Esamopoli e
Concorsopoli
L’Italia degli
esami di Stato e dei concorsi pubblici truccati
Antonio
Giangrande: “Dopo tanti anni, come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la
ragione, non si riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati
e ti dicono, in aggiunta, subisci e taci. Gli aspiranti avvocati fuggono in Spagna
o in Romania per abilitarsi. Questo per difendersi dai boiardi della lobby
forense. Poi ci sono, tra gli altri, i concorsi truccati in magistratura e per
diventare dirigente scolastico (preside). Inoltre, paradosso tutto italiano, i
ricercatori universitari ingiustamente bocciati al passaggio di ruolo sono
costretti ad insegnare”.
«Siamo un paese di bocciati e di scartati agli esami
di Stato ed ai concorsi pubblici, o, magari, qualcuno ha interesse a farci
passare come tali. Il fatto che io sputtani il sistema, rendendo pubbliche le
malefatte dei boiardi di caste e lobbies, fa sì che per ritorsione da decenni
non mi abilitano all’avvocatura, non correggendo i miei compiti. Inoltre i
magistrati mi denunciano per diffamazione continuamente, senza mai conseguirne
condanna».
Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale, che sul
tema ha scritto dei libri, e presidente dell’Associazione Contro Tutte le
Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno.
Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti
pubblici. «Esemplare è la mia storia identica a milioni di altre italiche
storie. Da anni mi rivolgo alle istituzioni competenti ed ai Parlamentari
italiani ed europei con funzioni di vigilanza ed inchiesta. Non parliamo poi
delle denunce insabbiate dai magistrati. Al primo tapino che si rivolse a me,
chiedendomi aiuto e non avendo potere di intervento, premonendo il futuro, gli
dissi che con questa gente e le istituzioni che li coprono non avrebbe cavato
un ragno dal buco: “sarai cornuto e mazziato”, gli dissi. Quindi cari bocciati
e scartati Italia, fatevene una ragione. Con questi italioti mai nulla
cambierà».
Abogados "spagnoli" e
Avocat "rumeni" solo di nome, ma a tutti gli effetti avvocati con
nazionalità italiana. Un fenomeno poco rassicurante per l’accesso alla
professione forense che di fatto secondo i boiardi nostrani è una
scorciatoia per eludere l’esame di abilitazione nazionale. Se le
leggi e le prassi in Italia fossero fatte nell’interesse di tutti, questi
costosi oneri non cadrebbero sulle spalle dei cittadini meno protetti e sulle
loro famiglie. Per qualcuno di fatto una scorciatoia che elude l’esame di
abilitazione nazionale che non si riesce a superare mentre per altri è un diritto
di ciascun cittadino europeo. Fatto sta che sempre più giovani buttano la
spugna già al secondo tentativo e scelgono la via facile dell’abilitazione
professionale all’estero, dove non c’è alcun esame.
Diventare
avvocati senza sostenere l'esame di abilitazione professionale: è la via che
scelgono molti laureati italiani che «emigrano» in Spagna e Romania il tempo
necessario per conquistare il titolo e tornare a esercitare la professione
forense in Italia, scrive “Il Giornale di Sicilia”. A rivelarlo sono i dati
diffusi dal Consiglio nazionale forense, che da tempo sta conducendo una
battaglia contro questo fenomeno, arrivata sino a un ricorso alla Corte di
giustizia delle Comunità europee. Il caso nasce dalla Direttiva europea 98,
recepita dall' Italia nel 2001 che consente agli avvocati «comunitari» di
svolgere l'attività forense in uno Stato europeo diverso da quello nel quale
gli stessi hanno conseguito il titolo professionale. L'obiettivo è quello di
promuovere la libera circolazione degli avvocati europei che sono chiamati
«stabiliti» nei Paesi ospitanti. Ma la direttiva è di fatto diventata,
lamenta il Cnf, «lo strumento utilizzato da parte di tanti aspiranti avvocati
italiani per eludere la disciplina interna ed, in particolare, per sottrarsi
all'esame necessario per poter acquisire la necessaria abilitazione
all'esercizio della professione forense in Italia». Una rilevazione effettuata
presso tutti i Consigli dell' Ordine degli avvocati ha accertato che ben il 92%
degli avvocati iscritti nell'elenco degli avvocati stabiliti sia di nazionalità
italiana. Tra questi l'83% ha conseguito il titolo in Spagna e il 4% in
Romania.In numeri assoluti, su un totale di avvocati stabiliti pari a 3759,
3452 sono di nazionalità italiana. Gli Ordini forensi che contano il maggior
numero di avvocati «stabiliti» di nazionalità italiana, iscritti nell'elenco
speciale, sono Roma (1058), Milano (314), Latina (129) Foggia (126).
Naturalmente,
il fine della legge europea è quello di favorire la libera circolazione delle professionalità
entro i confini dell’Unione, e permettere loro di svolgere il
proprio lavoro in tutti gli Stati aderenti. Si tratta, nello specifico, della
direttiva 98/5/CE, che l’Italia ha adottato con il
decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 96. Anche la professione forense,
infatti, come tutti gli altri elenchi presenti in Italia, si è dotata di un registro speciale per
l’inserimento dei legali formati in altri Stati europei.
Come
evidente, però, sorgono diverse perplessità sugli effetti della norma, come
denota il segretario Cnf Andrea Mascherin: “È evidente che queste
pratiche falsano la corretta concorrenza tra avvocati nei Paesi Ue, ma
soprattutto mettono a rischio i diritti dei cittadini che si affidano a questi
professionisti per la loro tutela”. Questo, finirebbe per tradursi in differenze di non poco
conto tra chi si sobbarca dell’intero iter italiano e chi,
invece, preferisce percorrere la via straniera, più breve e semplice: “I
giovani aspiranti avvocati italiani che seguono la corretta procedura
dell’esame di abilitazione sono svantaggiati rispetto a coloro che ottengono il
riconoscimento di un titolo acquisito all’estero con scorciatoie e furbizie”.
Ci si potrebbe scandalizzare, però, se l’iter italiano fosse legale.
“Nessuno
parla più di “diritto libero” e basta il fatto che quella fosse la teoria
ufficiale nazista per rendere non più spendibili tali concetti - afferma Mauro Mellini - Ma
che cos’è la teoria dell’“abuso del diritto”? Io non ho la possibilità di
andarlo a proclamare nella sede di qualche Arcivescovado, nemmeno ora (e forse
proprio ora) che c’è un Papa gesuiticamente tollerante e progressista. Ma non
esito ad affermare che questa storia dell’abuso del diritto dovrebbe essere
definita la “teoria nazista del diritto libero all’italiana”. Il diritto è
il diritto, sia quello civile, sia, soprattutto, quello penale “nullum
crimen, nulla poenia sine praevia lege penali”. Se vogliamo parlare di
diritto dobbiamo risalire alla norma, stabilire la sua certezza e ad essa
attenerci e con essa misurare il lecito e l’illecito. Siamo un Paese civile!
Anzi, siamo “la culla del diritto”, mica una società barbara di cui parlava
Calamandrei. Continuiamo ad affermare che il “diritto libero” è la legge del
più forte, del potere senza regole. Benissimo. Però, italianamente, “senza
esagerare”. E cioè? Beh, senza abusare dei diritti. Così siamo al riparo da
questa falsa “libertà” che è negazione del principio di legalità, così come si
predica in Italia. Diritto, dunque e certezza di esso. Che peraltro, sembra lo
dica ora anche la Cassazione, non esclude però che del diritto prestabilito,
certo, finemente interpretato, si possa abusare… Che significa? Significa che
respinto come barbaro e nazista il “diritto libero”, si afferma, oltre al
“libero convincimento” dei giudici nell’accertamento dei fatti e, magari,
nell’interpretazione delle norme esistenti (fino a crearne qualcuna alquanto
inesistente) “correggendo”, però il sistema con la “libera individuazione
dell’abuso”. L’abuso, infatti, una volta che se ne ammetta l’esistenza e la
rilevanza, non può essere classificato e regolato, neppure per reprimerlo.
Libertà dunque (per i magistrati) di stabilire l’abuso, ferma restando la fede
inconcussa nella certezza del diritto. Che a questa conclusione dovesse pervenire
la magistratura italiana era prevedibile si dovesse arrivare. Ma, come al
solito, il peggio di ogni abuso (anche, dunque, di quello di liberamente di
richiederne e rilevarne l’esistenza!) è rappresentato dalla corrività con la
quale, poi, tutti cercano di trarne profitto. Apprendo che il Consiglio
Nazionale Forense, impegnato contro le iscrizioni “spagnole” ed, ora, anche
“rumene” negli albi degli avvocati, con successivo trasferimento in Italia (un
sistema consentito, sembra, delle norme comunitarie, e dal fatto che in Spagna
ed in Romania i laureati in giurisprudenza si iscrivono all’albo degli avvocati
senza apposti esami) pare abbia impugnato avanti alla Corte Suprema qualcosa
come quattrocento iscrizioni di avvocati “made in Spagna” o in Romania. Per
risolvere una questione particolare (forse risolvibile assai meglio altrimenti)
proprio gli Avvocati, che del principio di legalità dovrebbero essere gli
interessati custodi, fanno ricorso a questa teoria nazista all’italiana del
”libero abuso del diritto certo”. E’ cosa su cui riflettere. Amaramente.”
Parliamo
in questa sede degli elaborati.
Quanto
succede prima sono i trucchi che i candidati possono vedere ed eventualmente
denunciare. Quanto avviene in sede di correzione è lì la madre di tutte le
manomissioni. Proprio perchè nessuno vede. La norma prevede che la commissione
d’esame (tutti i componenti) partecipi alle fasi di:
• apertura
della busta grande contenente gli elaborati;
• lettura
del tema da parte del relatore ed audizione degli altri membri;
• correzione
degli errori di ortografia, sintassi e grammatica;
• richiesta
di chiarimenti, valutazione dell’elaborato affinchè le prove d’esame del
ricorrente evidenzino un contesto caratterizzato dalla correttezza formale
della forma espressiva e dalla sicura padronanza del lessico giuridico, anche
sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, e che anche la soluzione
delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame evidenzino un
corretto approccio a problematiche complesse;
• consultazione
collettiva, interpello e giudizio dei singoli commissari, giudizio numerico
complessivo, motivazione, sottoscrizione;
• apertura
della busta piccola contenete il nome del candidato da abbinare agli elaborati
corretti;
• redazione
del verbale.
Queste sono
solo fandonie normative. Di fatto si apre prima la busta piccola, si legge il
nome, se è un prescelto si dà agli elaborati un giudizio positivo, senza
nemmeno leggerli. Quando i prescelti sono pochi rispetto al numero limite di
idonei stabilito illegalmente, nonostante il numero aperto, si aggiungono altri
idonei diventati tali “a fortuna”.
La riforma
forense del 2003 ha cacciato gli avvocati e sbugiardato i magistrati e
professori universitari (in qualità anch’essi di commissari d’esame) perché i compiti
vengono letti presso altre sedi: tutto questo perché prima tutti hanno
raccomandato a iosa ed abusato del proprio potere dichiarando altresì il falso
nei loro giudizi abilitativi od osteggiativi. Spesso le commissioni d’esame
sono mancanti delle componenti necessarie per la valutazione tecnica della
materia d’esame. Le Commissioni d’esame hanno sempre e comunque interessi
amicali, familistiche e clientelari. Seguendo una crescente letteratura negli
ultimi anni abbiamo messo in relazione l’età di iscrizione all’albo degli
avvocati con un indice di frequenza del cognome nello stesso albo. In
particolare, per ogni avvocato abbiamo calcolato la frequenza del cognome
nell’albo, ovvero il rapporto tra quante volte quel cognome vi appare sul
totale degli iscritti, in relazione alla frequenza dello stesso cognome nella
popolazione. In media, il cognome di un avvocato appare nell’albo 50 volte di
più che nella popolazione. Chi ha un cognome sovra-rappresentato nell’albo
della sua provincia diventa avvocato prima. Infine vi sono commissioni che,
quando il concorso è a numero aperto, hanno tutto l’interesse a limitare il
numero di idonei per limitare la concorrenza: a detta dell’economista Tito
Boeri: «Nelle commissioni ci sono persone che hanno tutto da perderci
dall’entrata di professionisti più bravi e più competenti».
Nella
sessione 2012 a Lecce sono
in tutto 102 gli aspiranti «avvocati copioni». I loro nomi sono contenuti
nell’avviso di proroga delle indagini preliminari emesso dal gip Simona
Panzera, notificato agli indagati nei giorni di febbraio 2014. La richiesta di
proroga, che comporterà altri sei mesi di verifiche e accertamenti, è stata
formulata dal procuratore capo Cataldo Motta, che ha tenuto per sè il
fascicolo. Il reato contestato è la violazione dell’articolo 1 del regio
decreto numero 7 del 1925, che regola la disciplina dei diritti d’autore.
L’inchiesta riguarda coloro che hanno sostenuto la prova scritta dell’esame di
Stato nel dicembre 2012. Gli elaborati sono stati poi corretti dalla Corte d’Appello
di Catania, dove però gli esaminatori non hanno potuto fare a meno di notare
alcune «anomalie».
Di scandali
per i compiti non corretti, ma ritenuti idonei, se ne è parlato. Nel 2008 un
consigliere del Tar trombato al concorso per entrare nel Consiglio di Stato, si
è preso la briga di controllare gli atti del giorno in cui sono state corrette
le sue prove, scoprendo che i cinque commissari avevano analizzato la bellezza
di 690 pagine. "Senza considerare la pausa pranzo e quella della toilette,
significa che hanno letto in media tre pagine e mezzo in 60 secondi. Un record
da guinness, visto che la materia è complessa", ironizza Alessio Liberati.
Che ha impugnato anche i concorsi del 2006 e del 2007: a suo parere i vincitori
hanno proposto stranamente soluzioni completamente diverse per la stessa
identica sentenza. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che uno dei vincitori,
Roberto Giovagnoli, non aveva nemmeno i titoli per partecipare al concorso.
L'esposto viene palleggiato da mesi tra lo stesso Consiglio di Stato e la
presidenza del Consiglio dei ministri, ma i dubbi e "qualche
perplessità" serpeggiano anche tra alcuni consiglieri. "Il bando
sembra introdurre l'ulteriore requisito dell'anzianità quinquennale" ha
messo a verbale uno di loro durante una sessione dell'organo di presidenza:
"Giovagnoli era stato dirigente presso la Corte dei conti per circa 6 mesi
(...) Il bando non sembra rispettato su questo punto". Per legge, a
decidere se i concorsi siano stati o meno taroccati, saranno gli stessi membri
del Consiglio. Vedremo.
In effetti,
con migliaia di ricorsi al TAR si è dimostrato che i giudizi resi sono
inaffidabili. La carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del
giudizio negativo reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza
di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti,
ecc., o comunque la infondatezza dei giudizi assunti, tale da suffragare e
giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò
denota l’assoluta discrasia tra giudizio e contenuto degli elaborati, specie se
la correzione degli elaborati è avvenuta in tempi insufficienti, tali da
rendere un giudizio composito. Tempi risibili, tanto da offendere l’umana
intelligenza. Dai Verbali si contano 1 o 2 minuti per effettuare tutte le fasi
di correzione, quando il Tar di Milano ha dichiarato che ci vogliono almeno 6
minuti solo per leggere l’elaborato. La mancanza di correzione degli elaborati
ha reso invalido il concorso in magistratura. Per altri concorsi, anche nella
stessa magistratura, il ministero della Giustizia ha fatto lo gnorri e si è
sanato tutto, alla faccia degli esclusi. Già nel 2005 candidati notai ammessi
agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con
buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di
professionisti ed europarlamentari prima considerati “non idonei” e poi
promossi agli orali. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore
apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi
pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati
bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno
presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del
pubblico ufficio.
E poi. Scuola, concorso per dirigente truccato: 25 avvisi di garanzia a Napoli, scrive Leandro
Del Gaudio “Il Mattino”. Concorso per presidi: blitz nell'ufficio regionale
scolastico. La procura di Napoli indaga sull'ultimo concorso per preside in
Campania. Associazione per delinquere, abuso d'ufficio e falso, la Procura
punta a fare chiarezza sulla gestione del concorso per dirigenti scolastici,
notificando in queste ore decreti di perquisizione, ordini di esibizione e
alcuni avvisi di garanzia. Indagine delegata alla Guardia di finanza di Torre
Annunziata, sono in corso accertamenti e acquisizioni di documenti, sotto i
riflettori l'ufficio regionale scolastico. Sono venticinque gli indagati, otto
dei quali sono docenti vincitori di concorso dopo l'ultima prova scritta
(all'inizio di febbraio) per l'accesso a un posto di dirigente scolastico. Gli
altri indagati sono commissari di esame, un ex dirigente dell'ufficio regionale
scolastico e sindacalisti. La guardia di finanza di torre annunziata ha anche
trovato compiti scritto già fatti in una sede del sindacato. Dalle indagini,
coordinate dal procuratore aggiunto Alfonso D'Avino e dal sostituto Ida
Frongillo, è emerso che gli indagati avevano creato un meccanismo per favorire
alcuni candidati al concorso. In particolare, sarebbe stata pilotata la nomina
di alcuni membri della commissione esaminatrice, grazie ai quali i candidati
erano riusciti a conoscere con largo anticipo i quesiti della prova
preselettiva. Inoltre - secondo l'accusa - si era riusciti a eludere
l'anonimato delle prove scritte facendo pervenire ai componenti collusi della
commissione giudicatrice gli incipit e le frasi finali dei candidati da
favorire. Il materiale concorsuale di sei candidati è stato sequestrato.
Concorso
per preside tra accuse e sospetti. Un bel giallo tra i presunti brogli
coinvolto un foggiano. Secondo la legge doveva essere fuori dal concorso,
invece non solo l'ha superato ma si ritrova a un passo dalla nomina. Denunce,
dimissioni e sospetti di brogli: c'è un piccolo giallo nella procedura per il
concorso da presidi (236 posti in Puglia) sulla quale da qualche indaga la
procura della Repubblica. Uno degli 867 candidati ammessi alla prova scritta
del maxi concorso per dirigenti scolastici, un professore «comandato» presso
gli uffici della direzione regionale di Foggia, sarebbe stato pizzicato durante
il primo giorno di prova con alcuni foglietti in un vocabolario. Tale episodio
sarebbe avvenuto nella scuola «Elena di Savoia» in via Caldarola, al rione Japigia,
uno degli istituti di Bari in cui si sono tenute le prove scritte, il 14 e 15
dicembre scorso. E a conferma che qualcosa non sia andato per il verso giusto,
ci sono anche le dimissioni - avvenute pochi giorni fa - dei segretari delle
due sottocommissioni, arrivate proprio adesso a concorso ormai ultimato (sono
attese le prove orali). A denunciare tutto il docente Gerardo Troiano.
Una
pioggia di ricorsi amministrativi s'è abbattuta sull'ultimo concorso per
l'Abilitazione scientifica nazionale 2012-2013 per professori ordinari e
associati che prelude poi a quella didattica con la chiamata e l'assunzione in
ruolo, scrive Giovanni Valentini su “La Republica”. È una montagna di carta
bollata che minaccia ora di provocare una valanga di annullamenti o di revisioni,
sconvolgendo la vita già travagliata dei nostri atenei. Nell'ambito della
controversa riforma Gelmini, il ministero della Pubblica istruzione aveva
disposto una nuova procedura di abilitazione, introducendo la meritocrazia come
principale criterio di valutazione. Questa avrebbe dovuto fondarsi su elementi
trasparenti e oggettivi, definiti "bibliometrici", forniti dalla
produzione scientifica di ciascun candidato nei rispettivi curricula: cioè
monografie, articoli o citazioni pubblicati da riviste specializzate. Ma
successivamente sono stati inseriti criteri aggiuntivi, del tutto
discrezionali, in forza dei quali le commissioni di valutazione hanno ribaltato
le graduatorie, suscitando anche alcune interrogazioni parlamentari.
Si
tratta di un settore concorsuale “non bibliometrico”, perciò la commissione,
come in tutti i settori non bibliometrici, si è proposta di valutare la
«qualità della produzione scientifica (…) sulla base dell’originalità, del
rigore metodologico e del carattere innovativo della stessa» e ha ritenuto di
poter «prendere in considerazione, sulla base di un motivato giudizio di
eccellenza della produzione scientifica, anche candidati che non posseggano
tutti i requisiti (bibliometrici)». Questo comporta la necessità di leggere le
pubblicazioni scientifiche dei candidati (di rileggerle, o almeno
riconsiderarle, se già conosciute). I concorrenti per la seconda fascia erano
425 e quelli per la prima 115 e, poiché alcuni sostenevano ambedue le
abilitazioni, il totale effettivo era pari a 490, per un totale di circa 6.600
(seimilaseicento) pubblicazioni: monografie, articoli, saggi, tutti da valutare
analiticamente a norma di regolamento.
Seguiamo
l’iter di questa commissione scrive G. Avezzu. Nominata a fine dicembre 2012,
la commissione si riunisce una prima volta a fine gennaio 2013, per fissare i
criteri. Poniamo che i commissari comincino a leggere le pubblicazioni e a
valutarle quello stesso giorno. Consegneranno i loro verbali al MIUR a fine
novembre, esattamente dieci mesi dopo: in tutto 303 giorni, 233 se togliamo 48
fra domeniche e altre festività nazionali e 44 mezze giornate del sabato. In
233 giorni significa leggere 28 pubblicazioni (anche monografie) al giorno. E
comunque in 303 giorni significherebbe leggerne 21 al giorno. Questo dal primo
all’ultimo giorno, e nel contempo: fare lezione, ricevere gli studenti, tenere
gli appelli d’esame e di laurea, fare ricerca – living and partly living. In
realtà, se scorriamo i verbali vediamo che già ai primi di aprile la
commissione è in grado di «(discutere) ampiamente dei curricula, dei profili e
della produzione scientifica dei candidati all’abilitazione nazionale (di) II
fascia» in due riunioni consecutive per complessive 15 ore, e che a metà maggio
passerà a discutere i candidati alla I fascia. Dobbiamo dedurre che nei mesi di
febbraio e di marzo, più qualche giorno di gennaio e di aprile, la commissione
abbia letto i 5.100 (cinquemilacento) lavori dei candidati alla II fascia –
anche per riscontrare l’eccellenza, ove presente, pur in assenza dei requisiti
cosiddetti bibliometrici (vedi sopra). E questo è un tour de force eccezionale
anche per un accademico italiano: 85 (ottantacinque) pubblicazioni il giorno,
comprese le domeniche, Pasqua, Pasquetta e Festa del Papà. Ammettiamo pure che un
“eccellente” accademico conosca i quattro quinti della produzione del suo
settore: restano 17 (diciassette) pubblicazioni il giorno, da leggere e
valutare nel rispetto dei valori in campo e con la presunzione di fare un buon
servizio all’Università italiana.
E
pure scatta il paradosso. Bocciati, ma costretti a rimanere in cattedra ad
insegnare, scrive Silvano Introvaia su “La Repubblica”. Ecco il singolare
destino di migliaia di ricercatori universitari italiani alle prese con
l'Abilitazione scientifica nazionale: la patente introdotta dalla riforma
Gelmini, necessaria, in futuro, per partecipare ai concorsi per docente di
prima - l'ex professore ordinario - e seconda - il professore
associato - fascia. Ricercatori italiani, sfruttati e maltrattati? Stando ai
loro racconti, sembra proprio di sì. Ma il tutto si svolge nel più assoluto
riserbo, visto che nessuno se la sente di denunciare apertamente, se vuole
continuare ad avere qualche chance all'interno del proprio ateneo. Noi siamo
riusciti a raccogliere qualche testimonianza, ovviamente anonima.
«Dopo
tanti anni, come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la ragione, non si
riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati e ti dicono, in
aggiunta, subisci e taci», chiosa in chiusura Antonio Giangrande.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
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