Il
progresso, si sa, porta sviluppo tecnologico e sociale, ma produce anche
inquinamento. Inquinamento prodotto dalle industrie, prodotto dalla
circolazione dei veicoli, prodotto dal riscaldamento domestico. In inverno,
spesso, si sente che le grandi città limitano la circolazione dei veicoli e
l’uso del riscaldamento domestico, connubio velenoso, per render più
respirabile l’aria. Proprio a Taranto l’ex sindaco Rossana Di Bello emise
un’ordinanza di divieto al transito in città alle corriere della Sud Est che
portavano i pendolari dalla provincia. Nei paesi sottosviluppati dove si muore
ancora di fame il problema dell’inquinamento non esiste: aria pura e panza
vuota. Ecco perché a nessuno verrebbe in mente di vietare i riscaldamenti o impedire
la circolazione dei veicoli per le strade urbane ed extraurbane, ne tanto meno
si proverebbe a chiudere qualsiasi attività economica, che direttamente o
indirettamente produce inquinamento. Certo è che vige un principio: tutta
quanto è dannoso deve stare lontano da noi, in casa d’altri!! Purtroppo spesso
gli altri siamo noi e dobbiamo farci una ragione. Ovviamente non manca chi
auspica la giunglalizzazione delle città, ma, per fortuna, ancora sono in
pochi.
Inoltre,
c’è da considerare un altro aspetto, a proposito di inquinamento, non c’è solo
l'Ilva e non c’è solo Taranto. Ma anche Gela, Priolo, Bagnoli, Porto Torres, le
miniere dell'Iglesiente, Marghera e decine di altri siti industriali ancora in
funzione o abbandonati. Quelli di interesse nazionale sono 57. Da una stima
approssimativa, per la bonifica servirebbero 30 miliardi di euro, ma nel
bilancio del ministero dell'Ambiente, alla voce "bonifiche" sono disponibili
164 milioni. E la salute delle persone che lavorano negli impianti ancora in
funzione, quelle che vivono nelle vicinanze, cosa rischiano? Nessuno osa
negare, compresi i dirigenti e i proprietari delle aziende, che qualche
problema c'è. E il perenne ricatto è: bonificare vuol dire chiudere la fabbrica
e mandare a casa decine di migliaia di lavoratori. Ma cosa si è fatto nel
passato, cosa si fa oggi e quali sono i programmi futuri per sanare i siti? Una
cosa da non dimenticare: le persone coinvolte sono più di 6 milioni. In Italia
si calcola che i siti potenzialmente inquinati siano circa 13 mila e di questi
1.500 impianti minerari abbandonati, 6 mila e 500 ancora da indagare e 5 mila
sicuramente da bonificare. Poco meno di 13 mila siti sono di competenza
regionale (dai distributori di benzina alle piccole fabbriche che lavorano i
combustibili), mentre 57 sono sotto la giurisdizione statale. Questi ultimi
sono definiti dalla sigla SIN, vale a dire Siti di Interesse Nazionale.
Allora
ci si chiede: perché si parla tanto e solo di Taranto e di ILVA?
«Perché
a Taranto ci sono i “talebani”, ossia chi non sente ragioni contrarie alle
proprie – spiega il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”
e scrittore-editore dissidente, che proprio su Taranto ha scritto un libro. –
Quelli che nel privilegio dell’impiego pubblico si dedicano alla pseudo tutela
dell’ambiente. Questi, nel nome della tutela della salute, non chiedono la
sanificazione dell’Ilva, ma pretendono la sua chiusura. Non dell’Eni o della
Cementir, anch’esse gravemente inquinanti: no, dell’Ilva. Questi che vogliono
la chiusura dell’Ilva sono nati con l’Ilva o dopo che questa ha iniziato a
produrre. Sono cresciuti con essa ed anche grazie ad essa. Però, si sa, non c’è
gratitudine in questo mondo. E’ vero che sin da piccolo (ed i decenni son passati)
quando mi apprestavo ad entrare in Taranto, la città da lontano la vedevo avvolta
da una cappa di fumo, ma è anche vero che con l’Italsider (odierna Ilva) la
gente non emigrava più. Tutti lavoravano in Ilva e tutti lavoravano per l’Ilva.
Taranto senza l’Ilva e le altre grandi industrie sarebbe solo una città di
cozzari. Ripeto. Non c’è gratitudine.
Per esempio, anche Trieste ha la sua Ilva. Lì è stato perseguito per
calunnia l’ambientalista che denunciava l’esistenza dell’inquinamento. Paese
che vai, usanza che trovi. A Taranto affianco agli ambientalisti di maniera
troviamo chi da operaio è stato traviato dall’azienda e per gli effetti gli si
ritorce contro. Troviamo ancora il capo della procura con i suoi sostituti e
l’ufficio del Gip-Gup che, in generale dai dati elaborati in Italia, delle
procure è la longa manus. Uomini della Procura che nell’inerzia quarantennale
ha deciso di essere deus ex machina senza controllo alcuno e di decidere, da
uomini soli, per un’intera nazione.
A
proposito degli ambientalisti sprono della magistratura. Il presidente dei
Verdi, Angelo Bonelli, e il presidente di
Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti
hanno fornito i dati dello studio del progetto “Sentieri”.
Nel periodo 2003-2008 a Taranto è stato rilevato un aumento del 24% dei tumori del fegato e dei polmoni, del 38% per i
linfomi e del 38% per i mesoteliomi. Bonelli e
Marescotti hanno dichiarato “Il dato veramente preoccupante è quello dei bambini, per i quali si registra un +35% di decessi sotto un anno di
età e per tutte le cause. Per quanto riguarda le morti nel
periodo perinatale +71%. Questi sono i dati dell’aggiornamento che il ministro
Balduzzi non ha voluto comunicare perché diceva che erano in fase di
elaborazione. E’ falso perché questi dati sono stati
elaborati, stampati e comunicati alla procura della Repubblica il 30 marzo di
quest’anno”. Corrado Clini
sostiene che questi dati siano falsi. Per questo motivo ha dato mandato all’avvocatura dello Stato di procedere nei confronti di
Bonelli, che ha ripetutamente accusato il ministro
dell’Ambiente di nascondere i dati sulla mortalità e di fornire informazioni
false sullo stato della salute degli abitanti di Taranto.
Clini ha detto “Fra l’altro mi preoccupa la diffusione di notizie false che
generano allarme tra la popolazione e mirano a intimidire le autorità
competenti in materia di protezione ambiente e tutele della salute”.
Certo è che l’annunciata
chiusura dell’Ilva di Taranto potrebbe rappresentare uno dei più grandi
disastri industriali e sociali del nostro Paese degli ultimi anni, così come il
suo funzionamento sembrerebbe esserlo stato per le condizioni di salute della
città. E’ questa la considerazione che viene più spontaneo fare di fronte ai
numeri sconvolgenti che lo stop degli altoforni di Taranto potranno portarsi
come conseguenza più immediata. D’altronde stiamo parlando di un’azienda che
rappresenta il 20esimo gruppo siderurgico del mondo, e dunque non è difficile
immaginare l’impatto che ci sia sull’economia nazionale, sia in termini
occupazionali che finanziari. E cominciamo allora proprio da qui, dal mettere
in fila le prime drammatiche cifre sugli effetti umani e sociali di una sempre
più probabile serrata dell'Ilva. Nella sola zona di Taranto andrebbero in fumo
circa 12mila posti di lavoro, che rappresentano gli addetti diretti allo
stabilimento, cifra che sale però a quota 20mila se si considera l’indotto.
Quello di Taranto infatti rappresenta il più grande sito produttivo siderurgico
d’Europa e allo stesso tempo lo stabilimento industriale con più addetti in
Italia. Un particolare non da poco se si pensa che sorge in un contesto
cittadino dove recenti statistiche parlano di un tasso di disoccupazione che
viaggia intorno al 30%. In pratica chiudere l’Ilva potrebbe significare mettere
in ginocchio l’economia di Taranto e a cascata di altre zone della Provincia e
della Regione Puglia, visto che dei citati 12mila addetti diretti, solo 4mila
sono tarantini, mentre gli altri vengono da fuori. Ma le conseguenze negative
non finiscono qui sul fronte occupazionale, perché lo stop di Taranto si porta
come conseguenza il blocco della produzione anche del sito Ilva di Genova, dove
altri 1.760 dipendenti sono in agitazione perché vedono a rischio il proprio
posto di lavoro. E il fatto che la chiusura dello stabilimento di Taranto si
porti dietro conseguenze occupazionali così pesanti, si lega, come accennato,
al rilievo che la sua produzione di acciaio riveste per l’intera economia
italiana. Secondo i dati forniti dalla Confindustria pugliese infatti, la
capacità produttiva di circa 10 milioni di tonnellate l’anno di acciaio che
arrivano da Taranto, rappresentano circa il 40% del fabbisogno nazionale. Se
l’Italia dovesse essere costretta a importare quantità di questo rilievo,
andrebbe incontro ad una spesa del valore di circa 9 miliardi di euro. Una
cifra che rappresenta circa un punto di Pil nazionale, e il 7-8% del Pil regionale
pugliese. Un vero e proprio disastro economico dunque per il nostro Paese, che
rischia, come accennato, di sfociare in dramma sociale a Taranto, dove monta la
rabbia degli operai rimasti senza lavoro dalla sera alla mattina.
Ma
chi vive sulle spalle degli altri con la busta paga pubblica degli operai se ne
fotte (l’intercalare spiega bene l’idea).
Gli
operai, talebani anche loro. Pronti a marciare su Taranto o a bloccare la
circolazione dei veicoli, usando violenza sui malcapitati che si son trovati a
passar dalle loro parti. Spintoni o gomme tagliate per chi non solidarizza con
loro. L’esasperazione dirà qualcuno. In Italia, infatti, lavorano solo 23
milioni di persone e il nostro è il paese europeo col minor tasso di
occupazione. In compenso, come è noto, abbiamo 16 milioni di pensionati oltre a
un bel po' di disoccupati e un sacco di altra gente che il lavoro manco lo
cerca. E' emergenza disoccupazione. Secondo le ultime stime provvisorie dell'Istat il
tasso generale si è attestato all'11,1%. Per questo quando si dice che l'Italia
lavora, non è vero. L’Italia non lavora e se ne fotte degli altri, ma il punto
è che non vota sfiduciata da questa politica. Mai così tanti disoccupati, mai
così tanti non votanti. C’è difetto di rappresentanza e la contrapposizione tra
interessi è l’effetto.
Per
questo motivo, nel venire incontro a tutti gli interessi in campo il decreto
legge varato dal Consiglio dei ministri "stabilisce che la società Ilva
abbia la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti e che sia
autorizzata a proseguire la produzione e la vendita per tutto il periodo di
validità dell'Aia". Il rilascio a ottobre 2012 da parte del Ministero
dell'Ambiente dell'autorizzazione integrata ambientale ha anticipato gli
obiettivi fissati dall'Unione europea in materia di BAT - best available
technologies (tecnologie più efficienti per raggiungere obiettivi di compatibilità
ambientale della produzione) di circa 4 anni. Con il provvedimento - spiega il comunicato di Palazzo Chigi -
all'Aia è stato conferito lo status di legge, che obbliga l'azienda al rispetto
inderogabile delle procedure e dei tempi del risanamento. Qualora non venga
rispettato il piano di investimenti necessari alle operazioni di risanamento,
il decreto introduce un meccanismo sanzionatorio che si aggiunge al sistema di
controllo già previsto dall'Aia. "I provvedimenti di sequestro e confisca
dell'autorità giudiziaria - spiega ancora il comunicato stampa - non
impediscono all'azienda di procedere agli adempimenti ambientali e alla
produzione e vendita secondo i termini dell’autorizzazione". "L'Ilva
- spiega il comunicato stampa - è tenuta a rispettare pienamente le
prescrizioni dell’autorizzazione ambientale". Palazzo Chigi definisce il
decreto legge "un cambio di passo importante verso la soluzione delle
problematiche ambientali, il rispetto del diritto alla salute dei lavoratori e
delle comunità locali interessate, e la tutela dell'occupazione". "In
questo modo - prosegue la nota - vengono inoltre perseguite in maniera
inderogabile le finalità espresse dai provvedimenti assunti dall’autorità
giudiziaria".
Il
Cdm stabilisce che la società "abbia la gestione e la responsabilità della
conduzione degli impianti e che sia autorizzata a proseguire la produzione e la
vendita per tutto il periodo di validità dell'Aia (sei anni). L'Ilva è tenuta a
rispettare pienamente le prescrizioni. Le bozze del decreto sono state
continuamente limate e ritoccate nel corso del Consiglio. Importante era
evitare lo scontro frontale con la magistratura. Confermata, l'introduzione di
una 'figura di garanzia', una 'figura terza' che possa dare fiducia a tutte le
parti coinvolte: non un commissario ma un 'garante' che vigili
sull'applicazione rigorosa ed efficace delle prescrizioni Aia. "Il garante
- ha spiegato il sottosegretario Antonio Catricalà - deve essere persona di
indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza e sarà proposto dal ministro
dell'Ambiente, dal ministro dell'Attività Produttive, e della Salute e sarà
nominato dal presidente della Repubblica". Il Garante acquisirà
dall'azienda, dalle amministrazioni e dagli enti interessati le informazioni e
gli atti ritenuti necessari, segnalando al presidente del Consiglio e al
ministro dell'Ambiente le eventuali criticità riscontrate nell'attuazione delle
disposizioni e potrà proporre le misure idonee, tra le quali anche
provvedimenti di amministrazione straordinaria. "Qualora non venga
rispettato il piano di investimenti necessari alle operazioni di risanamento,
il decreto introduce un meccanismo sanzionatorio che si aggiunge al sistema di
controllo già previsto dall'Aia", si legge nella nota di Palazzo Chigi. In
caso di inadempienze per l'Ilva - ha spiegato a questo proposito il ministro
dell'Ambiente Corrado Clini - "restano tutte le sanzioni già previste e in
più introdotta la possibilità di una sanzione sino al 10% del fatturato annuo
dello stabilimento". Non solo. "Abbiamo introdotto interventi
possibili sulla proprietà stessa - ha aggiunto il ministro dello Sviluppo
Corrado Passera - che potrebbero togliere enorme valore a quella proprietà: se
non fa quello che la legge prevede, vede il suo valore fino al punto di
perderne il controllo di fronte a comportamenti non coerenti. E' possibile che
variamo la procedura di amministrazione controllata. Insomma, se non si fanno
gli investimenti e gli adempimenti di legge, viene messo qualcun altro a
farlo". "Non possiamo ammettere - ha detto Monti in conferenza stampa
- che ci siano contrapposizioni drammatiche tra salute e lavoro, tra ambiente e
lavoro e non è neppure ammissibile che l'Italia possa dare di sé un'immagine,
in un sito produttivo così importante, di incoerenza. L'intervento del governo
è stato necessario perchè Taranto è un asset strategico regionale e
nazionale", ha aggiunto. "Questo caso è la plastica dimostrazione per
il passato degli errori reiterati nel tempo e delle incoerenze di molte realtà,
sia imprenditoriali che pubblico-amministrative, che si sono sottratte, nel
corso del tempo, alla regola della responsabilità, dell'applicazione e del
rispetto della legge". La strada del decreto è stata intrapresa per evitare
- aveva spiegato Monti - "un impatto negativo sull'economia stimato in
otto miliardi di euro annui". Il provvedimento salva i 12mila dipendenti
di Taranto e i lavoratori dell'indotto pugliese. Ma anche Genova, Novi Ligure,
Racconigi. La possibilità di togliere l'azienda alla proprietà era stata
prospettata anche da Clini intervenuto a Servizio Pubblico: aveva fatto
intendere che il governo sarebbe stato pronto a prendere in mano la situazione
nel caso in cui la famiglia Riva non voglia o non possa far fronte alle
prescrizioni. "Sappiamo - aveva spiegato - che per essere risanato quel
sito deve continuare ad essere gestito industrialmente. I Riva hanno detto che
sono ponti a farlo. Il piano degli interventi prevede parchi minerari, altoforni,
batterie delle cokerie. Se non fai questo, è la nostra posizione, non puoi
continuare a gestire gli impianti. Se non sono in grado dobbiamo farci carico
noi con un intervento che consenta di garantire la continuità produttiva ed il
risanamento".
Questo
è il potere esecutivo, il cui operato sarà convalidato dal potere legislativo.
I magistrati, però hanno una loro ben definita contrapposizione: «Prendiamo
atto che il governo, di fronte ad una situazione complessa e con gravi
ripercussioni occupazionali, si è assunto la grave responsabilità di vanificare
le finalità preventive dei provvedimenti di sequestro emessi dalla magistratura
e volti a salvaguardare la salute di una intera collettività dal pericolo
attuale e concreto di gravi danni», dice il segretario dell'Associazione
magistrati (Anm), Maurizio Carbone, proprio a Taranto sostituto procuratore.
Per Carbone «resta tutta da verificare la effettiva disponibilità dell'azienda
ad investire i capitali necessari per mettere a norma l'impianto e ad adempiere
alle prescrizioni contenute nell'Aia», tenuto conto che «sino ad ora la
proprietà ha dimostrato di volersi sottrarre all'esecuzione di ogni
provvedimento emesso dalla magistratura». Ed ancora non ha lesinato critiche al provvedimento
d'urgenza di Palazzo Chigi: «È un'invasione di campo, dov'è finito il principio
della separazione dei poteri? Il decreto legge vanifica di colpo tutti gli
effetti dei provvedimenti presi dai magistrati per la tutela della salute dei
cittadini. Il governo, così facendo, si è preso una grossa responsabilità».
Per
il gip di Taranto Patrizia Todisco la nuova Aia per l'Ilva «non si preoccupa
affatto della attualità del pericolo e della attualità delle gravi conseguenze
dannose per la salute e l'ambiente». L'attività produttiva dell'Ilva è
«tuttora, allo stato attuale degli impianti e delle aree in sequestro,
altamente pericolosa». I tempi di realizzazione della nuova Aia sono
«incompatibili con le improcrastinabili esigenze di tutela della salute della
popolazione locale e dei lavoratori del Siderurgico», scrive il gip. Tutela che
«non può essere sospesa senza incorrere in una inammissibile violazione dei
principi costituzionali» (articoli 32 e 41). Come è possibile, sulla base di
quanto emerso dalle indagini, «autorizzare comunque l'Ilva alle attuali
condizioni e nell'attuale stato degli impianti in sequestro, a continuare da
subito l'attività produttiva», senza «prima pretendere» gli interventi di
risanamento? aggiunge il gip dicendo no al dissequestro degli impianti.
La partita
con l'Ilva non è finita, «abbiamo ancora qualche cartuccia da sparare», sorride
amaro il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, che proprio non ci sta a
passare per «il talebano», così come viene definito sui giornali, «il pazzo
nemico di 20 mila operai», «se solo avessi cinque minuti per un caffè con il
presidente Napolitano e con Mario Monti racconterei loro dei bambini che qui
nascono già malati di tumore...», si sfoga il vecchio magistrato. La Procura
solleva eccezioni di incostituzionalità del decreto legge di Palazzo Chigi,
chiedendo l'intervento della Corte Costituzionale. Il diritto all'eguaglianza,
ad esempio: la legge è uguale per tutti, no? Ma se la legge è nata per l'Ilva,
dove finiscono i principi di astrattezza e generalità?
Intanto, oltre al
sindaco di Taranto, alcuni preti della città, alcuni giornalisti tarantini,
alcuni parlamentari locali, l’inchiesta coinvolge anche la provincia. Così come
per il delitto di Avetrana: nel dubbio, tutti dentro, avvocati compresi. L'inchiesta
afferra il Presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, un passato
importante da sindacalista quale ex segretario regionale della Cisl e un presente
da dirigente locale del Pd. Un'informativa di 182 pagine in parte mutilata da
omissis e allegata all'ordinanza di custodia cautelare che aveva già bussato al
palazzo della Provincia, relegando agli arresti domiciliari l'ex assessore
all'ambiente Michele Conserva, lo fulmina in poche righe. "Si evidenzia -
scrivono i militari della Finanza - che alla luce di quanto accertato, vanno
ascritte al dottor Gianni Florido, Presidente della Provincia di Taranto,
specifiche responsabilità penali per il delitto di concussione o, in subordine,
di violenza privata".
Certo
è che qualcuno dovrebbe spiegare ai magistrati, che si lamentano quando la
legge si stila senza la loro dettatura, che non vi è scontro tra poteri,
proprio perché la magistratura non è un potere.
Se
l’articolo 1 della Costituzione detta che “La sovranità appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ne consegue che
Potere è quello Legislativo che legifera in modo ordinario e quello Esecutivo
che legifera in modo straordinario. La Costituzione all’art. 104 afferma che
“la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere.”
Ne
conviene che il dettato vuol significare non equiparare la Magistratura ad altro
potere, ma differenziarne l’Ordine con il Potere che spetta al popolo. Ordine
costituzionalizzato, sì, non Potere.
Ordine,
non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando
Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così
dire invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per
questo Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati
fossero eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o
potere che sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati si parla. Per gli
effetti l’art. 101 dichiara che “La giustizia è amministrata in nome del
popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”
Ergo:
i magistrati devono applicare la legge, rispettarla e farla rispettare, non
formarla, né criticarla. Non devono sentirsi portatori di una missione non
loro. E nessuna risonanza mediatica può essere ammessa, in special modo quando
vi sono interessi più grandi che quelli castali. E si deve ricordar loro, ai
magistrati ed alla clache che li santifica, che c’è anche quella legge ambientale
che prevede il dogma “chi inquina paga”. Non esiste il dettato tutto di stampo
tarantino: “chi inquina, chiude i battenti e tutti a casa”, specialmente se l’industria
che viene chiusa, con le tasse che paga, mantiene i suoi detrattori.»
Dr
Antonio Giangrande
Presidente
dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
099.9708396
– 328.9163996
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