IL PARTITO
INVISIBILE. ASTENSIONISMO, VOTO MIGRANTE E VOTO DI PROTESTA: I MOTIVI DI UNA
DEMOCRAZIA INESISTENTE.
50% circa di
astensione al voto; 5% circa di schede bianche o nulle; 25% di voti di protesta
e non di proposta ai 5Stelle. Solo il 20% di voti validi (forse voti di
scambio). Chi governa ha solo un elettore su 10 che lo ha scelto e si vanta
pure di aver vinto. Che cazzo di democrazia è?
Elezioni
2015. Il partito invisibile, scrive
Alberto Puliafito, direttore responsabile di "Blogo.it" e Carlo Gubitosa
su “Polis Blog”. Un viaggio nel mondo di tutti coloro che non vengono
raccontati dalla comunicazione politica, che non vengono rappresentati, che non
votano. Dopo il voto regionale, la comunicazione politica si è concentrata,
come al solito, su "chi vince". E hanno vinto tutti, chi per un
motivo chi per l'altro. Noi, per un primo commento, ci siamo concentrati su chi
ha perso. E fra i motivi della sconfitta annoveravamo l'impressionante tasso di
astensionismo. I dati che proponiamo qui, grazie al lavoro di Carlo Gubitosa,
dovrebbero, secondo chi scrive, essere pubblicati ovunque. Il giornalismo
dovrebbe, una volta per tutte, dedicare i propri titoli alle rappresentazioni
numeriche realistiche della situazione della rappresentanza politica in Italia,
invece di rincorrere le dichiarazioni di Renzi, Grillo, Salvini o altri. Guardare
quelle fette grigie di non rappresentati fa rabbrividire ma è necessario per
impostare una narrazione giornalistica corretta. Questo è vero data journalism. Per i
partiti contano i propri voti, per la politica contano solo i voti validi, per
il ministero dell'interno contano solo gli elettori. E se invece provassimo a
contare le persone? I grafici che nessuna formazione politica vorrà mai
mostrarvi rivelano il peso numerico della "maggioranza invisibile",
quella che non può, non vuole o non sa indicare una rappresentanza nelle urne.
Sono gli astensionisti, i delusi dalla politica, ma anche gli stranieri e i
minori, una fetta di popolazione che diventa “invisibile” nei sondaggi, nel
dibattito politico e nelle analisi post-voto. Abbiamo provato ad analizzare i
dati ufficiali del voto alle regionali incrociandoli con i numeri dell’ISTAT e
aggiungendoci una semplice curiosità di partenza: scoprire cosa succede se
oltre ai SEGGI ASSEGNATI e ai VOTI VALIDI misurati dalle percentuali iniziamo a
contare anche i VOTI TOTALI (includendo anche chi ha votato scheda bianca,
nulla o annullata), il NUMERO TOTALE DI ELETTORI (includendo anche chi è stato
a casa), e anche il NUMERO TOTALE DI RESIDENTI, stranieri inclusi (per contare
anche chi subisce le conseguenze delle decisioni politiche senza esercitare il
diritto di voto).
La Campania
e il partito della scheda bianca. Nel
disinteresse generale (tanto le poltrone si sono già spartite) a ben quattro
giorni dal voto arrivano i dati definitivi della Campania, dove chi conta le
persone e non le poltrone registra 170mila tra schede bianche e nulle, un
partito che vale il 7% dei voti validi, ben più del valore previsto dal sistema
elettorale campano come soglia di sbarramento per le liste. Potremmo chiederci
se questo 7% di Campani è composto da quella gente egoista, pigra e
disinteressata alla cosa pubblica descritta dai partiti che fomentano
l'astensionismo per poi demonizzare chi lo pratica, o più semplicemente si
tratta di persone a cui è negata rappresentanza politica e quel minimo di
alfabetizzazione necessaria a non farsi annullare la scheda.
Il Veneto e
il suo invisibile "partito migrante". In Veneto il dato di rilievo è il "partito dei
senza voto", quel 21,9% di persone che pur vivendo in quella regione non
può votare perché non ne ha ancora il diritto o perché essendo straniero quel
diritto non ce l'ha mai avuto. Un blocco di elettori pressoché equivalente al
22,9% di astensionisti, a sua volta speculare al 22,9% di Salviniani, dove la
componente migrante pesa per il 12,4% della popolazione residente, più del
consenso raccolto dal PD che in questa regione si ferma al 12,1%. Il dibattito
politico ci mostra a seconda degli schieramenti il ritratto di una regione
Leghista, o di una regione dove trionfa il disimpegno e l'astensionismo, ma
nessuna delle "fotografie politiche" mostrate dai mezzi di
comunicazione di massa si allarga ai dati sull'intero insieme della
popolazione, per mostrare la fotografia di una regione dove un veneto su cinque
non può esprimere rappresentanza politica, e il 12,4% della popolazione
residente con tutta probabilità sarebbe ben contento di prendere le distanze
sia dal blocco leghista che da quello astensionista, esprimendo un "voto
migrante" che molti temono, qualcuno auspica, ma nessuno si decide a
garantire.
Elezioni
comunali 2015, l’Italia senza quorum: ecco i paesi allergici alle urne, scrive “Il fatto Quotidiano”. A Castelvecchio
Calviso, in provincia dell’Aquila, si è registrato uno solo voto valido e
quattro schede bianche a fronte di 277 potenziali elettori. A Platì e San Luca,
due centri reggini sciolti per mafia vince l'astensione: non si presentano
candidati, figurarsi gli elettori. Nel Vibonese, a Spilinga, solo uno su dieci
va a votare. E il sindaco non viene eletto. C’è un’Italia senza quorum. Mentre
si affastellano analisi e reazioni sul dopo voto un piccolo pezzo di Paese ha
preso il largo dalla politica. Sono i cittadini di piccoli e medi comuni che
nel diniego dell’urna hanno ingrossato il dato dell’astensione, fino a produrre
risultati emblematici e paradossali.
Il disgusto
che porta a non andare più a votare. L'astensionismo
è il vero vincitore delle elezioni regionali. E colpisce anche le regioni
rosse, ma sono sempre di più quelli che ritengono la politica italiana
impotente e incapace di risolvere i problemi. Mentre i flussi elettorali
spiegano che i travasi di voti tra i partiti sono limitati. Il vero vincitore
delle elezioni regionali 2015 è stata l’astensione, scrive Alessandro D’Amato
su Next Quotidiano”. Su quasi 19 milioni di elettori chiamati alle urne, appena
il 45%, 8 milioni e mezzo, ha espresso un voto valido ad una lista; oltre 9
milioni, il 48%, si sono astenuti. E la tendenza al non voto diventa sempre più
impressionante nella crescita dei numeri, e comincia a colpire anche le aree
più affezionate al rito elettorale.
Vince
l’astensione: siamo noi giovani a non votare più. Il partito dell'astensione cresce a ogni elezione di
più. Ma è un problema che va affrontato, perché riguarda soprattutto i più
giovani. Troppo lontani dalla politica, scrive Michele Azzu su "Fan
Page". “Il vero vincitore è l’astensionismo”, anche a queste elezioni
regionali ripeteremo questa solita frase fatta per chissà quanto tempo. Frase
che, elezione dopo elezione, sembra sempre più veritiera. Alle elezioni
regionali di Veneto, Campania, Marche, Umbria, Toscana, Puglia, Liguria ha
votato solo il 51.4 per cento degli aventi diritto. Nel 2010 era il 64 per
cento: si sono persi il 10 per cento di voti. Una persona su due non ha votato,
e questa volta non è stato certo per colpa del bel tempo e delle gite di
primavera: nel fine settimana ha piovuto in quasi tutto il paese. È un dato che
fa spavento. Confrontiamolo coi dati delle più recenti votazioni del nostro
paese. Lo scorso novembre si votava alle regionali in Emilia Romagna e
Calabria. Anche in quel caso l’affluenza al voto fu bassissima: in Emilia
Romagna votò il 37.7 per cento contro il 68 delle elezioni precedenti, e contro
il 70 per cento delle europee di solo sei mesi prima. Sono 30 punti percentuali
in meno. In Calabria a votare furono il 43.8 per cento degli aventi diritto
contro il 59 per cento del 2010 (15 per cento in meno). Alle scorse elezioni
europee, invece, l’affluenza fu più alta: circa il 60 per cento degli aventi
diritto. E alle scorse elezioni politiche? Quelle del giugno 2013, in cui vinse
per un soffio il PD guidato da Pierluigi Bersani che poi però non andò mai al
governo. In quell’occasione, votò il 55 per cento degli elettori rispetto al
62.6 per cento di cinque anni prima, nel 2008. Le elezioni hanno ormai imparato
a convivere con alti tassi di astensionismo. E allora, se va così dappertutto,
forse è un segno dei tempi. Chi non vota rinuncia coscientemente a un proprio
diritto – dirà qualcuno – e allora perché porsi il problema?
Votano pochi
anche in Germania. In Italia non si vota per disgusto, in Germania per noia, scrive Roberto Giardina su “Italia Oggi”. Perché preoccuparsi
dell'astensione di domenica scorsa in Italia? Avviene così altrove, perfino in
Germania. Metà dei votanti è rimasta a casa? Claudio Velardi cita la Baviera,
ma, per la verità, qui in Germania, all'ultimo appuntamento elettorale,
l'astensione si è fermata al 46%. Comunque è vero, a casa della Merkel gli
elettori sono sempre più pigri, nelle elezioni dei Länder, le regioni, si
continua a calare, sfiorando il 50%. Soltanto che qui ci si preoccupa della
pigrizia elettorale. I nostri politici fanno finta di niente. Ma le cause sono
diverse: i tedeschi disertano le urne per noia, gli italiani, temo, per
disgusto e rassegnazione.
I GRILLINI
CANTANO VITTORIA. MA ANCHE LORO FAREBBERO BENE A CHIEDERSI PER CHI SUONA LA
CAMPANA, scrive
Antonio de Martini su “Il Corriere della Collera”. Un lettore mi ha
scritto ripetutamente invitandomi a commentare la vittoria del movimento cinque
stelle alle recenti elezioni. Turani nel suo giornale presenta questi
numeri:
1) Alle
elezioni politiche del 2013 , nelle stesse sette regioni in cui si è votato, il
movimento cinque stelle raccolse 3.274.571 suffragi.
2) Alle
elezioni Europee del 2014 , sempre nelle stesse regioni, gli elettori scesero a
2.211.384.
3) Alle
regionali appena trascorse i votanti 5 stelle sono stati 1.320.885.
Sempre che
la matematica non sia diventata di parte anch’essa, il movimento 5 stelle non
ha avuto un successo, ma una perdita di votanti che si sono dimezzati rispetto
alla prima apparizione sulla scena politica. Molti cittadini cercano di
illudersi e vedere in “ogni villan che parteggiando viene ” il messia salvatore
che rimetta le cose a posto senza che ci si scomodi più di tanto. Un
voto, una richiesta di favori e via….Ebbene, non è così. Non è più così. La
tendenza chiara ogni giorno di più è che dal 1976 in poi la sola cifra in
crescita alle elezioni è quella dei cittadini che si rifiutano di essere presi
in giro da questi ladri di Pisa che di giorno litigano e di notte rubano
assieme. I cittadini che si astengono dal voto e di cui tutti fingono di non
capirne le motivazioni. Il Cardinale Siri ( arcivescovo di Genova, città che si
appresta a subire l’ennesima delusione) – mi dicono – ebbe un bon mot: ”
esiste personale politico di due tipi: quelli che rubano per fare politica e
quelli che fanno politica per rubare. Da un po' vedo in giro solo questi
ultimi”. Appunto. Arrestarli? Inutile. Sono più numerosi dei carabinieri e in
costante crescita. Per uscire da questo maleolente pantano è necessario che
tutti i cittadini – dopo aver fatto il proprio dovere – decidano di esercitare
i loro diritti costituzionali partecipando alla vita nazionale in forma attiva,
propositiva e continuativa. Ad ogni livello. Fino a che aspetteremo il “deus ex
machina”, la “rigenerazione” ed altre minchiate consimili resteremo dove siamo.
Tra tutte le soluzioni miracolistiche proposte, quella di far governare
l’Italia da un gruppo di giovani somari è la più stravagante. I dirigenti della
Nuova Repubblica dovranno essere selezionati uno a uno in base al sapere,
all‘esperienza e sopratutto al carattere. Oggi si scelgono in base alla
fedeltà, l’ignoranza e alla disponibilità al compromesso. La politica delle
etichette (delle camicie, dei distintivi ecc) si addice ai prodotti
commerciali, non alle persone.
L'utopia
dell'onestà e la demagogia della proposta politica irrealizzabile, presentata
come panacea di tutti i mali, sono le prese per il culo che il cittadino non
tollera più.
Una
Repubblica fondata sulla trattativa. Gli accordi
tra Stato e criminalità vanno avanti da due secoli. Così i padrini si sono
visti riconoscere la loro forza. Che ora si è spostata nell’economia, scrive
Giancarlo De Cataldo su "L'Espresso". Ci sono in molti paesi delle
fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro
legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un
arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario,
ora di proteggerlo, ora di conquistarlo, ora d’incolpare un innocente. Il
popolo è venuto a convenzione coi rei”. Così scriveva, nel 1838, don Pietro
Ulloa, Procuratore borbonico di Trapani. E Leonardo Sciascia poteva annotare,
sconsolato, oltre cent’anni dopo: “Leggeremo mai negli archivi della
commissione parlamentare antimafia attualmente in funzione, una relazione acuta
e spregiudicata come questa?”.
Onestà (e
non solo) la risposta politica contro la corruzione. Dopo tante inchieste sulle malefatte degli
amministratori, bisogna chiedersi perché nulla sia cambiato: come diceva Croce,
non basta invocare le virtù personali, occorrono strategie adeguate, scrive
Giovanni Belardelli su “Il Corriere della Sera”. «Di nuovo?». È questa la
domanda che, di fronte agli sviluppi giudiziari dell’inchiesta «Mafia
capitale», molti cittadini si sono fatti, sempre meno fiduciosi circa la
possibilità che si possa ridurre l’intreccio tra politica e malaffare. È uno
stato d’animo comprensibile, ma da superare: occorre chiedersi se non c’è stato
anche qualcosa di sbagliato nel modo in cui, per tanti anni, abbiamo evocato la
questione morale. L’appello all’onestà, tante volte ripetuto, non basta infatti
di per sé a risolvere i mali della politica: e il sentimento «anti casta», pur
animato da giustificato sdegno, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica
e dei partiti si possa fare a meno, per affidarsi alla magistratura. Così non
è. E anche se la qualità del ceto dirigente, locale e nazionale, è
evidentemente scadente (quanti sono coinvolti nelle inchieste sembrano spinti
solo da miserabili aspirazioni di arricchimento), l’onestà personale non è, né
sarà sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica. Osservò
una volta Benedetto Croce che la «petulante richiesta» di onestà nella vita
politica è l’«ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli».
Personalmente onestissimo, Croce non voleva certo fare l’apologia della
disonestà in politica ma segnalare come l’appello all’onestà sia di per sé
insufficiente a risolvere i mali della politica, che hanno anzitutto bisogno di
rimedi - appunto - politici. Invece - ecco un altro errore di questi decenni -
il sentimento «anticasta», pur animato da sdegno giustificatissimo per i
privilegi e le malefatte del ceto politico, ha diffuso nel Paese l’idea che
della politica e dei partiti si possa fare a meno, per affidarsi ai controlli e
alle inchieste della magistratura, magari con un inasprimento delle pene cui
pochi peraltro riconoscono una vera capacità dissuasiva. Non c’è bisogno di
citare ancora Croce per osservare che l’onestà personale non è sufficiente a
risolvere un problema di grave inadeguatezza politica.
Nel paese
dove è inutile essere onesti. La politica
è da sempre incapace di fare pulizia prima che arrivino le inchieste
giudiziarie. Così si arriva alle liste compilate con criteri discutibili,
scrive Roberto Saviano su “L’Espresso”. Elezioni all'insegna del “in fondo
sapevamo già tutto”, le Regionali di domenica scorsa. Certo, banalizzare
l’esito del voto talvolta può essere un’operazione scontata, ma non in questo
caso, in cui le premesse dicevano già molto. Ma non le premesse dei sondaggi,
non i dibattiti sui giornali, non i comizi da talk show. Bensì gli umori in
strada, i discorsi tra le persone, la delusione da bar. Eh sì, perché ormai le
“chiacchiere da bar” è in questo che si sono mutate, in “delusione da bar”.
Alla politica ormai si applica la stessa “sindrome Trapattoni” che il nostro
paese conosce per il calcio: tutti allenatori e tutti delusi dalla classe
politica. Abbiamo letto ancora una volta titoli come “Il vero vincitore è
l’astensionismo” che mette in luce quel 52% di affluenza al voto che ormai non
scandalizza più. E se in Italia la politica, tutta, non cambia rotta - ma
evidentemente non lo farà - è un dato destinato a decrescere soprattutto se
alle urne si è chiamati in una domenica di sole, la prima dopo freddo e
pioggia.
La finanza,
gli impresentabili e i parrucconi, scrive
Nicola Porro su “Il Giornale”. Questo paese di parrucconi è veramente una
schifezza. Parrucconi buoni solo a declamare principi favolosi di onestà,
correttezza ed eticità ci sono sempre stati per carità. Il problema è che
abbiamo sempre pensato che sotto queste profumate parrucche, si celassero solo
teste di rapa. Alzi la mano chi è a favore della disonestà? Faccia un passo
avanti chi è favore della corruzione? Nessuno è ovvio. Il nostro parruccone
moderno fa di più, questiona i quarti di nobiltà. Tipo alla Caccia. Vabbè tutti
sapete della genialata democratica della commissione antimafia, guidata da Rosy
Bindi.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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