La
negligenza dei PM. Marianna Manduca e le altre o gli altri.
Per
la Corte di Cassazione 12 denunce disattese valgono “la negligenza
inescusabile” dei PM.
Commento
di Antonio Giangrande. Scrittore e sociologo storico.
Trattare
il caso di Marianna Manduca, anche in video, è come trattare
miriadi di casi identici, così come ho fatto in “Ingiustiziopoli. Disfunzioni
del sistema che colpiscono i singoli”, e mi porta ad affrontare un tema che
tocca argomenti inclusi in vari saggi da me scritti e pubblicati su Amazon e su
Lulu.
Per
la verità la decisione della Corte di Cassazione, tanto enfatizza dai media, è
intervenuta solo per affermare un principio giuridico formale. La Suprema Corte
ha accolto il ricorso con il quale il tutore dei tre bambini (Carmelo Calì che
è un cugino della loro mamma che vive a Senigallia, nelle Marche) ha fatto
valere il diritto dei piccoli a ottenere giustizia. La Corte di Appello di
Messina non potrà più respingere la richiesta sostenendo che sono scaduti i
termini e che l’azione andava esercitata entro i due anni dalla morte di
Marianna. Per la Cassazione invece le argomentazioni dei magistrati messinesi
«non hanno giuridico fondamento» perchè - spiegano i supremi giudici - il
termine biennale, in un caso del genere, non può decorrere dal giorno della
morte della donna ma «dal momento in cui i minori stessi avessero acquistato la
capacità di agire», ovvero dal giorno in cui un adulto veniva ufficialmente
nominato loro tutore.
La
Corte Suprema, sulla base della legge del 1988 sulla responsabilità civile dei
magistrati, ha affermato che i figli di Marianna ora potranno avere un
risarcimento dallo Stato per la «negligenza inescusabile» dei pm che avrebbero
dovuto invece occuparsi di quelle denunce.
Tanto
si è parlato del caso di Marianna Manduca. Per la Cassazione i magistrati non
diedero importanza alle denunce della donna poi uccisa dal marito ed è per
questo che i suoi tre figli hanno diritto ad un risarcimento. Il padre
uxoricida è stato condannato a soli venti anni di reclusione. Le aggressioni
alla ex moglie erano tutte avvenute in pubblico. Ciò nonostante nessuno
condusse indagini e nemmeno prese provvedimenti a tutela della donna in
pericolo, nonostante le sue richieste di aiuto.
«Spesso
la legge non tutela le donne, ma in questo caso anche quelle previste non sono
state applicate
- denuncia l'avvocato Corrado Canafoglia - è incredibile che 12 dodici
aggressioni avvenute in strada, pubblicamente e alla presenza di testimoni
l'uomo non sia stato allontanato». Ergo: sbagliano le toghe, pagano gli
italiani, muoiono le vittime.
Ma
a tutti è sfuggito un particolare importante che porta a chiederci: per le
toghe quante denunce insabbiate valgono una vita umana? Una, due, tre,
dieci…Oppure fino a che punto lo stantio o l’inerzia provoca l’inevitabile
evento denunciato?
E
perché, come ai poveri cristi, alle toghe omissive non viene applicato il reato
di omissione d’atti di ufficio, ex art. 328 C.P.? Non si paventa il dolo
omissivo?
Non
si pensi che la morte di Marianna Manduca sia un caso isolato e riferito solo
alla trinacride magistratura. Per i miscredenti vi è un dato, rilevato dal foro
di Milano tratto da un articolo di Stefania Prandi del “Il Fatto Quotidiano”.
“Per le donne che subiscono violenza spesso non c’è giustizia e la
responsabilità è anche della magistratura”. A lanciare l’accusa sono avvocate e
operatrici della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano che
puntano il dito contro la Procura della Repubblica di Milano, “colpevole” di
non prendere sul serio le denunce delle donne maltrattate. «La tendenza è di
archiviare, spesso de plano, cioè senza svolgere alcun atto di indagine,
considerando le denunce manifestazioni di conflittualità familiare – spiega
Francesca Garisto, avvocata Cadmi – Una definizione, questa, usata troppe volte
in modo acritico, che occulta il fenomeno della violenza familiare e porta alla
sottovalutazione della credibilità di chi denuncia i maltrattamenti subiti. Un
atteggiamento grave da parte di una procura e di un tribunale importanti come
quelli di Milano». Entrando nel merito della “leggerezza” con cui vengono
affrontati i casi di violenza, Garisto ricorda un episodio accaduto di recente:
«Dopo una denuncia di violenza anche fisica subita da una donna da parte del
marito, il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione de plano
qualificandola come espressione di conflittualità familiare e giustificando la
violenza fisica come possibile legittima difesa dell’uomo durante un litigio».
La sua storia è esemplare: è
il padre di Carmela. «Una ragazzina di 13 anni - scrive Alfonso - che il 15
aprile del 2007 è deceduta volando via da un settimo piano della periferia di
Taranto, dopo aver subito violenze sessuali da un branco di viscidi esseri», ma
poi anche le incompetenze e la malafede di quelle Istituzioni che sono state
coinvolte con l’obiettivo di tutelarla», perché «invece di rinchiudere i
carnefici di mia figlia hanno pensato bene di rinchiudere lei in un istituto
(convincendoci con l’inganno) ed imbottendola di psicofarmaci a nostra
insaputa». Carmela aveva denunciato di essere stata violentata; e nessuno,
né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano
presa sul serio. Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio.
Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità
compromesse» e, quindi, poco credibile.
Invece
di perseguire chi l’aveva violentata, hanno di fatto perseguito una bambina
rinchiudendola in vari istituti in cui Carmela non voleva stare. E, come ha
denunciato il padre, usando il metodo facile di «calmarla» con psicofarmaci.
Fin
qui la questione attinente al femminicidio.
L’uomo
orco da scotennare? No! C’è un paradosso da non sottovalutare. Se i Pm
insabbiano, i giudici sono punitivi.
«Giudici
punitivi, sempre dalla parte delle madri. E padri disperati: troppe le storie
quotidiane di sofferenza atroce». E’ agguerrito Alessandro Poniz di Martellago
(Ve), coordinatore Veneto dell’associazione Papà Separati. Esprime la rabbia e
la frustrazione che ogni giorno tanti genitori «vessati dall’ex coniuge»
riversano su di lui. «Ci si scontra continuamente con madri “tigri” tutelate
dalla legge - accusa Poniz - . Non mi stupisce il dramma del papà di Padova.
Sì, sono convinto che per la disperazione si possa arrivare a togliersi la
vita. Sapete quanti padri si presentano puntuali a prendere i figli, secondo le
sentenze stabilite dai tribunali, suonano il campanello e vengono mandati via
dalla madre con la scusa che il bimbo è ammalato? Escamotage simili vanno
avanti per anni... E quanti scontano l’odio e il rancore di figli “plagiati”
dalle madri?».
«Il
sistema non è mai pronto a intervenire tempestivamente», sostiene Alessandro
Sartori, presidente Veneto dell’associazione italiana avvocati per la famiglia
e per i minori (Aiaf). «Ci vorrebbe una formazione specifica sia per i giudici
che per i servizi sociali. A volte sono chiamati a pronunciarsi su questa
materia delicatissima giudici che fino al giorno prima si occupavano di diritto
condominiale...».
Divorzi
e paternità: ecco come la donna violenta l'uomo. False denunce e
false accuse tra violenze fisiche, verbali e paternità negate. Nella coppia la
donna diventa sempre più violenta. Ecco i risultati sconcertanti del
questionario, scrive Nadia Francalacci su “Panorama”. “Sono prive di
fondamento le teorie dominanti che circoscrivono ruoli stereotipati:
donna/vittima e uomo/carnefice”. Ad affermarlo è la psicologa forense Sara
Pezzuolo, dopo aver condotto in Italia la prima “Indagine conoscitiva sulla
violenza verso il maschile”. “Dal questionario emerge come anche un
soggetto di genere femminile sia in grado di mettere in atto una gamma estesa
di violenze fisiche, sessuali e psicologiche - continua a spiegare a Panorama.it,
l’esperta - che trasformano il soggetto di genere maschile in vittima”.
E
quando gli affidi diventano scippi e le vittime sono i figli ed entrambi i
genitori?
Ci
sono i falsi abusi, ma che realizzano vere tragedie. Solo 3 denunce su 100 si
concludono con una condanna.
Minori
strappati dalle mura domestiche e rinchiusi all’interno di comunità.
Storie di sofferenze, abusi, maltrattamenti, ma anche di errori
giudiziari, che segnano indelebilmente la vita di minori, costretti a vivere e
crescere in comunità o famiglie affidatarie lontane dall’affetto dei genitori.
Da
quanto detto si estrae una semplice conclusione. Il sistema esaspera gli animi
ed il debole soccombe. Non vi è differenza di sesso od età. Solo i media esaltano
il fenomeno del femminicidio. Lo fanno per non colpire i veri responsabili: i
magistrati.
Bene.
Anzi, male. Perché se è vero, come è vero, che questo sistema della
stagnazione delle denunce o la loro invereconda procedibilità viene applicato
anche per qualsiasi altro tipo di reato violento, allora si è consapevoli del
fatto che ogni vittima è rassegnata al peggio. Si badi bene. Qui si parla anche
di vittime di estorsioni. Quindi vittime di mafia. Senza parlare poi delle
vittime di errori giudiziari.
Ecco,
allora, chiedo a Voi toghe. Quando scatterebbe la “la negligenza inescusabile”
dei PM che provoca morte o rassegnazione, dopo una, due, tre, dieci…denunce? Ce
lo dite con una vostra alta sonante pronuncia, in modo che noi vittime, poi,
teniamo il conto di quelle già insabbiate. Se poi, in virtù dell’indifferenza
sopravviene la morte, chissà, forse i nostri figli si potranno rivalere
economicamente, non sui responsabili, come sarebbe giusto, ma, bontà vostra,
sui nostri e vostri concittadini che pagano le tasse anche per quei risarcimenti
del danno. Danni riferiti a responsabilità dei magistrati, ma non a questi
addebitati.
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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