L'INSICUREZZA PUBBLICA E LA VIDEO SORVEGLIANZA
PRIVATA.
Lo Stato non garantisce la sicurezza e inibisce chi ci
pensa da solo con la burocrazia e con le reprimende e le speculazioni.
Inchiesta del dr Antonio Giangrande. Scrittore,
sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione
Contro Tutte le Mafie.
I media da sempre ce la menano sul fatto che contro
gli atti criminali, specie quelli bagatellari e comuni, bisogna denunciare.
Poco si sa, invece, che la gente rinuncia a denunciare proprio quei reati più
odiosi, per il fatto sottaciuto che, in un modo o in un altro, le notizie di
reato non vanno avanti per insabbiamenti (denunce non registrate; archiviazioni
artefatte, non comunicando la richiesta di archiviazione, quando preteso per
presentare opposizione; indagini mai svolte o svolte male), o per il
disincentivo (perchè è solo una perdita di tempo).
Allorquando qualcuno si incaponisce a credere che ci
sia uno Stato di Diritto e questi ha bisogno di prove per perseguire i
responsabili del reato e lo fa con la ripresa delle immagini. Ecco che allora
lo Stato lo inibisce in tutti i modi.
Certo è che lo Stato, prima ti sbeffeggia. La
Stabilità 2016 ha stanziato fondi (15 milioni di euro) per il Bonus
Sicurezza, ovvero un credito d'imposta per quei privati che decidono
di installare sistemi di videosorveglianza. I cittadini che si doteranno
di impianti si vedranno riconoscere il 50 per cento della spesa sostenuta.
I fondi son limitati. Ergo: Chi prima arriva, prima
alloggia...
Dopo lo sberleffo arriva l'inghippo. Tutti i modi per
impedire la sicurezza fai da te.
1. Il tema della Privacy. Ce lo spiega Alessio Sgherza il 15 febbraio 2017 su
"La Repubblica". Il tema videocamere pone per i cittadini un problema
di privacy: il problema di chi viene ripreso e deve mantenere il suo diritto
alla riservatezza e ai suoi dati personali; e il problema di chi decide di
installare i sistemi di videosorveglianza perché ha il diritto a difendere le
proprie pertinenze. Due diritti che si contrastano sulla carta e tra i quali è
necessario trovare un equilibrio. Ecco quindi che sul tema - già dal 2004 - è
intervenuto il Garante della Privacy, che ha emesso un provvedimento sulla
videosorveglianza datato 2010 e in corso di aggiornamento. Il testo è stato
pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 aprile 2010 e elenca tutte le
misure che soggetti pubblici e privati devono mettere in pratica per installare
questi sistemi. Per quanto riguarda i privati, è esplicitamente prevista
la possibilità di installare telecamere "contro possibili aggressioni,
furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi" e
in questi casi "si possono installare telecamere senza il consenso dei
soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle prescrizioni indicate dal
Garante". Ma quali sono le prescrizioni del Garante? Eccole, in quattro punti:
I cittadini che transitano nelle aree
sorvegliate devono essere informati con cartelli della presenza delle
telecamere.
I cartelli devono essere resi visibili anche quando il
sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno.
Le immagini registrate possono essere conservate per
periodo limitato e fino ad un massimo di 24 ore.
Nel caso in cui i sistemi di videosorveglianza
installati da soggetti pubblici e privati (esercizi commerciali, banche,
aziende etc.) siano collegati alle forze di polizia è necessario apporre
uno specifico cartello, sulla base del modello elaborato dal Garante.
2. Il tema sindacale. L'autorizzazione della Direzione
Territoriale del Lavoro. Ce lo spiega
"La Gazzetta di Reggio" il 26 ottobre 2016. Un ispettore del lavoro,
dopo un sopralluogo, gli ha fatto togliere tre telecamere che aveva da poco
messo nel locale, appioppandogli anche una multa di circa 500 euro. Ma appena
spento l’occhio elettronico, un ladro è entrato nel negozio è ha portato via
l’incasso, pari ad altri 500 euro. È l’odissea raccontata da Federico Ferretti,
insieme a Fabrizio Salsi uno dei soci della gelateria Cupido in via Emilia San
Pietro 71. Dopo un punto vendita a Carpi e Correggio, a maggio la gelateria ha
aperto un locale anche in città. E alla fine di luglio, i due soci avevano
deciso di installare nel locale tre telecamere di videosorveglianza, due nell’area
vendita e una nel laboratorio. «Eravamo in attesa dell’autorizzazione, dal
momento che in estate molti uffici erano chiusi – racconta Ferretti – quando il
12 agosto abbiamo ricevuto la visita di un ispettore del lavoro, che ci ha
contestato il fatto che le telecamere riprendessero il bancone, dicendo che
dovevano essere indirizzate solo all’ingresso. Sosteneva che usavamo le
telecamere per controllare i nostri due dipendenti, che invece avevano firmato
la liberatoria. Noi le avevamo collocate così solo per ragioni di sicurezza».
Dal sopralluogo è scattato un verbale, recapitato ai soci a metà settembre, in
cui si dava tempo trenta giorni per rimuovere la videosorveglianza. «Sabato –
aggiunge Ferretti – abbiamo rimosso l’impianto. L’ispettore ci ha anche chiesto
la certificazione dell’azienda che le ha tolte, con un eccesso di rigidezza».
Ma, due giorni dopo la rimozione, nella gelateria è avvenuto un furto: «Lunedì
sera, intorno alle 21, c’erano il mio socio e un dipendente. Il socio era nel
laboratorio. E ha chiamato un secondo il dipendente per dargli del gelato
pronto. Un secondo. Ma qualcuno è entrato nel negozio e velocissimo ha rubato
incasso e fondo cassa, in totale quasi 500 euro. Abbiamo subito chiamato i
carabinieri. La prima cosa che ci hanno chiesto: “Avete telecamere?”. Gli
abbiamo dovuto spiegare che ce le avevano appena fatte togliere». Per i
titolari, oltre al danno la beffa: «Abbiamo ripresentato domanda per una nuova
installazione, ma dall’ispettorato ce l’hanno bocciata. Siamo reggiani, abbiamo
deciso di investire qui, dove i furti sono all’ordine del giorno. Non è
possibile trovarsi davanti a queste cose. Le telecamere sono presenti anche
nelle grandi catene e nessuno dice niente».
3. Il tema Amministrativo-burocratico. Per le telecamere occorre la Scia, scrive Maurizio
Caprino su "Il Sole 24ore" del 9 marzo 2017. Le telecamere di
videosorveglianza sono sostanzialmente fuorilegge, se sono anche del Comune. In
questo caso, vanno trattate come impianti privati e quindi necessitano di
un’autorizzazione, che in molti casi manca. Lo stesso vale per altri impianti
di trasmissione, tra cui quelli per le radio di servizio dei vigili urbani. Lo
afferma chiaramente la Prefettura di Pordenone, nella nota n. 6104, emanata il
6 marzo dopo una segnalazione del ministero dello Sviluppo economico. E quella
della provincia friulana è una realtà...tutta italiana.
4. Il tema fiscale-speculativo. Lo Stato stanga la sicurezza "fai da te".
Multati i Comuni che installano telecamere. Sanzioni dal prefetto per i sindaci
che si dotano di sistemi di sorveglianza, scrive Pier Francesco Borgia, Venerdì
10/03/2017, su "Il Giornale". Nell'Italia dei campanili, quella più
alta è sempre la torre del paradosso. Solo da noi, infatti, possiamo assistere
al poco comprensibile «spettacolo» di una prefettura che commina multe e
sanzioni ai Comuni che per difendere la tranquillità dei propri cittadini
decide di investire le scarse risorse a disposizione per installare sistemi di
videosorveglianza. Con una nota del 16 febbraio scorso, infatti, il Ministero
dello Sviluppo economico, tramite il suo Ispettorato territoriale di Pordenone,
ha fatto sapere alla prefettura del capoluogo friulano «di aver rilevato presso
le Amministrazioni comunali ripetute problematiche conseguenti la carenza dei
necessari dati informativi relativi agli obblighi di legge previsti per
l'installazione ed esercizio di reti e servizi di comunicazione elettronica».
La citazione è presa da una circolare che gli uffici della prefettura di
Pordenone hanno inviato il 6 marzo a tutte le amministrazioni comunali della
provincia. Lo scopo è quello di chiarire che a disciplinare i sistemi di
videosorveglianza ci pensa il Decreto legislativo 259 dell'agosto del 2003
(ovvero il cosiddetto Codice delle Comunicazioni elettroniche). Fatto questo
che fa ricadere le stesse telecamere a circuito chiuso nei sistemi di
informazione. E quindi chi li installa, che si tratti di un privato o di
un'amministrazione locale poco importa, è tenuto a corrispondere un canone al
Mise (il già citato Ministero per lo sviluppo economico). Da qui la facile
deduzione che senza quel canone si rischia un'ammenda. D'altronde, spiega
Stefano Manzelli direttore della rivista on line poliziamunicipale.it, «molti
di quegli amministratori non immaginavano nemmeno che un sistema di telecamere
a circuito chiuso fosse paragonato a un sistema aperto di trasmissioni radio».
La violazione di queste norme, insomma, sarebbe avvenuta in buonafede. Resta
però il fatto che senza quel canone scatta la sanzione e si rende più faticosa
la gestione del territorio di competenza. E questo contraddice - fa notare lo
stesso Manzelli - lo stesso spirito del decreto legge 14 del 2017 che aumenta
lo spettro delle competenze in materia di sicurezza. «Ora i sindaci hanno
ricevuto ulteriori poteri di ordinanza su questioni di ordine pubblico e
sicurezza, per migliorare il controllo e la qualità della vita delle aree più a
rischio. Eppure, se non pagano il canone di questi sistemi di
videosorveglianza, rischiano le sanzioni». Un sistema per evitare il peggio
sarebbe quello di affidare questi sistemi di videosorveglianza direttamente
allo Stato, attraverso le forze dell'ordine. Gli unici soggetti, infatti, esentati
dal pagare il canone. L'iter, però è lungo e farraginoso, spiega Manzelli, e
non sempre le amministrazioni locali hanno la possibilità di ricorrere a questo
escamotage. Resta il fatto che se un Comune si pone anche solo l'obiettivo di
regolare l'accesso ad aree a traffico limitato per le auto, deve sottostare
alle regole imposte dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche con tanto di
canoni da sborsare.
A
cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista,
blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
099.9708396 – 328.9163996
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