Coronavirs: altro che Immunità di Gregge. Con la falsa
quarantena si è permesso di infettare il Sud Italia per salvare i padani.
L’opinione
del sociologo storico e scrittore Antonio Giangrande che sul tema ha scritto il
saggio “Coglionavirus”.
I media prezzolati
e nordisti a criticare l’immunità di gregge, per giustificare le scelte del
Governo italiano.
Perché si
obbliga la quarantena della reclusione in casa con relative sanzioni penali e
poi si agevola la fuoriuscita criminale dalla zone rosse del settentrione degli
infettati, permettendo loro la mobilità verso il sud?
Scientemente
si è diffuso il contagio dell’epidemia nel sud Italia? Perché?
Il virus si
può combattere in due modi: il primo è il metodo cinese e nei fatti, anche se
messo in atto con ritardo ed incertezze, anche il metodo italiano. Un metodo
che si basa sull’isolamento delle aree urbane, o comunque dei territori, dove
la malattia imperversa, e che determina il crollo della possibilità di avere
contatti sociali, limitando in questo modo la circolazione della malattia.
Esiste poi
un secondo metodo che è sicuramente meno “prudente” ma in presenza di
determinate condizioni potrebbe essere più efficace delle quarantene. Il
secondo metodo consiste nel far circolare liberamente il virus, far si che
infetti rapidamente gran parte della popolazione ed raggiungere, dopo circa 3/4
mesi La cosiddetta immunità di gregge.
Un termine
importante è la Curva appiattita. Questa è un qualcosa di non concreto, ma
importante. Si tratta di spalmare il numero di contagi più in là nel
tempo grazie ai vari interventi fatti. Se si lasciasse proseguire il
contagio libero, quest’ultimo presenterebbe un picco molto più grande, ma in
poco tempo. Il problema di lasciarlo libero è che si crea una pressione
eccessiva sul sistema sanitario e altri collegati. Si diluisce il contagio
per favorire il suo decorso. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e,
anche se la letalità fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime
(su grandi numeri, anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).
Questo, a
prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare
vittime, sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si
riversano al pronto soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione.
Serve personale, farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei
mesi (come per l'influenza) si riesce a sopportare l'impatto (e supportare
tutti), quando questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi
diventa una reazione a catena.
Se i reparti
di rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non
potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha
avuto un incidente, una donna che ha avuto un'emorragia post partum, un uomo
che ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell'assistenza, delle cure e
quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre
che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.
L’Italia
disponeva un tempo di molti più posti letto di terapia intensiva, sub intensiva
e di degenza ordinaria. Poi vennero le “razionalizzazioni”, le cure dimagranti,
i tagli alla sanità. Benvenuti nell’era dell’austerità.
Togliamocelo
dalla testa: l'attenzione all'epidemia di coronavirus non è dovuta alla
sua letalità quanto alla capacità di far «saltare» il
nostro sistema sanitario. La spiegazione è nelle parole di Massimo
Galli, primario infettivologo dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista
rilasciata a Corriere della Sera il 23 febbraio 2020: «In quarantadue anni
di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere
l’attività dei reparti di malattie infettive e delle rianimazioni di
un’intera regione tra le meglio organizzate e preparate alle emergenze
d’Italia. Nessun sistema sanitario avanzato può essere predisposto per
ricoverare tanti pazienti critici tutti assieme e per di più in regime di
isolamento». Alle 18 di ieri infatti, dei 2052 casi confermati,
circa l'8% è in terapia intensiva e il 36% è ricoverato con sintomi. Anche
se il rischio di contrarre la malattia nella popolazione, soprattutto al di
fuori dei focolai, rimane basso, la diffusione del
virus va rallentata per evitare che questo rischio aumenti con
il conseguente collasso degli ospedali. Più persone si ammalano - e nella
maggior parte dei casi il decorso è benigno - e più individui necessiteranno di
ricovero.
Conclusione.
Hanno
infettato il Sud per spalmare su tutta l’Italia e le relative strutture
sanitarie il picco del contagio e salvare, curandoli, così, quanto più Padani.
Dr Antonio Giangrande
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