemonte Franco Bianchi), una delle vicende più emblematiche
è quella della Fallimentare di Roma. «Lì non ci sono solo spartizioni di
denaro, ma anche viaggi e regali: di tutto di più. Una nomina a commissario
giudiziale vale 150 mila euro, pagati al magistrato dal professionista
incaricato. Tutti sanno tutto, ma nessuno fa niente», ha attaccato i colleghi
il giudice Chiara Schettini, considerata dai pm di Perugia il dominus della
cricca che mercanteggiava le sentenze del Tribunale della Capitale. Dinamiche
simili anche a Bari, dove l’inchiesta “Gibbanza” ha messo nel mirino la sezione
Fallimentare della città mandando a processo una quarantina tra giudici,
commercialisti, avvocati e cancellieri. «Non bisogna stupirsi: il nostro
sistema giudiziario soffre degli stessi problemi di cui soffre la pubblica
amministrazione», spiega Daniela Marchesi, esperta di corruzione e
collaboratrice della “Voce.info”. Episodi endemici, in pratica, visto che anche
Eurostat segnala che il 97 per cento degli italiani considera la corruzione un
fenomeno “dilagante” nel Paese. «Mai visto una città così corrotta», protesta
uno dei magistrati protagonisti del dramma di Betti davanti all’ispettore
mandato dal ministro: «Il delitto dei giudici, in conclusione, sarebbe quello
di assomigliare un pochino ai cittadini!». Come dargli torto?
A conferma di ciò mi sono imbattuto nel servizio di
TeleJato di Partinico (Pa) del 21 ottobre 2014 che al minuto 31,32 il direttore
Pino Maniaci spiega: «Ci occupiamo ancora una volta di beni sequestrati. Questa
mattina una audizione al Consiglio Superiore della Magistratura, scusate in
Commissione Nazionale Antimafia, alla presenza della Bindi, alcuni procuratori
aggiunti e pubblici ministeri di Palermo stanno parlando di Italgas. Quelli di
Italgas è tutto un satellite ed una miriade di altre società che ci girano
intorno, dove dovranno spiegare come mai le misure di prevenzione di Palermo
hanno deciso di mettere sotto amministrazione giudiziaria questa società a
livello nazionale. Sapete perché? Perché un certo Modica De Mohac, già il nome
è quanto dire, altosonante, ha venduto, mentre le società erano sottosequestro.
Dovevano essere semplicemente essere amministrate e per legge non toccate. E
per legge in un anno si deve redimere se quel bene va confiscato
definitivamente o restituito ai legittimi proprietari. I Cavallotti di Belmonte
Mezzagno, assolti con formula piena dall’accusa di mafia, da ben 16 anni hanno
i beni sottoposti a sequestro. 16 anni!! Dottoressa Saguto, 16 anni!!! Il
Tribunale può violare la legge? In questo caso, sì. E che cosa è successo? Le
imprese, le ditte, i paesi che sono stati metanizzati dai Cavallotti, da Modica
De Mohac, naturalmente sotto la giurisdizione delle misure di prevenzione della
dottoressa Saguto, ha venduto questa metanizzazione, ha venduto queste società
all’Italgas. E lì, dopo si è scoperto, che essendoci le società dei Cavallotti,
guarda caso l’Italgas è infiltrata mafiosa. E cosa si fa? Si sequestra
l’Italgas! Sono quei paradossi tutti nostri. Tutti siculi. Dove, sinceramente,
chi amministra la giustizia, che commette queste illegalità la fa sempre da
padrone e la fa sempre franca. Ma è possibile? In Sicilia sì!! Vediamo i
particolari nel servizio. “Italgas alcuni mesi fa è stata sequestrata e messa
sotto tutela, cioè affidata alle cure di amministratori giudiziari ed ispettori
che entro 6 mesi dovrebbero verificare se nell’azienda ci sono o ci sono stati
infiltrazioni mafiose. La Guardia di Finanza, non si sa se ispirata dal giudice
che si occupa dell’ufficio di misure di prevenzione (sapete chi è? La solita
dottoressa Saguto, ha trovato che alcuni pezzi di attività delle società erano
stati rilevati presso le aziende Cavallotti di Belmonte Mezzagno che si
occupavano di metanizzazione. Ma da qui 16 anni sono sotto sequestro.
L’operazione di trasferimento degli impianti di metano dei vari comuni venduti
in parte all’Italgas per un importo di 20 milioni di euro ed un’altra parte
prima alla Coses srl, azienda posta sotto sequestro, amministrata dal Modica,
tramite una partita di giro contabile avvenuto nel 2007 per un importo di 2
milioni di euro. Poi gli stessi impianti, dopo essere stati in possesso della
Coses srl vengono rivenduti sempre alla Italgas per un importo di 5 milioni di
euro. E dopo aver incassato la somma, la stessa Comest Srl, amministrata sempre
dal Modica, provvede a trasferire i ricavati della vendita degli impianti di
metano nelle società riconducibili ad esso stesso ed ai suoi familiari. Questa
manovra è avvenuta semplice al Modica, in quanto alla Comest srl era ed è
confiscata e definitivamente passata al demanio. Il Prefetto Caruso, quando era
direttore dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, accortosi
delle malefatte del Modica De Mohac, ha provveduto a sollevare il Modica da
tutti i suoi incarichi per poi affidarli ad altri amministratori del tribunale
di Palermo. E’ chiaro che l’operazione di vendita, come prescrive la legge,
deve essere fatta con il consenso del giudice che ha nominato l’amministratore
stesso e quindi la solita dottoressa Saguto dovrebbe essere al corrente di
quanto oggi la Commissione Antimafia vorrebbe sapere, avendo convocato il
procuratore aggiunto di Palermo Dino Petralia, il Pubblico Ministero Dario
Scaletta ed il pubblico ministero Maurizio De Lucia. Non è chiaro quanto
c’entrano i magistrati in tutto questo e perché non ha interrogato il
magistrato che invece c’entra. In Italia funziona proprio così. Per complicare
quest’indagine è stata associata un’altra indagine che non c’entra con i
fratelli Cavallotti e che riguarda una serie di aziende a suo tempo del tutto
concorrenziali con quelle degli stessi Cavallotti e che facevano capo a Ciancimino,
al suo collaboratore prof. Lapis ed ad un altro suo socio. Le notizie
trasmesse dalla stampa lasciano credere invece che le aziende dei Cavallotti
sono ed agiscono assieme a quelle di Ciancimino e che l’infiltrazione mafiosa
che riguarda due cose diverse sia invece la medesima cosa. Staremo a vedere se
passati 6 mesi di controllo e l’Italgas potrà tornare a distribuire il suo gas
senza pagare di tasca sua il solito amministratore giudiziario e se l’attività
persecutoria che si accanisce sui fratelli Cavallotti, assolti, ricordiamo, in
via definitiva ma sempre sotto il mirino della solita dottoressa Saguto, possa
continuare all’infinito per tutta la settima generazione. Per quanto riguarda
l’audizione del giudice Scaletta, egli ha avuto in mano le indagini che
riguardavano la discarica di Clin in Romania. Una parte della quale, la cui
proprietà è stata attribuita a Ciancimino è amministrata dal solito re degli
amministratori giudiziari, Cappellano Seminara, che è sotto processo per aver
combinato alcuni imbrogli nel tentativo di impadronirsi di una parte di quella
discarica. Ma fermiamoci. Il discorso è così complesso che siamo convinti che
la Commissione Antimafia preferirà metterlo da parte e lasciare tutto come si
trova per non scoprire una tana di serpi o per non aprire il coperchio di
una pentola dove c’è dentro lo schifo distillato. Per una volta non soltanto di
distilleria Bertollini. (Parla la Bindi: La Commissione ha registrato un
fallimento sui beni confiscati. Non è così. Non abbiamo registrato un
fallimento perché i risultati sono stato ottenuti e non perché questa è la
città dove metà dei beni sequestrati della mafia sono in questa città e
le misure di prevenzione e la gestione di questi beni che è stata fatta in
questa città e di questa regione ha fatto scuola in tutta Italia.) Sono quei
bordelli tutti siculi, sai perché? Ti trovi nella terra del Gattopardo:
cambiare tutto per non cambiare un cazzo….»
Uno dice, meno male che di pulito in Italia ci rimane
lo sport. Segno tangibile di purezza, sportività e correttezza.
Giovanni Malagò, n.1 dello sport italiano, un po'
abbacchiato per i 16 mesi di squalifica come... nuotatore, scrive Fulvio
Bianchi su “La Repubblica”. Un momento difficile per tutto lo sport italiano,
specie nelle istituzioni del calcio. Un momento non facile per la Lega Pro e il
suo storico presidente Mario Macalli: dossier e denunce sono nelle mani della
Procura federale (sperando che Palazzi, almeno stavolta, faccia in fretta) e
anche della Repubblica della Repubblica di Firenze. Sono tanti, troppi, i
fronti aperti: la Lega Pro ha licenziato il direttore generale Francesco
Ghirelli, già braccio destro di Franco Carraro. E Ghirelli ha
"confezionato" un dossier (scottante) che Macalli ha fatto avere al
superprocuratore Palazzi. Lo stesso Palazzi presto potrebbe deferire il n.1
della Lega, e vicepresidente Figc, per il caso Pergocrema (vedi Spy Calcio
dell'8 ottobre). In caso di condanna definitiva superiore ad un anno,
decadrebbe dalle sue cariche. Inoltre la Procura della Repubblica di Firenze
l'estate scorsa ha rinviato a giudizio Macalli sempre per il Pergocrema. La
stessa Procura toscana avrebbe aperto un fascicolo anche sull'acquisto della
splendida sede fiorentina della Lega, sede inaugurata da Platini. In ballo ci
sono un fallimento e un paio di milioni..
Il presidente del Coni Giovani Malagò è stato
condannato dalla Disciplinare della Federnuoto a 16 mesi di squalifica in
qualità di presidente dell'Aniene, società per la quale gareggia anche Federica
Pellegrini, scrive “La Gazzetta dello Sport”. Per Malagò dunque scatta la
sospensione da ogni attività sociale e federale per il periodo in questione. E'
stata così riconosciuta la responsabilità di Malagò per "mancata
lealtà" e "dichiarazioni lesive della reputazione" del
presidente federale Barelli, denunciato dal Coni per una presunta doppia fatturazione.
Il caso era nato per una denuncia del Coni, presieduto da Malagò, alla Procura
della Repubblica di Roma, per una presunta doppia fatturazione per 820mila euro
per lavori di manutenzione della piscina del Foro Italico in occasione dei
Mondiali di nuoto. Nel registro degli indagati era stato iscritto il presidente
della Federnuoto Barelli, ma il pm aveva chiesto al gip l'archiviazione. La
partita giudiziaria era stata poi riaperta dalla decisione di quest'ultimo di
chiedere un supplemento di indagini, tuttora in corso. Nel frattempo, nuovi
colpi di scena. Barelli, infatti, ha invitato la Procura federale della Fin ad
"accertare" e valutare i comportamenti di Malagò, nella sua
condizione di membro della Fin come presidente della Canottieri Aniene. Un
invito a verificare se ci possano essere state "infrazioni
disciplinarmente rilevanti" nelle parole con cui Malagò riassunse la
vicenda nella giunta Coni del 4 marzo, parlando, sono espressioni dello stesso
Malagò davanti al viceprocuratore federale, "come presidente del Coni e
non da tesserato Fin". Il documento-segnalazione di Barelli accusava in
sostanza Malagò di aver detto il falso in Giunta accusando ingiustamente la
Federazione. La nota Fin citava la "mancata lealtà" e le "dichiarazioni
lesive della reputazione", gli articoli 2 e 7, che Malagò avrebbe violato
con le sue parole su Barelli in Giunta sulle "doppie fatturazioni". I
legali del Coni avevano sollevato eccezioni di nullità, illegittimità e
incompetenza, depositando anche il parere richiesto dalla Giunta al Collegio di
Garanzia dello Sport, che chiariva la non competenza degli organi di giustizia
delle Federazioni su vicende del genere.
Il passato scomodo di Tavecchio, scrivono da par loro
Tommaso Rodano e Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano. "Spuntano una
denuncia per calunnia contro il super candidato alla Federcalcio e un dossier
depositato in procura che lo riguarda. E si scoprono strane storie, dalle spese
pazze fino al doppio salvataggio del Messina. Ogni giorno che passa, e ne
mancano cinque all’annunciata investitura in Federcalcio, il ragionier Carlo
Tavecchio arruola dissidenti, smarrisce elettori: resiste però, faticosamente resiste.
Nonostante le perplessità di Giovanni Malagò (Coni), dei calciatori più famosi
e di qualche squadra di serie maggiore o inferiore. Il padrone dei Dilettanti,
che dal ‘99 gestisce un’azienda da 700.000 partite a stagione e da 1,5 miliardi
di euro di fatturato, com’è da dirigente? Dopo aver conosciuto le sue non
spiccate capacità oratorie, tra donne sportive handicappate e africani
mangia-banane, conviene rovistare nel suo passato. E arriva puntuale una
denuncia per calunnia contro Tavecchio, depositata in Procura a Varese due
giorni fa, a firma Danilo Filippini, ex proprietario dell’Ac Pro Patria et
Libertate, a oggi ancora detentore di un marchio storico per la città di Busto
Arsizio. Per difendersi da una querela per diffamazione – su un sito aveva definito
il candidato favorito alla Figc un “pregiudicato doc” – Filippini ha deciso di
attaccare: ha presentato documenti che riguardano il Tavecchio imprenditore e
il Tavecchio sportivo, e se ne assume la responsabilità. Oltre a elencare le
cinque condanne che il brianzolo, già sindaco di Ponte Lambro, ha ricevuto
negli anni (e per i quali ha ottenuto una riabilitazione) e i protesti per
cambiali da un miliardo di lire dopo il fallimento di una sua azienda (la
Intras srl), Filippini allega una lettera, datata 24 ottobre 2000, Tavecchio
era capo dei Dilettanti dal maggio ‘99. Luigi Ragno, un ex tenente colonnello
dei Carabinieri, già commissario arbitrale, vice di Tavecchio, informa i
vertici di Lega e Federazione di una gestione finanziaria molto personalistica
del presidente. E si dimette. “Mi pregio comunicare che nel corso del Consiglio
di Presidenza – si legge – è stato rilevato che la Lega intrattiene un rapporto
di conto corrente presso la Cariplo di Roma, aperto successivamente al Primo
Luglio 1999 (…). L’apertura del conto corrente appare correlata alla
comunicazione del Presidente di ‘avere esteso alla Cariplo, oltre alla Banca di
Roma già esistente, la gestione dei fondi della Lega. Entrambi gli Istituti
hanno garantito, oltre alla migliore offerta sulla gestione dei conti, forme di
sponsorizzazione i cui contenuti sono in corso di contrattazione”. Quelle erano
le premesse, poi partono le contestazioni a Tavecchio: “Non risulta che alcun
organo collegiale della Lega sia mai stato chiamato a esprimere valutazioni in
ordine a offerte formulate dagli Istituti di credito di cui sopra”. “Risulta
che non sono state prese in considerazione dal presidente più di venti offerte
di condizione presentate in busta chiusa da primarie banche che operano su
Roma, le quali erano state contattate dal commissario”. “Non risulta che né la
Banca di Roma né la Cariplo abbiano concluso con la Lega accordi di
sponsorizzazione”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale del
bilancio della Lega non appare, nella voce ‘banche’, la presenza del conto
corrente acceso presso Cariplo”. “Nella sezione Attività della situazione
patrimoniale, alla voce ‘Liquidità/Lega Nazionale Dilettanti’ risulta l’importo
di Lire 18.774.126.556, che non rappresenta, come potrebbe sembrare a prima
vista, il totale delle risorse finanziarie dei Comitati e delle Divisioni
giacenti presso la Lega, bensì è costituito da un saldo algebrico tra posizioni
creditorie e posizioni debitorie nei confronti della Lega”. Segue una
dettagliata tabella dei finanziamenti ai vari Comitati regionali, e viene così
recensita: “Il presidente della Lega ha comunicato che ai suddetti
‘finanziamenti di fatto’ è applicato il tasso di interesse del 2,40%, la cui
misura peraltro non è stata stabilità da alcun organo collegiale”. Il vice di
Tavecchio fa sapere di aver scoperto anche un servizio di “private banking”,
sempre con Cariplo, gestito in esclusiva dal ragionier brianzolo: “Nessun
Organo collegiale della Lega ha mai autorizzato l’apertura di tale rapporto (…)
e mai ha autorizzato il presidente a disporre con firma singola (…) Trattasi di
un comportamento inspiegabile e ingiustificabile, anche in considerazione della
consistenza degli importi non inferiore ai venti miliardi di lire”. Ragno
spedisce una raccomandata alla Cariplo, e si congeda dai Dilettanti di
Tavecchio: “Di fronte all’accertata mancanza di chiarezza, di trasparenza e di
correttezza e di gravi irregolarità da parte del massimo esponente della Lega,
non mi sento di avallare tale comportamento gestionale e comunico le immediate
dimissioni”. Per comprendere la natura del consenso costruito minuziosamente da
Tavecchio nella gestione della Lega Dilettanti, un caso esemplare è quello del
Messina calcio. La società siciliana approda in Lnd nella stagione sportiva
2008-2009. La famiglia Franza è stufa del suo giocattolo, vorrebbe vendere la
squadra, ma non trova acquirenti. Il Messina è inghiottito dai debiti. Dovrebbe
militare in serie B, ma il presidente Pietro Franza non l’iscrive al campionato
cadetto: deve ricominciare dai dilettanti. Il problema è che il Messina è
tecnicamente fallito (la bancarotta arriverà dopo pochi mesi) e non avrebbe le
carte in regola nemmeno per ripartire da lì. E invece Tavecchio, con una
forzatura, firma l’iscrizione dei giallorossi alla Lega che dirige. L’uomo
chiave si chiama Mattia Grassani, principe del foro sportivo e, guarda caso,
consulente personale di Tavecchio e della stessa Lnd: è lui a curare i
documenti (compreso un fantasioso piano industriale per una società ben oltre
l’orlo del crac) su cui si basa l’iscrizione dei siciliani. In pratica, si
decide tutto in casa. Nel 2011 il Messina, ancora in Lega dilettanti, è di
nuovo nei guai. Dopo una serie di vicissitudini, la nuova società (Associazione
Calcio Rinascita Messina) è finita nelle mani dell’imprenditore calabrese Bruno
Martorano. La gestione economica non è più virtuosa di quella dei suoi
predecessori. Martorano firma in prima persona la domanda d’iscrizione della
squadra alla Lega. Non potrebbe farlo: sulle sue spalle pesa un’inibizione
sportiva di sei mesi. Non solo. La documentazione contiene, tra le altre, la
firma del calciatore Christian Mangiarotti: si scoprirà presto che è stata
falsificata. Il consulente del Messina (e della Lega, e di Tavecchio) è sempre
Grassani: i giallorossi anche questa volta vengono miracolosamente iscritti
alla categoria. Poi, una volta accertata l’irregolarità nella firma di
Mangiarotti, la sanzione per il Messina sarà molto generosa: appena 1 punto in
classifica (e poche migliaia d’euro, oltre ad altri 18 mesi di inibizione per
Martorano). Tavecchio, come noto, è l’uomo che istituisce la commissione “per
gli impianti sportivi in erba sintetica” affidandola all’ingegnere Antonio
Armeni, e che subito dopo assegna la “certificazione e omologazione” degli
stessi campi da calcio alla società (Labosport srl) partecipata dal figlio,
Roberto Armeni. Non solo: la Lega Nazionale Dilettanti di Tavecchio ha
un’agenzia a cui si affida per l’organizzazione di convegni, cerimonie ed
assemblee. Si chiama Tourist sports service. Uno dei due soci, al 50 per cento,
si chiama Alberto Mambelli. Chi è costui? Il vice presidente della stessa Lega
dilettanti e lo storico braccio destro di Tavecchio. Un’amicizia di lunga data.
Nel 1998 Tavecchio è alla guida del comitato lombardo della Lnd. C’è il
matrimonio della figlia di Carlo, Renata. Mambelli è tra gli invitati. Piccolo
particolare: sulla partecipazione c’è il timbro ufficiale della Figc, Comitato
Regionale Lombardia. Quando si dice una grande famiglia."
«Denuncio Tavecchio. Carriera fatta di soprusi» dice
Danilo Filippini a “La Provincia Pavese”. A quattro giorni dalle elezioni Figc,
Carlo Tavecchio continua a tenere duro, incurante delle critiche e delle prese
di posizione - sempre più numerose e autorevoli - di coloro che ritengono l’ex
sindaco di Ponte Lambro del tutto inadeguato a guidare il calcio italiano.
Tavecchio è stato anche denunciato per calunnia da Danilo Filippini, ex
presidente della Pro Patria che ha gestito la società biancoblù dall’ottobre 1988
all’ottobre 1992.
Filippini, perché ha deciso di querelare Tavecchio?
«Scrivendo sul sito di Agenzia Calcio, definii
Tavecchio un pregiudicato doc e un farabutto, naturalmente argomentando nei
dettagli la mia posizione e allegando all’articolo il suo certificato penale
storico. Offeso per quell’articolo, Tavecchio mi ha denunciato per
diffamazione. Così, tre giorni fa, ho presentato alla Procura di Varese una
controquerela nei suoi confronti, allegando una ricca documentazione a sostegno
della mia tesi».
In cosa consiste la documentazione?
«Ci sono innanzitutto le cinque condanne subite da
Tavecchio. Poi i protesti di cambiali per una somma di un miliardo di vecchie
lire dopo il fallimento della sua azienda, la Intras srl. Ho allegato inoltre
l’esposto di Luigi Ragno, già vice di Tavecchio in Lega Dilettanti, su presunte
irregolari operazioni bancarie con Cariplo. Più tutta una serie di altre
irregolarità amministrative».
Quando sono nati i suoi dissidi con Tavecchio?
«Ho avuto la sfortuna di conoscerlo ai tempi in cui
ero presidente della Pro Patria. Quando l’ho visto per la prima volta, era
presidente del Comitato regionale lombardo. In quegli anni ci siamo scontrati
continuamente. Con Tavecchio in particolare e con la Federazione in generale».
Per quale motivo?
«I miei legittimi diritti sono sempre stati negati, in
maniera illecita, nonostante numerosi miei esposti e querele, con tanto di
citazioni di testimoni e prove documentali ineccepibili. Da vent’anni subisco
dalla Federcalcio ogni tipo di abusi».
Per esempio?
«Guardi cos’è successo con la denominazione “Pro
Patria et Libertate”, da me acquisita a titolo oneroso profumatamente pagato, e
che poi la Federazione ha girato ad altre società che hanno usato indebitamente
quel nome. Per non parlare della mia incredibile radiazione dal mondo del
calcio, che mi ha impedito di candidarmi alla presidenza della Figc, come
volevo fare nel 2001. Una vera discriminazione, che viola diritti sanciti dalla
Costituzione. Sa qual è l’unica cosa positiva di questa vicenda?»
Dica.
«Sono uscito da un mondo di banditi come quello del
calcio. E ora mi occupo di iniziative a favore dei disabili: impiego molto
meglio il mio tempo».
Tavecchio risulta comunque riabilitato dopo le cinque
condanne subite.
«Mi piacerebbe sapere in base a quali requisiti
l’abbia ottenuta, la riabilitazione. E comunque, una volta riabilitato, avrebbe
dovuto tenere un comportamento inappuntabile sul piano etico. Non mi pare
questo il caso».
Insomma, a suo parere un’eventuale elezione di
Tavecchio sarebbe una iattura per il calcio italiano...
«Mi auguro davvero che non venga eletto. Questo è il
momento di cambiare, di dare una svolta: non può essere Tavecchio l’uomo
adatto. Avendolo conosciuto di persona, non mi sorprende neanche che abbia
commesso le gaffes di cui tutti parlano. Lui fa bella figura solo quando legge
le lettere che gli scrivono i principi del foro. Comunque, ho mandato la mia
denuncia per conoscenza anche al Coni e al presidente Malagò. Non ho paura di
espormi: quando faccio una cosa, la faccio alla luce del sole».
"La vicenda Tavecchio? Una sospensione molto
particolare.. Ma chi stava nell'ambiente del calcio sapeva perfettamente cosa
sarebbe successo. Ho letto varie dichiarazioni e mi sento di condividere chi
dice: tutti sapevano tutto, e questi tutti sono quelli che sono andati al voto
e che, malgrado sapessero che questo sarebbe successo, hanno ritenuto che era
giusto votare per Tavecchio. La domanda va girata a queste persone". Il
presidente del Coni, Giovanni Malagò, commenta così la vicenda dei sei mesi di
stop al presidente della Figc decisi dall'Uefa, scrive “La Repubblica”.
"L'elezione è stata assolutamente democratica, evidentemente non hanno
ritenuto che il fatto potesse essere penalizzante per il proseguo dell'attività
di Tavecchio. Io come presidente del Coni di questa cosa, può piacere o meno,
ne devo solo prendere atto perché il Coni può intervenire se una elezione non è
stata regolare, se ci sono delle gestioni non fatte bene, per problemi di
natura finanziaria, se non funziona la giustizia sportiva, per tutto il resto
dobbiamo prenderne atto senza essere falsi". Anche il sottosegretario
Delrio, presente stamani ad un convegno al Coni col ministro Lorenzin, si è
tirato fuori: "Il mondo sportivo è autonomo, il governo non può
intervenire". Malagò ha anche spiegato che comunque questa vicenda
"crea un problema di immagine al nostro calcio". Carlo Tavecchio,
presente anche lui al Coni, ci ha solo detto: "Io sono stato censurato
dall'Uefa e non sospeso. L'Uefa ha preso una decisione, non una sentenza".
E dal suo entourage si precisa che la "lettera che Tavecchio ha scritto
alle 53 Federazioni europee era di presentazione e non di scuse". Il 21 a
Roma c'è Platini per presentare il suo libro: Tavecchio è irritato col n.1
dell'Uefa, lo incontrerà? Domani comitato presidenza Figc, venerdì il
presidente Figc a Palermo con gli azzurri. Il lavoro va avanti. Intanto, il 27
torna in ballo anche Malagò: processo di appello alla Federnuoto dopo la
condanna di 16 mesi in primo grado. La speranza è in drastico taglio, in attesa
di Frattini...
Ma almeno Macalli è immune da qualsivoglia nefandezza?
Caso Pergocrema, Macalli verso il deferimento? Il
vicepresidente della Figc e n.1 storico della Lega Pro, Mario Macalli, rischia
il deferimento in margine al caso Pergocrema. Il procuratore federale, Palazzi,
ha chiuso l'indagine e passato le carte alla Superprocura del Coni come
prevedono le nuove norme di giustizia sportiva volute dal Coni: ora Macalli
potrà presentare le sue controdeduzioni, ed essere anche interrogato. La
prossima settimana Palazzi deciderà se archiviare o deferire (più che
probabile). Il caso Pergocrema si trascina ormai da molto tempo: questa estate
la procura della Repubblica di Firenze aveva chiesto il suo rinvio a giudizio.
Macalli secondo i magistrati avrebbe "provveduto a registrare a proprio
nome i marchi Pergocrema, Pergocrema 1932, Pergolettese e Pergolettese
1932". In questo caso, il n.1 dell'ex Serie C, come stato scritto su
Repubblica la scorsa estate da Marco Mensurati e Matteo Pinci,
"intenzionalmente si procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale
arrecando un danno patrimoniale al Pergocrema fornendo agli uffici preposti
della Lega esplicita disposizione di bloccare senza giustificazione giuridica
il bonifico da oltre 256mila euro, importo spettante come quota di suddivisione
dei diritti televisivi che se disponibili avrebbero consentito alla società
sportiva di evitare il fallimento". Macalli aveva sempre assicurato la sua
totale estraneità ai fatti. "Chiarirò tutto". Pare sia arrivato il
momento. Possibile inoltre il deferimento di Belloli, presidente del Comitato
regionale lombardo e fra i candidati alla successione di Tavecchio alla
presidenza della Lega Nazionale Dilettanti. Oltre a lui, resterebbero in corsa
solo Tisci e Mambelli, mentre avrebbero fatto un passo indietro Repace e
Dalpin. Mercoledì prossimo riunione con Tavecchio. Si vota l'11 novembre. Per
finire, chiusa l'inchiesta di Palazzi anche su Claudio Lotito: interrogati
quattro giornalisti, acquisito il video. Ora le carte sono in possesso di
Lotito, che deve difendersi, e del generale Enrico Cataldi, superprocuratore
Coni: presto Palazzi dovrebbe fare il deferimento per le parole volgari su
Marotta.
La Commissione Disciplinare ha deliberato il 6 marzo
2013 in merito al fallimento dell’Us Pergocrema 1932 ed ha inibito gli ex
presidenti Sergio Briganti per 40 mesi e Manolo Bucci per 12, l’ex
amministratore delegato Fabrizio Talone per 6 mesi, l’ex vice presidente
Michela Bondi per 3 e gli ex consiglieri del Cda Estevan Centofanti per 3, Luca
Coculo e Gianluca Bucci entrambi per 6 mesi, scrive “La Provincia di Crema”.
Sulla base delle indagini effettuate dalla Procura Federale, la Disciplinare ha
deciso di infliggere sanzioni ai personaggi di cui sopra accusandoli «di aver
determinato (i due presidenti) e di aver contribuito (gli altri dirigenti) con
il proprio comportamento la cattiva gestione della società, con particolare
riferimento alle responsabilità del dissesto economico-patrimoniale».
A sbiadire ancor di più l’immagine di Briganti, però,
ci pensa Striscia la Notizia. L’ex presidente del Pergocrema, Sergio Briganti,
è stato protagonista di un servizio in una delle ultime puntate di Striscia la
Notizia, il tg satirico in onda su Canale 5, intitolato “Minacce, spintoni,
schiaffi”, scrive “La Provincia di Crema”. Jimmy Ghione è stato avvicinato da
una giovane donna che ha segnalato come, nel vicolo del pieno centro di Roma
dove si trova il bar di Briganti, le auto non riescano a transitare in quanto
la strada è occupata da un lato da sedie e tavolini del locale e dall’altro da
motorini. In quel vicolo, il transito è consentito soltanto agli automezzi di
servizio, ai taxi, ai motocicli e alle auto munite del contrassegno per i
disabili. E proprio un disabile stava sull’auto guidata dalla donna, che si è
trovata la strada bloccata. A quel punto, la signora ha chiesto a Briganti di
spostare i tavolini, ma la risposta è stata «un vulcano, una cosa
irripetibile», ha commentato la donna.
C’è da chiedersi: quanto importante sia il Briganti
per Striscia, tanto da indurli ad occuparsi di lui e non delle malefatte
commesse dai magistrati e dall’elite del calcio?
Macalli a inizio ottobre 2014 è
stato anche deferito per violazione dell’art. 1 dalla Procura Figc (dopo un
esposto di Massimo Londrosi, d.s. del Pavia) per aver registrato a suo nome nel
2011 quattro marchi riconducibili al club fallito, e per aver ceduto - dopo
aver negato il bonifico che ha fatto fallire il club - quello «Us Pergolettese 1932» alla As
Pizzighettone, che nel 2012-13 ha fatto la Seconda divisione con quella
denominazione. Macalli patteggerà, scrive “Zona Juve”. Anche su internet non
si trova conferma.
Mario Macalli, da 15 anni presidente della Lega Pro di
calcio, sarebbe indagato per appropriazione indebita, in merito alla sua
acquisizione del marchio del Pergocrema, scrive “La Provincia di Crema”. Sulla
scomparsa della società gialloblu (club dichiarato fallito dal tribunale
cittadino il 20 giugno 2012), indagano le procure di Roma e Firenze che hanno
ricevuto una denuncia da parte dell’ex presidente dei gialloblu Sergio
Briganti, nei giorni scorsi inibito per 40 mesi dalla Federcalcio proprio per
il fallimento del Pergo. E’ possibile che le due inchieste vengano riunificate.
Macalli è stato vice presidente per alcuni anni della società gialloblu, vive a
Ripalta Cremasca ed ha il suo studio in città. La storia dell’acquisizione del
marchio venne scoperta e resa pubblica da un gruppo di tifosi che avrebbero
voluto rilevare la società, percorrendo la strada dell’azionariato popolare.
Con quattro registrazioni di marchi, Macalli ha reso impossibile il loro
proposito.
Un altro terremoto scuote le malandate istituzioni del
calcio italiano. La procura di Firenze, nel giorno della stesura dei gironi, ha
chiesto il rinvio a giudizio per Mario Macalli, presidente della Lega Pro.
L'accusa: abuso d'ufficio, scrive “La Provincia di Crema”. Oggetto
dell'inchiesta penale condotta dal sostituto procuratore di Firenze, Luigi
Bocciolini è la vicenda del fallimento del Pergocrema nell'estate 2012, nata
dalla denuncia di Sergio Briganti, oggi difeso dagli avvocati Giulia De Cupis e
Domenico Naso, e allora presidente del club lombardo. I dettagli dell'accusa
per il manager sono pesantissimi: "In presenza di un interesse proprio,
intenzionalmente si procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale arrecando
danno patrimoniale al Pergocrema fornendo agli uffici preposti della Lega
esplicita disposizione di bloccare senza giustificazione giuridica il bonifico
da oltre 256mila euro, importo spettante come quota di suddivisione dei diritti
televisivi, e che se disponibili avrebbero consentito alla società
sportiva di evitare il fallimento".
“Abuso d’ufficio”. E’ questa l’accusa, formulata dal
procuratore della repubblica di Firenze,
Luigi Bocciolini, che
nei giorni scorsi ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio Mario Macalli, presidente della Lega
Pro, scrive “Crema On Line”. L’oggetto dell’inchiesta, iniziata nel marzo 2013
riguarda la vicenda del fallimento del
Pergocrema, avvenuta nel giugno
2012. L’indagine è partita dalla denuncia dell’ex presidente
gialloblu Sergio Briganti.
Dai verbali in possesso della polizia giudiziaria fiorentina nell’aprile 2012
l’avvocato Francesco Bonanni,
responsabile dell’ufficio legale della Lega
Pro, era incaricato di effettuare i conteggi relativi alla
ripartizione della quota della suddivisione dei diritti televisivi della legge Melandri. La somma destinata
al Pergocrema, allora
iscritta al campionato di Prima
Divisione Lega Pro, era pari a 312.118,54 euro lordi, al netto 245.488, 80 euro. In quel periodo la
società cremasca gravava in una pesante situazione debitoria nei confronti di
tecnici, atleti e fornitori. Il 3
maggio 2012 è stata presentata un'istanza da Francesco Macrì, legale dell’Assocalciatori, in rappresentanza di
dieci tesserati del Pergocrema
che vantavano 170 mila euro di debiti nei confronti del club gialloblu. Il
tribunale di Crema ha
autorizzato il sequestro cautelativo della somma in giacenza, comunicandolo
alla Lega Pro. Il sequestro è stato attivato il giorno successivo. Il dato
certo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, è che il 27 aprile 2012 la Lega era pronta a versare la quota:
Bonanni ha escluso di aver dato l'ordine a Guido Amico di Meane, al commercialista della Lega Pro,
di bloccare il versamento alla società cremasca. L'unico che avrebbe dato
disposizione di non effettuare il relativo bonifico agli uffici preposti
sarebbe stato Macalli.
Eppure, nonostante l’impegno della Procura, il Gup di
Firenze Fabio Frangini
ha assolto Mario Macalli,
presidente della Lega Pro,
dall’accusa di abuso d’ufficio riguardo al caso del fallimento del Pergocrema. Secondo l'accusa
Maccalli non avrebbe autorizzato il versamento alla società della quota dei
diritti tv relativa alla stagione 2011-2012. Non luogo a procedere,
scrive “La Provincia di Crema”. Il presidente di Lega Pro e vicepresidente
della Federcalcio, Mario Macalli, è stato prosciolto dall’accusa di abuso
d’ufficio, nell’ambito della vicenda che portò nel giugno del 2012 al
fallimento dell’Us Pergocrema 1932. La decisione è stata presa martedì mattina
21 ottobre dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Firenze, che
non ha quindi accolto la richiesta di rinvio a giudizio depositata dal pubblico
ministero Luigi Bocciolini il 30 luglio scorso. Il reato ipotizzato per Macalli
era quello previsto e punito dall’articolo 323 del codice penale (l’abuso
d’ufficio, appunto). Secondo il pubblico ministero, nella sua qualità di
presidente della Lega Pro Macalli aveva intenzionalmente arrecato un ingiusto
danno patrimoniale al Pergocrema, dando agli uffici preposti della Lega
esplicita disposizione a bloccare, senza giustificazione, il bonifico alla
società di 256.488,80 euro alla stessa spettante quale quota per i diritti televisivi.
A seguito di ciò, il 28 maggio 2012, due creditori chirografari depositarono
istanza di fallimento del Pergocrema, presso il tribunale di Crema, fallimento
che veniva dichiarato il 19 giugno. In sostanza, l’accusa puntava a dimostrare
che, la società gialloblù fallì perchè non fu in grado di saldare il debito
contratto di 113.000 euro con il ristorante Maosi e l’impresa di giardinaggio
Non Solo Verde. Il fallimento sarebbe stato evitato se la Lega Pro avesse
eseguito a fine aprile sul contro del Pergocrema, come venne fatto per tutti
gli altri club, il bonifico dei contributi spettanti alla società stessa. Ma il
Gup — come detto —non ha sposato la tesi.
Al termine degli accertamenti, il Gup lo ha prosciolto
con formula piena perché "il fatto non sussiste". I difensori del
ragioniere cremasco, l’avvocato Nino
D’Avirro di Firenze e Salvatore
Catalano di Milano hanno evidenziato, tra l’altro, che Macalli
non svolge la funzione di pubblico ufficiale e pertanto non si configura il
reato di abuso d’ufficio, scrive “Crema On Line”. Quindi l’inghippo c’era, ma
non è stato commesso da un pubblico ufficiale? E qui, da quanto dato sapere, il
motivo del non luogo a procedere. Come mai questa svista dei pubblici
ministeri? «Aspettiamo le motivazioni — ha affermato a caldo l’ex presidente
del Pergocrema, Sergio Briganti — e poi ricorreremo. La cosa non finisce qui».
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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