TARANTO: LA
GUERRA DEI MAGISTRATI CONTRO L’ILVA.
Di seguito
sono pubblicati dei brani tratti dal libro di Antonio Giangrande “Taranto.
Quello che non si osa dire”.
Editoriali non
proni alla magistratura tarantina che meritano di essere conosciuti dal grande
pubblico al di là del limite territoriale.
Chi
spiegherà al pm Carbone di sinistra (espressione di Area: Magistratura
Democratica e Movimento per la Giustizia) che le leggi si applicano e si
rispettano, e non si contestano?
Scrive “Il Corriere del Giorno” il 6 luglio 2015. “No
comment e musi lunghi tra i magistrati tarantini all’indomani dell’ennesimo
decreto del governo salva Ilva, l’ottavo, che dissequestra l’altoforno 2
dell’Ilva di Taranto, azzerando il provvedimento cautelare era stato deciso
dalla procura dopo l’incidente dell’8 giugno scorso in cui ha perso la vita l’operaio
trentacinquenne, Alessandro Morricella, investito da una colata di ghisa
fusa. Per il magistrato inquirente prima, e per il gip dopo, l’impianto non era
sicuro pertanto doveva essere fermato per evitare altri incidenti mortali.
Questa presunta pericolosità è ora scomparsa per decreto” secondo quanto
racconta il Corriere del Mezzogiorno, cioè l’edizione barese
del Corriere della Sera – “Ad esprimere il malessere che serpeggia
tra i magistrati tarantini, ma non solo, è il segretario dell’Associazione nazionale
magistrati, Maurizio Carbone, egli stesso pubblico ministero presso la
Procura della Repubblica di Taranto.”. Il segretario dell’Associazione
nazionale dei magistrati, dimenticando che le Leggi si rispettano ed
applicano...contesta quanto deciso dal Governo ed avvallato dal Presidente
della Repubblica sostenendo che “Il caso ILVA – dice – è la
dimostrazione di come il legislatore tuteli l’interesse economico rispetto ad
altri interessi come quelli sulla sicurezza dei lavoratori e della tutela ambientale».
Il segretario dell’Anm – sempre secondo il Corriere del Mezzogiorno
– mette in luce una pericolosa spaccatura tra i due poteri dello
Stato. “Tutto questo – continua Carbone – crea una
ulteriore contrapposizione tra potere giudiziario e potere legislativo sulla
base di una evidente e più volte dimostrata priorità di quest’ultimo verso la
tutela economiche rispetto ad altri diritti…. Ognuno –ha
concluso Carbone – valuta le situazioni a modo suo. Certo è che
scelte come questa sull’ ILVA, da parte della politica, non possono che lasciare
perplessi e destare preoccupazione e non soltanto tra gli operatori della
giustizia». Il dottor Carbone non spende nessuna parola però sulla
circostanza che non risulta che la Procura e tantomeno il gip
abbiano richiesto a dei periti (da nominare) una perizia
tecnica sull’incidente mortale, nè tantomeno il magistrato si sofferma sulla
circostanza che i soliti giornalisti “ventriloqui” di Palazzo
Giustizia , abbiano censurato quanto circola in ambienti industriali interni
(fornitori e dipendenti) allo stabilimento siderurgico dell’ ILVA, e cioè
che il tragico incidente occorso all’operaio Alessandro Morricella sia
stato provocato e determinato in realtà da comportamenti operativi di
alcuni operai, molto lontani dalle note vigenti disposizioni aziendali in
materia di sicurezza . Comportamenti analoghi a quelli che proprio
nei giorni scorsi hanno portato alla condanna di alcuni operai
dell’ILVA, responsabili di “scherzi” poco piacevoli ad un loro collega. Secondo
nostre fonti confidenziali infatti, sembrerebbe che l’operaio deceduto non
indossasse l’abbigliamento tecnico di sicurezza necessario sul posto di lavoro,
di cui infatti nei primi rilievi di polizia giudiziaria dicono non ci sia
alcuna traccia. Ma tutto questo nessuno lo dice e racconta. Come nessuno
in Procura si meraviglia che il marito di un magistrato ricopra incarichi
di gestione e rappresentanza societaria in aziende municipali e pubbliche. O di
altro “professionista” tarantino legato ad un altro magistrato che vive,
lavora e guadagna fior di quattrini (letteralmente) grazie alle CTU
cioè le “perizie” affidategli dal Tribunale di Taranto, come questo
quotidiano in un recente articolo ha già raccontato e denunciato. Di questi
conflitti d’interesse, l'Associazione Nazionale dei Magistrati ed il
suo segretario none parlano. Strano vero? Poi qualcuno si meraviglia che
in un recente passato a Taranto siano stati arrestati un magistrato ed un
giudice! Tutto ciò probabilmente spiega anche le ragioni per cui il
dr.Cataldo Motta, Procuratore della Repubblica di Lecce, che regge
anche il vertice della Direzione Distrettuale Antimafia che
sovrintende per competenza sul territorio di Taranto, ha ottenuto dal plenum
del Consiglio Superiore della Magistratura con parere
favorevole del Ministro di Giustizia, la deroga a reggere il
suo incarico sino al 2017. Mentre invece per il dr. Franco Sebastio,
procuratore capo della repubblica di Taranto, la deroga non è arrivata.
P.S. nel frattempo attendiamo ancora risposta ad una richiesta
“pubblica” al dr. Sebastio di intervista da video filmare (invito che
estendiamo anche al dr. Carbone). O forse le nostre domande scomode danno
un pò di fastidio…?
La “guerra” dei magistrati di Taranto al risanamento
in corso dell’ILVA, scrive il 14
luglio 2015 Antonello de Gennaro su “Il Corriere del Giorno”. Mentre il Governo
Renzi è impegnato a reperire i fondi e le garanzie per portare a compimento
il risanamento ambientale dello stabilimento siderurgico dell’ILVA di
Taranto, ed a garantire lavoro e stipendio a circa 18.000 famiglie, in
Tribunale a Taranto il pubblico ministero Antonella De Luca ed
il Gip Martino Rosati, avevano disposto secondo noi con
“leggerezza” la chiusura dello stabilimento tarantino in
conseguenza della morte dell’operaio Alessandro
Morricella, dimenticandosi che i tecnici dello Spesal
dell’Asl Taranto dopo il sopralluogo immediato
all’incidente, non avevano ordinato il fermo immediato dell’impianto, ma
soltanto imposto delle prescrizioni di sicurezza “da attuare in 60 giorni”
. Prescrizioni che sono state immediatamente recepite ed attuate dall’azienda.
Come non dare ragione allo Confindustria di Taranto quando sostiene che
“risanare un’azienda diventa impossibile se l’unica risoluzione da adottare
rimane la sua chiusura”? E come restare silenti, quando il Governo
Renzi interviene per evitare la chiusura dello stabilimento e l’esplosione
sociale e civile di una città sull’orlo del fallimento economico? Come è
accettabile dover vedere i commissari del Governo ed i legali del più
grosso stabilimento siderurgico d’Europa costretti a fronteggiare alcuni
recenti provvedimenti esagerati da parte di qualche magistrato che ci
sembra molto solerte, a far uscire i propri atti sui giornali, invece di limitarsi
ad applicare e rispettare le Leggi. Ma non è finita. Sapete cosa
accade nel Tribunale di Taranto? Un giudice per le indagini preliminari
si rivolge alla Corte Costituzionale sostenendo che il decreto
“Salva Ilva” con cui è stata disposta la produzione siderurgica attraverso
l’utilizzo dell’Afo 2 sarebbe “incostituzionale”.
Opinione e decisione rispettabile dal punto di vista formale. Ma a
dir poco assurda dal punto di vista del dovuto rispetto istituzionale nei
confronti dei “poteri” dello Stato. Di chi viene eletto per legiferare.
Oggi, infatti, il gip Martino Rosati, ha sollevato nei
confronti dell’ultimo decreto “salva Ilva” la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 3 del decreto legge del 4 luglio 2015,
numero 92, in relazione agli 2, 3, 4, 32 comma 1, 41, comma 2 e 112 della
Costituzione italiana. Con un ricorso di quattordici pagine, il gip
tarantino intende confutare la sostanza dell’ultimo decreto
legge del Governo che è stato attuato per evitare all’ ILVA
di dover di fatto chiudere la fabbrica, con
conseguenti drammi occupazionali ed economici, non solo
sull’occupazione locale, ma su tutta la filiera produttiva in Italia. Il
giudice, nella sua memoria, sostiene che nulla è stato previsto per la “tutela
dei lavoratori e per garantire la sicurezza nell’impianto”, dal momento che
l’unico obiettivo, appunto, sembra essere quello di anestetizzare gli effetti
dell’intervento della magistratura di Taranto. Affermazioni pesanti e gravi che
cozzano non solo contro il decreto di Palazzo Chigi, ma anche contro la
relazione tecnica dello Spesal dell’ASL Taranto, cioè di tecnici
che ci auguriamo abbiano più competenze tecniche operative in materia di
sicurezza dei magistrati e giudici, che non a caso fanno un altro lavoro.
Inoltre il pubblico ministero De Luca ed il Gip
Rosati ci sembrano aver dimenticato in merito al tragico incidente
che l’inchiesta sulla morte di Morricella non si è ancora
conclusa, così come non sono state ancora accertate delle
inconfutabili comprovate omissioni, cioè responsabilità dell’azienda
sull’incidente mortale. Lo stesso gip tarantino sostiene “non
manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale della
norma e scrive che “su un assetto normativo siffatto che si vorrebbe
ispirare a quello del decreto legge 207 del 2012 ma che non gli somiglia
affatto, se non nell’obiettivo di neutralizzare gli effetti di una pronuncia
giurisdizionale, s’impone dunque al giudice di invocare lo scrutinio di
legittimità”. In conseguenza del ricorso del gip (ma il Presidente del
Tribunale, il capo dei Gip l’hanno condivisa? n.d.a.) è
conseguenziale la sospensione del giudizio in corso attivato dai
legali di ILVA Spa in amministrazione straordinaria.
Quindi gli atti saranno trasmessi alla Corte Costituzionale, e
l’iniziativa verrà comunicata per dovuta conoscenza al presidente della
Repubblica Mattarella. Il decreto “salva Ilva” ci corre obbligo
ricordarlo, ha solo evitato che il sequestro senza facoltà d’uso ordinato dalla
Procura di Taranto a seguito dell’incidente mortale spegnesse l’impianto e di
fatto “paralizzasse” lo stabilimento siderurgico. Peraltro l’ILVA,
sempre secondo il decreto, è tenuta ad informare all’autorità giudiziaria
come intende intervenire sull’ Afo2 (l’altoforno 2) per renderlo più sicuro
mediante l’adozione di “misure e attività aggiuntive anche di tipo
provvisorio”. Peraltro per attuare tutto ciò il decreto
contestato dal gip Rosati, non concedeva molto tempo all’azienda
considerato che il piano va presentato all’autorità giudiziaria entro 30
giorni dal sequestro (siamo quindi nel pieno del periodo previsto) e gli
interventi devono essere effettuati entro 12 mesi. Non a caso giorni fa l’ILVA ha
annunciato che si sarebbe subito messa al lavoro. Ma i giudici tarantini non si
accontentavano di tutto ciò….
Ma qual è il “ruolo”, il compito dei magistrati? Proprio secondo
Mattarella non sarebbe né di protagonisti, né di burocrati. Quello del
magistrato, per il Capo dello Stato, che presiede il Csm, deve essere “un
compito né di protagonista assoluto del processo né di burocratico
amministratore di giustizia. Si tratta di due atteggiamenti che snaturano la
fisionomia della funzione esercitata”. A questo proposito Mattarella ha
voluto ricordare “il monito di Calamandrei”: “Il pericolo maggiore che in
una democrazia minaccia i giudici è quello dell’assuefazione, dell’indifferenza
burocratica, dell’irresponsabilità anonima”. I tre obblighi da ottemperare:
equità, imparzialità, tempestività. Mattarella ha indicato tre necessità per la
giustizia italiana: “L’ordinamento della Repubblica esige che il magistrato
sappia coniugare equità e imparzialità, fornendo una risposta di giustizia
tempestiva per essere efficace, assicurando effettività e qualità della
giurisdizione”. La domanda che è lecita porsi è secondo noi anche la
seguente: e se la Corte Costituzionale dovesse smentire il supposto
del Gip e rigettare il ricorso, avrà questo Giudice il dr. Martino
Rosati la coerenza di dimettersi, di lasciare la magistratura? E se
qualche impresa, o la stessa ILVA in amministrazione straordinaria
a causa dei ritardi conseguenti a tali attività di contrasto al decreto legge
da parte del Gip, dovessero fallire, e decidessero di intraprendere
un’azione civile risarcitoria (ora consentita dalla Legge) nei confronti del
Pubblico Ministero e del Giudice per le indagini preliminari, cosa
farebbero i magistrati “schierati”, cioè politicizzati? Griderebbero al “colpo
di stato” come fanno ogni volta che gli si ricorda che il loro “potere” non
può e non deve essere un potere assoluto, e che in realtà il loro
compito è solo quello di applicare la Legge? Purtroppo ne siamo
quasi certi…Abbiamo trovato un’intervista apparsa sul quotidiano IL GIORNALE
dello scorso 16 giugno 2014, che vi offriamo in lettura e riproduciamo
integralmente di seguito. Vale la pena leggerla sino in fondo, in quanto
contiene valutazioni dell’alto magistrato Corrado Carnevale, ex Presidente
di sezione della Corte di Cassazione che sicuramente ha più esperienza e
competenza dei suoi colleghi tarantini. Ed anche di chi scrive. Questa
scomparsa è il suo unico cruccio. Sulle mascalzonate subite, fa il filosofo.
«Che sentimenti ha verso Caselli?», gli ho chiesto. «Nessuno», ha
detto col tono di chi non dà spazio al superfluo. Il mobbing giudiziario lo ha
inseguito anche nello studio dove sediamo. Un giorno scoprì che il telefono era
isolato. Avvertì la Sip e vennero due tipi che armeggiarono un po’. «Quanto
devo?» chiese alla fine. «È gratis, giudice», fu la risposta. «Come
facevano a sapere che ero giudice?», sorride oggi Carnevale. Così, intuì
che era stato un trucco per mettergli delle cimici e spiarlo in casa, non
avendo potuto scoprire nulla con le normali intercettazioni. Fatica sprecata:
anche le cimici confermarono il galantuomo. Carnevale è passato alla storia
come l’Ammazzasentenze per avere annullato, da presidente di Cassazione,
sentenze infarcite di svarioni. Alcune riguardavano mafiosi, il che
scatenò polemiche. Ma la caratteristica di Carnevale è di essere inflessibile
sul rispetto integrale della legge. Ho isolato le seguenti frasi della nostra
chiacchierata che sono il cuore del suo credo: «Un giudice che ha dubbi su
una norma, può chiedere alla Consulta di cancellarla. Ma finché la norma c’è,
la deve rispettare. Gli piaccia o non gli piaccia. Non può scegliere, le deve
rispettare tutte. Non può inseguire le sue chimere (salvare il mondo, ndr),
fossero anche le più nobili. Suo unico compito è applicare tutte le regole che
l’ordinamento si è posto». Da scolpire nella pietra.
Il punto molle del processo penale è la troppa
vicinanza del giudice al pm, a scapito della difesa.
«Il nodo è chi ha permesso questa vicinanza. Ossia
la politica che ha consentito all’Anm di tutto e di più. Non c’è ormai alcun
controllo sull’idoneità dei magistrati. Basta che appartengano alla giusta
corrente e hanno carta bianca».
Che rapporto ha avuto con l’Anm?
«Mi dimisi nel 1957, quattro anni dopo l’ingresso
in magistratura. Capii subito che non si battevano per la giustizia ma per
soldi e prebende, nonostante il loro trattamento fosse già il più favorevole».
Separazione delle carriere?
«Per farlo, bisogna cambiare la Costituzione. Ma
nulla vieta di impedire da subito a pm e giudici di passare da una funzione
all’altra, come oggi sciaguratamente succede».
Una scuola post-laurea per pm, giudici, avvocati?
«Perfettamente inutile. Il problema è di cultura
generale, non di cultura giuridica».
Più ingressi di prof e avvocati in magistratura?
«Non serve a nulla, come dimostra il Csm in cui un
terzo dei membri è composto di docenti e avvocati, scelti dal Parlamento, che
però si adeguano puntualmente all’andazzo».
A che serve il Csm?
«Alla carriera dei magistrati appartenenti alle
correnti giuste».
Come va riformato?
«Estraendo a sorte i membri. Che oggi sono invece
scelti dalle correnti di Anm tra i più supini ai loro diktat».
Com’è che lei, considerato un cannone, invece di
essere il fiore all’occhiello dei colleghi ha rischiato da loro la galera?
«È accaduto appena ho diretto uffici. Terminavo in
tre mesi, ciò che gli altri facevano in un anno. Ero la prova che i loro alibi
scarsità di mezzi, troppe liti, mancanza di carta igienica – era il tentativo
di addebitare alla politica le proprie lacune».
Per questo volevano rovinarle la vita?
«Temevano che potessi salire tanto in alto da
influire sul loro lassismo. È la logica dell’invidia».
Quello di Caselli, dopo le calunnie di Mutolo, fu atto
dovuto o smania di annichilirla?
«Atti dovuti non esistono. L’attendibilità dei
mafiosi va controllata con rigore, nonostante la teoria di Falcone che i
pentiti dichiarano sempre la verità. Si voleva colpire me».
In un grado del processo prese sei anni per concorso
esterno. Che pensa di questo reato?
«Che non è configurabile. Il concorso esterno è
un’invenzione che ha sostituito il “terzo livello” con il quale si pensava di
colpire i politici».
Il fantomatico terzo livello…
«Il terzo livello non funzionò e si cambiò col
concorso perché aveva una parvenza più giuridica. In diritto esisteva già la
categoria del concorso e, a orecchio, lo si estese a “esterno”».
Se in Cassazione si fosse trovato davanti Dell’Utri,
condannato a sette anni per concorso esterno, che avrebbe detto?
«Che non era ravvisabile quel reato perché la legge
non lo prevede. Ciò non esclude però che i suoi comportamenti potessero avere
un rilievo penale diverso».
Ai mafiosi si applica un diritto speciale: 41 bis,
ecc. Costituzionale?
«Assolutamente no. I cittadini sono uguali davanti
alla legge».
Contro il Cav c’è stato un eccesso di zelo?
«Berlusconi, come tutti i magnati, compreso
Agnelli, è stato disinvolto, ma da imprenditore fu ignorato da Mani pulite.
Entrò nel mirino da politico. Segno della politicizzazione della magistratura».
Come ricondurre le toghe nell’alveo?
«Oltre all’estrazione a sorte del Csm, va
introdotta la responsabilità civile personale dei magistrati.
Esattamente ciò contro cui si batte in queste ore
l’Anm».
Giudizio finale sullo stato della giustizia?
«Siamo tutti esposti a iniziative giudiziarie
capricciose da Paese incivile. Un brutto modo di vivere il tempo che ci è dato
su questa terra».
IO, MAGISTRATO OLTRAGGIATA. Signor Presidente, le comunico l'irrevocabile
decisione di lasciare l'Associazione Nazionale Magistrati. Il plauso da lei
pubblicamente reso all'ingiustizia subita, per mano politica, da noi magistrati
della Procura della Repubblica di Salerno è per me insopportabilmente
oltraggioso. Oltraggioso per la mia dignità di Persona e di essere Magistrato.
Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente ingiuriata; incolpata di
ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza del senso delle istituzioni;
infine, allontanata dalla mia sede e privata delle funzioni inquirenti, così,
in un battito di ciglia, sulla base del nulla giuridico e di un processo
sommario. Per bocca sua e dei suoi amici e colleghi, la posizione
dell'Associazione era già nota, sin dall'inizio. Quale la colpa? Avere,
contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente adottato ed eseguito atti
giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti nelle sedi giurisdizionali
competenti. Avere risposto ad istanze di verità e di giustizia. Avere accertato
una sconcertante realtà che, però, doveva rimanere occultata. Né lei, né alcuno
dei componenti dell'associazione che oggi degnamente rappresenta ha sentito
l'esigenza di capire e spiegare ciò che è davvero accaduto, la gravità e
drammaticità di una vicenda che chiama a riflessioni profonde l'intera
Magistratura, sul suo passato, su ciò che è, sul suo futuro; e non certo
nell'interesse personale del singolo o del suo sponsor associativo, ma in forza
di una superiore ragione ideale, che è - o dovrebbe essere - costantemente e
perennemente viva nella coscienza di ogni Magistrato: la ricerca della verità.
Più facile far finta di credere alla menzogna: il conflitto, la guerra tra
Procure, la isolata follia di "schegge impazzite". Il disordine desta
scandalo: immediatamente va sedato e severamente punito. Il popolo saprà che è
giusto così. E il sacrificio di pochi varrà la Ragion di Stato. L'Associazione
non intende entrare nel merito. Chiuso. Nel dolore di questi giorni, Signor
Presidente, il mio pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo
quanto riportato dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi
attimi dopo l'esemplare "condanna": «Il sistema dimostra di avere gli
anticorpi». Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper
funzionare. Mi chiedo, allora, inquieta, a quale "sistema" Lei faccia
riferimento. Quale il "sistema" di cui si sente così orgogliosamente
rappresentante e garante. Un "sistema" che non è in grado di
assicurare l'osservanza minima delle regole del vivere civile, l'applicazione e
l'esecuzione delle pene? Un "sistema" in cui vana è resa anche l'affermazione
giurisdizionale dei fondamentali diritti dell'essere umano; ove le istanze dei
più deboli sono oppresse e calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime
di sangue? Un "sistema" in cui l'impegno e il sacrificio silente dei
singoli è schiacciato dal peso di una macchina infernale, dagli ingranaggi
vetusti ed ormai irrimediabilmente inceppati? Un "sistema" asservito
agli interessi del potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in
polverosi cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi?
Mi dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado
di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi
palesemente delinque? E quali i virus? E mi spieghi, ancora, quale sarebbe «il
modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza degli
interessi coinvolti dall'esercizio della giurisdizione» che l'Associazione
intenderebbe promuovere? Ora, il "sistema" che io vedo non è affatto
in grado di saper funzionare. Al contrario, esso è malato, moribondo, affetto
da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente alla morte. E io non
voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire qualcosa di buono per i
nostri figli. Ho giurato fedeltà al solo Ordine Giudiziario e allo Stato della
Repubblica Italiana. La repentina violenza con la quale, in risposta ad un
gradimento politico, si è sommariamente decisa la privazione delle funzioni
inquirenti e l'allontanamento da inchieste in pieno svolgimento nei confronti
di Magistrati che hanno solo adempiuto ai propri doveri, rende, francamente,
assai sconcertanti i vostri stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi
stessi, come in uno specchio spaccato. Mentre siete distratti dalla visione di
qualche accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in
gioco i principi dell'autonomia e dell'indipendenza della Giurisdizione. Non
gli orticelli privati. Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la
dignità degli esseri umani. Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere con
la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da quelle che
mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto, come sempre, dei
principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la Legge deve essere
eguale per deboli e potenti. So di avere accanto le coscienze forti e pure di
chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e combatte quotidianamente per
l'affermazione della legalità. Ed è per essa che continuerò sempre ad amare ed
onorare profondamente questo lavoro. Signor Presidente, continui a
rappresentare se stesso e questa Associazione. Io preferisco rappresentarmi da
sola. Gabriella Nuzzi, Sostituto Procuratore Salerno (tratta
dall'edizione salernitana de "Il Mattino).
Di Antonio Giangrande
099.9708396
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